Curiosità
Vino, gli americani non rinunciano al prosecco: balzo degli ordini
Ma forse c’entra Trump
L’export di spumanti verso gli Stati Uniti nel mese di novembre è cresciuto in volume del 41%, quello dei vini fermi imbottigliati del 17%. Si tratta, secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) il primo dato post-elezioni che riflette, in particolare di sparkling tricolori, la subitanea corsa alle scorte in previsione dei dazi sulle merci importate annunciati dal neo presidente, Donald Trump. Il rally di novembre, accompagnato anche dal dollaro forte, porta a +7% i volumi spediti dal Belpaese verso gli Stati Uniti nei primi 11 mesi del 2024, con un’impennata degli spumanti (3 bottiglie su 4 di Prosecco) del 19,5%.
“La buona notizia – ha detto il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi – è che numeri ci confermano che gli americani non sono disposti a rinunciare ai nostri vini, in particolare gli spumanti; la cattiva è quella del fattore dazi, sempre più imminente. Con un valore all’export che nel 2024 supererà 1,9 miliardi di euro, gli Stati Uniti valgono il 24% dell’export italiano di vino. Uno share rilevante, più che doppio rispetto all’incidenza americana sul totale delle esportazioni made in Italy, che espone particolarmente il comparto in una fase già difficile. Per questo chiediamo al Governo italiano la massima attenzione nella gestione di un dossier che potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro commerciale del vino”.
Secondo l’Osservatorio Uiv, il picco di ordini registrato non trova precedenti nella storia delle esportazioni di spumanti nel mese di novembre con un valore di circa 54 milioni di euro (+29%). “Inevitabilmente – ha aggiunto il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti – gli Usa saranno quest’anno ancora più sotto la lente, non solo per i paventati dazi ma anche per le nuove linee guida sui consumi alimentari. Per questo nei prossimi mesi saremo a New York alle Nazioni Unite per portare un messaggio di consumo consapevole e moderato che identifica la stragrande maggioranza dei consumatori di vino”.
https://www.cronachedigusto.it – 20/01/2025
Pinot Grigio Doc da vitigni resistenti. Consorzio delle Venezie
Dalla conquista dell’America a quella della GenZ. La Doc Pinot Grigio delle Venezie inizia l’anno in pole position, pronto a spingere sull’acceleratore del cambiamento. I numeri di fine anno gli danno ragione – imbottigliato a +3% e certificazioni a +8% rispetto al 2023 – ma non bastano più. Adesso la missione è conquistare il mercato nazionale e i palati più giovani. Ne è convinto Albino Armani, il presidente del consorzio Doc delle Venezie che, in questa intervista esclusiva al Gambero Rosso, svela i piani per il prossimo futuro: vini a bassa gradazione e utilizzo dei vitigni resistenti. L’iter è avviato su entrambi i fronti, ma non basta solo modificare il disciplinare.
Partiamo dai numeri: una notevole iniezione di ottimismo in un momento in cui i consumi di vino vanno in direzione opposta. Come ve lo spiegate?
Senz’altro si tratta di un dato rassicurante che fa del Pinot Grigio una denominazione anticiclica. La cosa più interessante è che, in quel +3% c’è già dentro un anticipo degli imbottigliamenti (140mila ettolitri circa) della nuova annata. E questo ci dice che c’è una richiesta maggiore di prodotto e che i quantitativi dello scorso anno non sono bastati a soddisfare la domanda.
Insomma, c’è poco Pinot Grigio in circolazione?
Probabilmente negli anni scorsi siamo stati più pessimisti del necessario e, adottando le misure di gestione produttiva – dal blocco degli impianti allo stoccaggio – siamo arrivati corti rispetto alle richieste. D’altronde è l’Italia il maggior produttore di Pinot Grigio al mondo.
Sebbene con una concorrenza sempre più spinta da parte dei Pinot Gris californiani…
Questo ci spinge a non accomodarci sugli allora, ma allo stesso tempo è un attestato di stima. Il Pinot Grigio l’ha scoperto l’Italia. Il fatto che piaccia ai californiani, tanto da spingerli a investire sui nuovi impianti, ci dice che c’è una proiezione positiva dei consumi da qui ai prossimi venti anni: lunga vita al Pinot Grigio, dunque. E che vinca il migliore! Leggi il resto di questo articolo »
Andrea Fiacco, il chimico che si fece artigiano del vino
Ho conosciuto Andrea Fiacco tanti anni e tanti kilogrammi fa, soprattutto per me. Eravamo tra i più giovani iscritti dell’Atletica BR Sermoneta. Lui correva, bene, e studiava chimica, pure meglio. Non ci siamo visti per tanti anni, almeno trenta. Ho però sempre avuto notizie su di lui. So che ha lavorato come chimico in un importante ditta della zona poi ha mollato tutto e si è messo a fare il vino insieme ad altri. Gli altri ci mettevano terre e vigne, lui la competenza. Anche perché chimica ed enologia viaggiano su un terreno comune, per quanto strano possa sembrare a noi comuni mortali.
