Eventi
“Non è prosecco, è vino spumante”/ Campagna del Consorzio a Londra: “Non chiamatelo così”
Un consorzio italiano ha avvertito i britannici di smetterla di “abusare” del termine prosecco utilizzandolo per qualsiasi vino spumante. In un poster esposto nella metropolitana di Londra, è raffigurata l’immagine di una botte, accanto alle parole: “Questo non è prosecco. Non chiamatelo prosecco se è un comune effervescente”. In messaggio è presente in più di 80 luoghi in tutta la Capitale inglese: come spiega il Daily Telegraph, oltre 15 milioni di persone lo vedranno durante le due settimane della campagna, iniziata il 18 dicembre. La campagna è del Consorzio Prosecco DOC che tutela il termine, che è stato protetto dalla normativa UE dal 2009.
La bevanda ha un’etichetta di denominazione geografica (DOC), il che significa che il vino deve essere prodotto in una delle due regioni italiane, Veneto o Friuli-Venezia Giulia. In precedenza, qualsiasi vino spumante prodotto con uve prosecco poteva rivendicare il nome. Nella dichiarazione annuale del consorzio, è stata richiamata l’attenzione sulla vittoria legale contro i produttori australiani presso la Corte d’Appello di Singapore per consentire l’uso del nome Prosecco solo per i vini di origine italiana.
Come spiega il Daily Telegraph, i produttori australiani producono vino spumante dalla glera, Leggi il resto di questo articolo »
Il re del vino spegne 80 candeline: “Ho ancora dei sogni da realizzare”
80 anni di passione. 80 anni di lavoro e sacrifici. 80 anni di traguardi e successi. 80 anni di cin cin. 80 anni di Angelo Maci. Il re del vino salentino e italiano, il fondatore di Cantine Due Palme, un uomo d’altri tempi che ha portato in alto il Salento e la sua identità.
Una storia che parte da Cellino San Marco e comincia nel 1989 dalla scommessa di Angelo con un piccolo gruppo di agricoltori a una delle più grandi realtà vinicole nazionali.
E internazionali, i prodotti di Cantine Due Palme vengono infatti esportati in ogni dove, anche al di fuori del territorio italiano.
Un grande uomo ha sempre accanto a sè una grande famiglia. Moglie, figlie, nipoti e tanto affetto.
Una grande famiglia e tanti amici che hanno rivolto un pensiero al festeggiato. Tra questi Albano, Bruno Vespa, Raffale Fitto, Dario Stefano. E numerosi riconoscimenti, come quello speciale che Telerama, attraverso una targa consegnata dal suo editore Paolo Pagliaro, ha attribuito al patron Maci come grande appassionato del Salento e dei prodotti locali e come esempio per i più giovani.
Quello di un uomo lungimirante che ha creduto in progetto e ha costruito un futuro.
E noi gli auguriamo un lungo e prosperoso avvenire. Ancora buon compleanno Presidente. Alla salute!
https://www.trnews.it – 11/11/2023
Ca’ del Bosco ritorna al futuro e festeggia la nuova cantina con un vino di 42 anni
Ca’ del Bosco ritorna al futuro. Lo fa attraverso la porta della sua storia, del suo territorio, delle sue persone. Lo fa in questi giorni stappando una bottiglia che porta sull’etichetta più di quarant’anni di vita e, sotto il tappo, la passione, la cura, la filosofia, l’amore che Maurizio Zanella ci ha messo, ci sta mettendo e metterà nella maison di Erbusco arrivata al traguardo delle 52 vendemmie e che – «dopo decenni di muratori, ingegneri, architetti e notai» giusto per dirla con le sue parole – completa oggi il suo definitivo ampliamento.
La scommessa iniziata nel 1968, quando fu piantato il primo vigneto, nel 2023 è una realtà – solidissima e pluripremiata dal pubblico – che si misura in 280 ettari (quasi il massimo raggiungibile). Ca’ del Bosco oggi tocca undici dei diciannove comuni della Franciacorta e diventa custode di una porzione decisiva del territorio.
In tutti questi anni lo sviluppo dei vigneti è stato accompagnato dall’ampliamento degli spazi in cantina, arrivata ora alla sua definizione finale. Ca’ del Bosco 2.0 (come l’ha definita Maurizio Zanella) ora può contare su una nuova reception, caratterizzata da una simbolica forma ad anello con al centro una quercia. Attraverso il nuovo tunnel della Vintage Collection, caratterizzato da giochi di luce e da prospettive a perdita d’occhio, con i caveaux delle riserve di Franciacorta e i caveaux nella cupola storica dedicati alle cuvée Annamaria Clementi, la maison conduce il suo visitatore tra le sue ere antica e moderna, mentre grazie alla nuova cupola multisensoriale può consentirgli un’esperienza immersiva scandita da profumi, suoni e sostanza che sono l’essenza dei suoi vini e della sua pluridecennale storia.