Andrea nel tempo si è fatto una gran fama come esperto di vini. Ha creato un’impresa, la Cantina Montecorvino, che vende vino ai migliori ristoranti del Lazio. Fateci caso se andate a cena fuori. Probabile che dietro i vetri delle cantinette ci sia almeno una bottiglia di Rapiglio o di Petrara. In una di queste mattine prenatalizie lo sono andato a trovare nella sua tana sotto Sermoneta con un mio amico, L’Avvocato. L’Avvocato, oltre che giurista splendente e marinaro coraggioso, è anche assaggiatore di vini “onavista”, nel senso di qualificato Onav.
Ne siamo usciti meravigliosamente stravolti. Andrea è stato un uragano di parole e emozioni, oltre che cavalier offerente di numerosi assaggi vinosi. Poco ci capisco di enologia ma quei vini mi sembravano tutti deliziosi. L’Avvocato, più esperto di me, non credeva alle sue esigenti papille. Ci ha fatto assaggiare bianchi di tutti i tipi. Leggi il resto di questo articolo »
Cosa rende speciale lo spumante italiano? Tutto parte da un genio di Asti
Ad Asti, la patria del celebre spumante, l’Onav (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino) ha reso omaggio a Federico Martinotti, il brillante inventore del metodo di rifermentazione naturale in autoclave che ha rivoluzionato la produzione di spumanti italiani. Nel centenario della sua morte, si è svolto il convegno “Martinotti: cento anni di spumantistica italiana”, un tributo a pochi giorni dalle festività natalizie, periodo in cui si stima un consumo record di 335 milioni di bottiglie di bollicine, con un incremento del 7%, la maggior parte delle quali prodotte proprio con il metodo Martinotti.
Vito Intini, presidente di Onav, ha evidenziato l’importanza di questo evento per promuovere la cultura del vino: “Onav è nata ad Asti e dal 1951 divulga la cultura del vino in Italia e all’estero. Poter festeggiare questo straordinario personaggio nella nostra nuova sede, ospitando tanti produttori in presenza e online, significa contribuire alla diffusione della cultura dello spumante in Italia”.
Il convegno ha visto la partecipazione di esperti e produttori che hanno riconosciuto il ruolo cruciale di Martinotti nella storia vitivinicola italiana. Il sindaco di Asti, Maurizio Rasero, ha ricordato: “Martinotti è stato fondamentale per l’identità e l’economia del territorio astigiano, perché, senza la sua invenzione, molte delle aziende vitivinicole e vinicole della provincia non esisterebbero”.
Durante l’incontro, è stato anche sottolineato come Martinotti non fosse solo un inventore, ma anche un innovatore. Negli anni del proibizionismo, su incarico della ditta Calissano, riuscì a produrre uno spumante e un vermouth senz’alcol, una visione avanguardista che oggi risuona con l’attuale attenzione verso prodotti analcolici.
Il metodo Martinotti, grazie alla sua capacità di esaltare le caratteristiche aromatiche dei vini, ha permesso all’Italia di diventare un leader mondiale nella produzione di spumanti di alta qualità. Asti, con questa celebrazione, rinnova il suo impegno nella valorizzazione del patrimonio enologico italiano, rendendo onore a un genio il cui contributo continua a brillare nei calici di tutto il mondo.
https://www.giornalelavoce.it – 22/12/2024
La ricchezza aromatica e il corpo del vino spumante: le molecole responsabili
Ricchezza e corpo sono termini che le persone usano spesso per descrivere l’aroma del vino. Sono anche le proprietà che i composti del kokumi portano ad alimenti come il formaggio Gouda maturo, anche se gli scienziati non li hanno ampiamente esplorati nei vini.
L’Università di Trento ha identificato gli 11 probabili composti kokumi nei vini spumanti.
Kokumi è spesso confuso con il termine più noto umami. Umami è un sapore salato e carnoso ed è uno dei cinque gusti di base, insieme a dolce, acido, amaro e salato. Tuttavia, il kokumi non è un sapore o un sapore da solo – è una combinazione di composti che lavorano insieme per migliorare i sapori e fornire ricchezza. In precedenza, i ricercatori hanno dimostrato che il glutatione e molti altri peptidi corti conferiscono una sensazione di kokumi in cibi e bevande come aglio, cipolle, fagioli, formaggio e birra. Ma questi composti non sono stati studiati nel vino. Così, Fulvio Mattivi, Luca Dellafiora e colleghi hanno deciso di farlo.
I composti responsabili del kokumi nel vino spumante
I ricercatori hanno scoperto che cinque annate dello spumante Italiano Trento Doc contengono una miscela di 50 peptidi corti che potrebbero essere la fonte delle proprietà kokumi del vino. Successivamente, hanno scoperto che 11 dei 50 candidati kokumi interagivano con i recettori umani sensibili al calcio simulati al computer in un modo simile ad altri composti kokumi noti. Quando i membri del team hanno esaminato altri 34 vini Trento Doc, hanno verificato che questi 11 composti erano effettivamente rappresentativi di questo stile di spumante italiano. Infine, gli esperti di degustazione di vino hanno confermato Gly-Val – uno degli 11 candidati – come probabile composto di kokumi perché ha migliorato il sapore quando aggiunto ai campioni di vino.
Questo rapporto rappresenta il primo passo verso la descrizione delle basi molecolari della sensazione di kokumi nei vini. “Alla luce di questi risultati, sarà necessario studiare ulteriormente il ruolo della tecnologia vinicola e dei lieviti nel rilascio di oligopeptidi kokumi derivati dalle proteine dell’uva, portando ulteriore ricchezza agli spumanti classici ed estendendo l’indagine anche ad altri stili di vino”, afferma Mattivi.
https://www.teatronaturale.it – 17/12/2024
Vino senza alcol, presentato il decreto al ministero. Enoteche: “Non si può chiamare vino”
Sulle tavole italiane potrebbe arrivare, al posto del Chianti Classico, una bottiglia di vino “dealcolizzato” letteralmente senza alcol o con una percentuale molto bassa. È stato presentato qualche giorno fa il decreto, dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che punta proprio alla produzione di vini de-alcolati anche nel nostro paese.
Secondo quanto riferito dal Ministero il decreto “nasce a seguito del regolamento (UE) 2021/2117 che ha introdotto, attraverso una modifica all’allegato VIII del regolamento (UE) n. 1308/2013, la possibilità di effettuare pratica enologica della dealcolizzazione per ridurre, parzialmente o totalmente, il tenore alcolico nei vini. Attraverso un prezioso lavoro di mediazione tra le diverse istanze del mondo associativo, il Ministero ha lavorato per formulare un decreto che mira a fornire un quadro normativo chiaro e conforme alle disposizioni europee”.
Tra i principali elementi del provvedimento: il processo dovrà avvenire in strutture dedicate, separate da quelle tradizionali utilizzate per la produzione vitivinicola ed è inoltre obbligatoria l’etichettatura del prodotto con la dicitura “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”.
Per chi vende vino, però, questo nuovo prodotto non può essere considerata al pari del classico vino.
“La definizione di vino, intanto, deve cambiare perché si tratta di fermentazione alcolica di uva quindi lo zucchero si trasforma per forza in alcol, c’è poco da fare – afferma Antonella di Enoteca Alessi – Poi, noi siamo aperti a tutto perché bisogna andare un po’ dietro alle esigenze del consumatore. Io continuerò a bere il vino, quello vero”.
Wells di Borgo Sapori di Toscana, invece, ha fatto una prova e ha tenuto un paio di bottiglie in negozio ma senza successo. “Abbiamo ordinato vino analcolico ma è stato un flop – spiega – A Firenze non c’è richiesta per questo tipo di vino, che poi vino non è”.
Non è dello stesso avviso Federico dell’enoteca Obsequium. “Noi teniamo qualcosa, per esempio per le donne in gravidanza – afferma – Non so se si può definire vino ma sicuramente è un modo per stare tutti insieme a bere”.
https://www.firenzetoday.it – 02/12/2024
Troppo rame nella difesa della vite peggiora la qualità del vino
La fermentazione del vino pone un ambiente impegnativo per S. cerevisiae. Diverse caratteristiche genomiche sono state identificate come tracce di adattamento all’ambiente vitivinicolo, in linea con la sua domesticazione. Il primo e meglio descritto adattamento di S. cerevisiae all’ambiente vitivinicolo è la resistenza al solfito.