Nella nuova Ca’ del Bosco – Leggi il resto di questo articolo »
Il rito antico che lega l’Alto Adige al vino nuovo
L’autunno in Alto Adige ha un profumo definito, quello del vino nuovo: mentre il paesaggio cambia e si colora di sfumature dalla calda dolcezza, le tradizioni più antiche riprendono vita e si perpetuano nel volgere della stagione. Così ogni anno si celebra il rito del Törggelen: il termine deriva dal latino torquere, torcere, con riferimento al torchio in legno usato per la spremitura dell’uva nelle cantine. E dai primi di ottobre fino all’inizio dell’Avvento in Alto Adige le porte dei masi si spalancano per accogliere nelle stuben (quei caratteristici locali dominati da una grande stufa, dalle pareti rivestite in legno) chi vuole assaggiare il nuien, il vino nuovo, e il siaße, il mosto d’uva.
Il clima è quello di una festa, e le bevande sono accompagnate da ottimo cibo locale. Le cantine e i Buschenschank, le tipiche osterie contadine, si animano dei sapori della cucina locale: le mezzelune ripiene, i crauti e i canederli anticipano il gran finale con le caldarroste, servite ancora calde con burro e con gli immancabili krapfen, deliziosi dolci fritti farciti con marmellata di papavero, di albicocche o di castagne. La passeggiata per muoversi in una sorta di pellegrinaggio da un’osteria all’altra è parte del rito, che può durare anche un’intera giornata tra boschi e coltivi: l’aria frizzante mette fame, il movimento aiuta e i colori della stagione incantano.
Si tratta di una tradizione antica, che risale probabilmente al medioevo, Leggi il resto di questo articolo »
Il primo vino in brick nel mondo spegne 40 candeline
Ci sono compleanni speciali, cifre tonde che segnano traguardi raggiunti, ricordando momenti indimenticabili. Quarant’anni sono un avvenimento importante che il Tavernello, il vino più bevuto d’Italia e uno dei marchi più conosciuti, ha festeggiato con una serata speciale allo stabilimento Caviro di via Zampeschi, a Forlì.
Era il 1983 quando Caviro, cooperativa agricola nata a Faenza per valorizzare la produzione vinicola locale, portò il Tavernello sul mercato. E’ stato il primo vino in brick del pianeta, un prodotto destinato a rivoluzionare per sempre il modo di intendere il vino, oggi esportato in oltre 40 paesi nel mondo.
Il Gruppo Caviro, realtà che oggi rappresenta 11.650 soci e 37.000 ettari vitati per un totale di 600.000 tonnellate di uva prodotta (l’8,5% della produzione nazionale), ha scelto di celebrare questo traguardo a Forlì, città che ospita le Cantine di Caviro. Gli ospiti hanno potuto degustare vini attraverso il Tavernello ForTy Party, ma anche vedere come nascono attraverso visite guidate alla cantina. Gran finale con lo spettacolo del comico Raul Cremona.
La serata, che si è svolta in un’ampia area verde, fiore all’occhiello della sede, aveva l’obiettivo di far conoscere alla comunità locale tutto il mondo che ruota intorno a Tavernello, a partire dall’attività della cantina sino ad arrivare ai tanti vini Caviro.
https://www.forlitoday.it – 08/09/2023
La maratona più golosa del mondo
42 chilometri di corsa assaggiando ostriche, vino e formaggi.
La goliardica Marathon des Châteaux du Médoc attraversa la regione vinicola francese ed è giunta alla 37esima edizione. Diecimila partecipanti e, lungo il percorso, 23 stand per le degustazioni
Immaginate Batman, Capitan America, Marylin Monroe, oppure Ratatouille ed Elton John con una pettorina da gara correre per oltre 42 chilometri. E destreggiarsi, oltre che con le scarpette da corsa, anche con vino, ostriche e manicaretti di ogni genere.
Sono i supereroi, in più di un senso e non solo figurato, della Maratona del Medoc. L’unica corsa al mondo che oltre alla competitività sportiva – decisamente non la protagonista – ha come ingredienti fondamentali l’amicizia, la goliardia e la gastronomia.
https://www.repubblica.it – 31/08/2023
La nuova vita del Marsala
Una storia che inizia nel 1978, quando Marco, fresco di una laurea in agronomia, subentra alla madre Josephine nella conduzione del baglio Samperi, proprietà della famiglia da oltre due secoli. Lì nasce il mito moderno di Marco de Bartoli, personalità prorompente, capace di rivitalizzare una tradizione, quella del Marsala, mai così slegata da ingombranti relitti. Un vino che negli anni Settanta era sacrificato a logiche di commercializzazione di massa, che invece Marco, testardamente, riprende per mano grazie alla reintroduzione del metodo Solera (o Soleras), il perpetuo, l’unico a suo avviso capace di raccontare correttamente una tradizione territoriale, parlando il linguaggio evolutivo del tempo.
All’inizio, in un panorama di vini “conciati” e fortificati, viene criticato ed osteggiato, fino ad essere accusato di sofisticazione. Uscito dalla crisi prosciolto e rinvigorito, ha la soddisfazione di vedere le sue intuizioni affermarsi rapidamente. Lo scenario, inutile sottolinearlo, è quello di Marsala, terra di uomini e donne dalle usanze antiche, inscindibili dalla campagna.
Una tradizione che Marco ha sempre incarnato, e che dopo la scomparsa continua a vivere nel lavoro impeccabile dei figli Josephine (che porta il nome della nonna), Renato e Sebastiano, attraverso la produzione di tanti vini iconici, che hanno al centro, in varie interpretazioni, Grillo e Zibibbo, varietà da sempre fondamentali, con il più recente Catarratto. (Riuscitissime) versioni passite, secche, spumantizzate, con la recente introduzione dell’anfora in vinificazione – per il progetto dello Zibibbo di Pantelleria, che si affianca al Moscato del Bukkuram – capaci di rendere la cantina, che conta circa 19 ettari vitati, una delle più sorprendenti realtà del fascinoso viaggio vitivinicolo peninsulare, ideale punto di contatto tra sapienza artigianale e controllo, tutto moderno, del processo. Sopra tutto, il rispetto supremo per quella magica bevanda che chiamiamo vino.
https://espresso.repubblica.it – 28/08/2023
Come catturare tutti i sapori del vino
Un brevetto dell’Università di Firenze è in grado di conferire al vino aromi floreali e fruttati in maggiore concentrazione recuperando i composti organici che si perdono durante il processo di fermentazione. Rispetto al metodo tradizionale, il risultato ottenuto attraverso il dispositivo, che si chiama “Aromy”, è un prodotto invecchiato di qualche mese, diverso al gusto e all’olfatto rispetto al vino al quale siamo abituati.
La tecnologia è stata ideata da Alessandro Parenti, docente del Dipartimento di scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali dell’ateaneo fiorentino ed è stata data in licenza all’azienda trevigiana Trecieffe. In quattro anni ha avuto un riscontro significativo sul mercato (tra le aziende che hanno acquisito Aromy la Fattoria di Petrognano di Montelupo Fiorentino e la Moncaro di Montecarotto – Ancona) e ottenuto alcuni riconoscimenti internazionali.
Aromy è in grado di catturare i vari composti organici volatili che si perdono durante la fermentazione alcolica. Queste sostanze, legate all’uva fermentata o al metabolismo dei lieviti, conferiscono aromi floreali e fruttati ai vini. “Come suggerisce il nome, si tratta di uno strumento in grado di accrescere le caratteristiche aromatiche del vino” spiega Alessandro Parenti, inventore del dispositivo insieme a Lorenzo Guerrini (allora assegnista di ricerca Unifi). Ma, a quanto pare, “l’importanza di Aromy non si limita al recupero delle sostanze che si separano dal mosto durante la fermentazione alcolica a causa di un effetto di stripping dovuto alla CO2 emessa dai lieviti. Il dispositivo, bloccando tali molecole, permette l’interazione tra queste e dunque la creazione di nuovi composti profumati e fruttati (gli esteri), che poi ricadono sotto forma di condensa nel mosto”.
A dare impulso allo sviluppo di Aromy è stato un altro tipo di ricerca. Leggi il resto di questo articolo »
Il mondo del vino saluta Alexandre de Lur Saluces, “monsieur” Chateau d’Yquem
Il mondo del vino saluta uno dei suoi grandi: si è spento in Francia, ad 89 anni compiuti, Alexandre de Lur Saluces, che, dal 1968 al 2004, ha guidato una cantina mito a livello planetario come Chateau d’Yquem, icona n. 1 del Sauternes (oggi del gruppo Lvmh), per tanti anni la “cantina di famiglia”, prima di dedicarsi sempre all’amato Sauternes con il prestigioso Chateau de Fargues (anche questo di proprietà della sua famiglia dal 1472).