La biosintesi degli amminoacidi solforati ha un impatto significativo sui rami redox e di energia del lievito. Un’elevata diversità nella produzione di H 2 S durante la fermentazione alcolica è stata descritta per le varietà di vino, e poiché il suo contenuto è dannoso per l’aroma del vino. Sorprendentemente, non è stata condotta alcuna indagine per comprendere il significato biologico di tale sovrapproduzione, né per valutare una relazione potenziale con diverse nicchie ecologiche. È interessante notare che per il vino S. cerevisiae, SO 2 e la tolleranza al rame sono correlati negativamente.
Nonostante l’elevato costo energetico della riduzione del solfato ad anidride solforosa (H 2 S), necessario per la sintesi di aminoacidi contenenti zolfo, alcuni ceppi di ceppi Saccharomyces cerevisiae sono stati segnalati per produrre quantità eccessive di H 2 S durante la fermentazione alcolica, che è dannosa per la qualità del vino.
Poiché la resistenza al rame causata dall’amplificazione della proteina di zolfo Cup1p è un tratto di adattamento specifico delle varietà di vino, è stato analizzato il legame tra il meccanismo di resistenza al rame, il metabolismo dello zolfo e la produzione di H 2 S.
Un più alto contenuto di rame nel mosto aumenta la produzione di H 2 S, e che SO 2 aumenta la resistenza al rame.
Utilizzando un insieme di 51 ceppi è stata osservata una relazione positiva e poi negativa tra il numero di copie della produzione di CUP1 e H 2 S durante la fermentazione. Questo modello complesso potrebbe essere imitato utilizzando un plasmide multicopia che trasporta CUP1, confermando la relazione tra resistenza al rame e produzione di H 2 S.
L’uso massiccio del rame per la gestione fitosanitaria della vite ha portato alla selezione di ceppi resistenti al costo di un compromesso metabolico: la sovrapproduzione di H 2 S, con conseguente diminuzione della qualità del vino.
https://www.teatronaturale.it – 25/11/2024
Vino, ecco chi sono i vignaioli indipendenti
Sono piccoli, attenti alla qualità, impegnati nelle pratiche green e vivono per lo più in aree collinari e montane. Sono i produttori della Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, così come vengono descritti dall’identikit contenuto in un’analisi messa a punto da Nomisma Wine Monitor, l’osservatorio di Nomisma sul mercato del vino.
Dei veri e propri campioni della filiera vitivinicola che dalla vigna alla commercializzazione, passando per la cantina, rappresentano un modello vincente per l’economia del Paese, composto da poco più di 10 ettari di vigneto come superficie media coltivata da oltre 1.700 produttori associati, per una produzione che arriva a 75 tonnellate e a 38mila bottiglie vendute all’anno.
“Da tempo ci interroghiamo sul valore economico e sociale della nostra filiera produttiva, del modello produttivo dei vignaioli indipendenti sparsi su tutto il territorio nazionale – dice Lorenzo Cesconi, vignaiolo e presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti – i vignaioli indipendenti hanno un ruolo sociale importante, coltivando prevalentemente aree in territorio montano e collinare, dove c’è bisogno di presidiare e custodire un territorio altrimenti fragile. Il ruolo territoriale dei vignaioli ci è stato confermato dall’indagine, da cui emerge che coltiviamo per oltre l’80% zone di versante, in collina oppure in montagna”.
“I vigneti coltivati da questi produttori si trovano in quelle aree interne sempre più soggette a spopolamento e a rischio idrogeologico – rileva Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor – zone dove peraltro l’uva da vino rappresenta una delle poche produzioni agricole ancora in grado di dare reddito a chi la coltiva, con importanti risvolti sociali dal momento che esprime il 30% dei lavoratori a tempo indeterminato (contro il 10% della media italiana in agricoltura), il 28% di origine straniera (rispetto al 19%) e il 33% è donna”.
Inoltre – continua Cesconi, raccontando alcuni aspetti dell’analisi di Nomisma – “il nostro ruolo è importante per la definizione della qualità delle produzioni, tant’è che la scelta ricade sul biologico (più della metà), e il prezzo medio di vendita si attesta a circa il doppio rispetto alla media nazionale (7,7 euro contro 3,6 euro)”.
Elementi fondamentali che fanno della categoria uno dei player più importanti nell’enoturismo: con il 90% delle aziende che vende direttamente in cantina a clienti e turisti, per oltre il 40% stranieri, offrendo servizi come visite guidate e degustazioni.
E se non vengono loro, il vino dei vignaioli arriva direttamente all’estero, dal momento che il 71% esporta mentre un altro 23% ha intenzione di farlo nei prossimi anni, con gli Stati Uniti che rappresentano oggi il principale mercato estero di sbocco e altri mercati extra Ue che presto diventeranno sempre più strategici, in particolare nell’area asiatica.
https://agronotizie.imagelinenetwork.com – 19/11/2024
Joe Bastianich contro il vino dealcolato: “Chiamatelo succo d’uva di ritorno”
«Il vino dealcolato? Chiamatelo succo d’uva di ritorno». A schierarsi contro quello che ormai sembra un trend inarrestabile è Joe Bastianich dalle colonne del Gusto di Repubblica. L’imprenditore italo-americano (nonché da poco produttore di vino in Sicilia e in Toscana) cita anche la prima guida del Vini d’Italia del Gambero Rosso (1988), in cui si legge che il vino «è una soluzione idroalcolica ottenuta attraverso la fermentazione degli zuccheri contenuti nell’uva». Adesso, però, sostiene il ristoratore, c’è chi metterebbe a repentaglio l’intima essenza del vino, sino a «minarne la sua stessa definizione». In questo calderone, secondo Bastianich, ci sarebbe in primis la «campagna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha mandato in soffitta il mito del salutare mezzo bicchiere a pasto». Da qui la corsa a trovare un sostituto del vino nel calice.
Bastianich riconosce che l’industria alimentare sia avvezza alle operazioni in levare, però, al contrario del caffè decaffeinato o del latte senza lattosio, dove il principio attivo è contenuto fin dalle origini, nell’uva l’alcol non c’è, ma si ottiene tramite fermentazione. Dunque, con il vino dealcolato si andrebbe a sottrarre il plus che è già frutto di un’operazione dell’uomo e non della natura. Da qui, la sua proposta: «Il nome trae in inganno. Forse sarebbe più corretto chiamarlo succo d’uva di ritorno».
Un assist perfetto per il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, nonostante le tante sollecitazioni da parte delle aziende vitivinicole, è ancora tentennante sul mantenere il nome vino per i dealcolati Leggi il resto di questo articolo »
L’effetto kokumi nei vini
Un team della Fondazione Edmund Mach ha scoperto la presenza di composti kokumi nei vini, capaci di arricchire il gusto e di amplificare le sensazioni sensoriali. Fulvio Mattivi, a capo dello studio, ci spiega il potenziale di queste sostanze e il loro ruolo nella percezione del vino.
Negli ultimi anni il mondo della ricerca ha investito molto per comprendere, da un punto di vista scientifico, la percezione che i consumatori hanno del vino, approfondendo anche le proprietà sensoriali meno conosciute, come il kokumi. Originario della cultura giapponese, il termine kokumi descrive dei composti che, pur non avendo un sapore specifico, amplificano e arricchiscono i gusti presenti, aumentando la persistenza e la complessità del vino. Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach, ci ha parlato dei risultati di una ricerca innovativa su questo effetto nei vini bianchi, in particolare nel Trentodoc.
Fulvio Mattivi, che cosa sono i composti kokumi e come influenzano la percezione del gusto?
“I composti kokumi sono sostanze che, senza avere un sapore specifico, amplificano i gusti già presenti. In Giappone sono conosciuti e utilizzati da tempo per arricchire il sapore di alimenti come brodi e zuppe, rendendoli più intensi e persistenti. Nel vino, l’effetto kokumi potrebbe spiegare perché alcuni vini, pur con composizioni chimiche simili, siano percepiti in modo diverso al palato”.
Perché il termine kokumi e cosa significa esattamente?
“Kokumi è un termine giapponese, proprio come umami, e descrive una sensazione di gusto che in Occidente non ha una parola equivalente. Kokumi rappresenta una sensazione di ‘pienezza’ o ‘volume’, una qualità che arricchisce e intensifica le altre sensazioni gustative senza aggiungere nuovi sapori”.
Ci può fare un esempio di effetto kokumi?
“Pensiamo a formaggi stagionati, Leggi il resto di questo articolo »