Un uomo innamorato del suo territorio, punto di riferimento per i vini dolci del mondo, Alexandre de Lur Saluces, è stato anche autore di diverse pubblicazioni, e personalità capace anche di scelte difficili, come ci ha raccontato in questa intervista di qualche anno fa.
Ultimo esponente di una storia affascinante e plurisecolare, quella di Chateau d’Yquem, nata in terre che nel Medioevo appartenevano al Re d’Inghilterra, al tempo anche Duca di Aquitania. Poi le terre tornarono francesi nel 1453, con Re Carlo VII, e nel 1593 il discendente di una famiglia nobile, Jacques Sauvage, ottenne la proprietà feudale di Yquem. Documenti dell’epoca dicono che già al tempo nella zona venivano effettuate peculiari pratiche vinicole e vendemmie tardive, ma la cantina ed il vigneto vennero costruiti proprio dalla famiglia Sauvage, che divenne proprietaria a tutti gli effetti di Chateau d’Yquem nel 1711, sotto il regno di Luigi XIV, il “Re Sole”. Nel 1785, Françoise Joséphine de Sauvage d’Yquem sposò il conte Louis Amédée de Lur-Saluces, “figlioccio” del re. Tre anni dopo, nel 1788, il conte morì in seguito a un incidente a cavallo.
La giovane vedova, come racconta il sito di Chateau d’Yquem, divenne così il capo della famiglia e Leggi il resto di questo articolo »
Sui pesticidi la Commissione Ue chiude la porta agli agricoltori
Sui pesticidi la Commissione Ue chiude la porta in faccia agli agricoltori europei. Nel supplemento d’analisi elaborato sulla proposta di regolamento non c’è traccia di accoglimento di nessuna delle richieste delle associazioni agricole di tutta Europa. Bruxelles si limita a suggerire che, per ridurre l’utilizzo dei pesticidi, basterà portare la quota di coltivazioni biologiche al 25% del totale: se anche questo non sarà sufficiente, dice la Commissione, bisognerà concentrare i tagli sui settori «non essenziali» alla sicurezza alimentare, come per esempio «il vino o i pomodori».
La Commissione renderà pubblica la sua analisi in concomitanza con il Consiglio dei ministri Ue dell’Agricoltura di lunedì prossimo. Ma una prima bozza è trapelata e le associazioni agricole sono letteralmente rimaste senza parole. «Come si fa a non considerare essenziali due produzioni strategiche per l’economia europea come il comparto vitivinicolo e il pomodoro – si chiede Luca Rigotti, coordinatore settore vino dell’Alleanza delle cooperative – quello del vino è un comparto che crea un indotto enorme, dalla produzione di macchinari al turismo, e si è anche rivelato un settore anticiclico durante i periodi di crisi. Diminuire la produzione europea poi non avrebbe senso perché i consumi di vino certo non diminuirebbero di conseguenza, e questo aprirebbe il mercato a produzioni extra-Ue non necessariamente più sostenibili di quelle europee».
Così come è scritta adesso, la proposta di regolamento avanzata dalla Commissione prevede, entro il 2030, un abbattimento dell’uso di pesticidi del 50% in media, ma nel caso specifico dell’Italia di oltre il 60%. Raggiungere questi obbiettivi ambiziosi in tempi così rapidi e puntando tutto sull’aumento della quota di biologico, per gli agricoltori semplicemente non è realistico: «Oggi il mercato del bio è in grande affanno – dice Davide Vernocchi, coordinatore ortofrutticolo dell’Alleanza – salvo qualche nicchia, la frutta fresca bio e quella trasformata non registrano nessun aumento della quota di consumi. Oltretutto, i prezzi si stanno livellando su quelli delle produzioni convenzionali e molti produttori preferiscono uscire dal mercato: con rese che mediamente sono del 30% minori, se non si riesce più ad alzare il prezzo di vendita finisce che un agricoltore va in perdita».
Oltre al ripiego sul bio, Vernocchi contesta anche la mancanza di una definizione chiara, nel testo della Commissione, del concetto di «aree sensibili», dove non sarà possibile l’uso dei pesticidi: «Se oltre ai parchi pubblici vengono per esempio inseriti anche i terreni attraversati dalle piste ciclabili, viene fuori quello che avevamo previsto in molti dei nostri studi: che in Veneto il divieto della chimica sarebbe esteso al 90% del territorio e in Lombardia e in Emilia-Romagna all’80%».
https://www.ilsole24ore.com – 22/06/2023