Degustazioni

Il rito antico che lega l’Alto Adige al vino nuovo

L’autunno in Alto Adige ha un profumo definito, quello del vino nuovo: mentre il paesaggio cambia e si colora di sfumature dalla calda dolcezza, le tradizioni più antiche riprendono vita e si perpetuano nel volgere della stagione. Così ogni anno si celebra il rito del Törggelen: il termine deriva dal latino torquere, torcere, con riferimento al torchio in legno usato per la spremitura dell’uva nelle cantine. E dai primi di ottobre fino all’inizio dell’Avvento in Alto Adige le porte dei masi si spalancano per accogliere nelle stuben (quei caratteristici locali dominati da una grande stufa, dalle pareti rivestite in legno) chi vuole assaggiare il nuien, il vino nuovo, e il siaße, il mosto d’uva.

Il clima è quello di una festa, e le bevande sono accompagnate da ottimo cibo locale. Le cantine e i Buschenschank, le tipiche osterie contadine, si animano dei sapori della cucina locale: le mezzelune ripiene, i crauti e i canederli anticipano il gran finale con le caldarroste, servite ancora calde con burro e con gli immancabili krapfen, deliziosi dolci fritti farciti con marmellata di papavero, di albicocche o di castagne. La passeggiata per muoversi in una sorta di pellegrinaggio da un’osteria all’altra è parte del rito, che può durare anche un’intera giornata tra boschi e coltivi: l’aria frizzante mette fame, il movimento aiuta e i colori della stagione incantano.

Si tratta di una tradizione antica, che risale probabilmente al medioevo, Leggi il resto di questo articolo »

Il primo vino in brick nel mondo spegne 40 candeline

Ci sono compleanni speciali, cifre tonde che segnano traguardi raggiunti, ricordando momenti indimenticabili. Quarant’anni sono un avvenimento importante che il Tavernello, il vino più bevuto d’Italia e uno dei marchi più conosciuti, ha festeggiato con una serata speciale allo stabilimento Caviro di via Zampeschi, a Forlì.

Era il 1983 quando Caviro, cooperativa agricola nata a Faenza per valorizzare la produzione vinicola locale, portò il Tavernello sul mercato. E’ stato il primo vino in brick del pianeta, un prodotto destinato a rivoluzionare per sempre il modo di intendere il vino, oggi esportato in oltre 40 paesi nel mondo.

Il Gruppo Caviro, realtà che oggi rappresenta 11.650 soci e 37.000 ettari vitati per un totale di 600.000 tonnellate di uva prodotta (l’8,5% della produzione nazionale), ha scelto di celebrare questo traguardo a Forlì, città che ospita le Cantine di Caviro. Gli ospiti hanno potuto degustare vini attraverso il Tavernello ForTy Party, ma anche vedere come nascono attraverso visite guidate alla cantina. Gran finale con lo spettacolo del comico Raul Cremona.

La serata, che si è svolta in un’ampia area verde, fiore all’occhiello della sede, aveva l’obiettivo di far conoscere alla comunità locale tutto il mondo che ruota intorno a Tavernello, a partire dall’attività della cantina sino ad arrivare ai tanti vini Caviro.

https://www.forlitoday.it – 08/09/2023

La maratona più golosa del mondo

42 chilometri di corsa assaggiando ostriche, vino e formaggi.

La goliardica Marathon des Châteaux du Médoc attraversa la regione vinicola francese ed è giunta alla 37esima edizione. Diecimila partecipanti e, lungo il percorso, 23 stand per le degustazioni

Immaginate Batman, Capitan America, Marylin Monroe, oppure Ratatouille ed Elton John con una pettorina da gara correre per oltre 42 chilometri. E destreggiarsi, oltre che con le scarpette da corsa, anche con vino, ostriche e manicaretti di ogni genere.

Sono i supereroi, in più di un senso e non solo figurato, della Maratona del Medoc. L’unica corsa al mondo che oltre alla competitività sportiva – decisamente non la protagonista – ha come ingredienti fondamentali l’amicizia, la goliardia e la gastronomia.

https://www.repubblica.it – 31/08/2023

Vini dell’Etna, una sorpresa tutta da scoprire: eleganti a nord, intensi a sud

La storia dei vini dell’Etna è antica e al tempo stesso recente: è solo dagli anni ’90, infatti, che sono stati riscoperti e recuperati vigneti che erano stati abbandonati nel corso del ‘900, all’epoca del boom industriale.

Ma è importante sapere che i vini dell’Etna hanno caratteristiche ben diverse a seconda del versante (nord o sud) da cui provengono le uve con cui sono prodotti.

Se infatti le varietà d’uva autoctone dell’Etna, principalmente il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio, sono predominanti sia sul versante nord che su quello sud, i vini ottenuti da queste uve presentano caratteristiche differenti (e uniche) a seconda delle zone di provenienza. Riflettendo le diverse influenze climatiche e geografiche, dal momento che il terreno e il clima giocano ruolo fondamentale nella loro formazione.

Il versante nord gode di una maggiore esposizione alle fresche brezze marine provenienti dal Mar Ionio. Questo contribuisce a temperature più moderate e a una maturazione più lenta delle uve. I terreni vulcanici, ricchi di minerali, conferiscono ai vini del versante nord una nota di mineralità e una struttura elegante. Ne risultano prodotti che tendono a essere più sottili, con una struttura delicata e un’elevata acidità. Questi vini possono offrire aromi di ciliegia, fragola e note terrose, con un tocco minerale.

D’altro canto, il versante sud Leggi il resto di questo articolo »

Vino argentino conservato in una botte per quasi 100 anni è oggi un gioiello storico

Nei primi decenni del Novecento, produrre vino in Argentina era un mestiere nobile. Come riferisce El Clarin, poco si sa sui nomi che ci sono dietro alle bottiglie più antiche e più pregiate che oggi si trovano in alcune cantine. Tuttavia, molti di quei pionieri, senza volerlo e senza saperlo, hanno fatto la storia.

Quest’anno, per esempio, un Semillón del 1959 di Bodega Norton a Mendoza ha ottenuto l’ambito punteggio massimo di 100 punti dal critico James Suckling.

Un bianco, e Semillón, che invecchia così non è però l’unico. Lo sa bene l’enologo Gerardo Michelini che nel 2015 ne ha scoperto uno in un modo che descrive come «un miracolo». Come molti altri colleghi, acquista uva da viticoltori di fiducia per produrre alcuni dei suoi vini. Ha conosciuto così Hugo Manoni, 84 anni, proprietario di una fattoria a Tupungato, Mendoza, con vigneti che sono stati piantati nel 1890.
Hugo, che è alla terza generazione di viticoltori, e gli ha raccontato che nella sua casa conservava una vecchia botte di legno di castagno che custodiva un Semillón fatto da suo nonno. «È il mio tesoro più prezioso», sono state le parole di «don Hugo», come viene chiamato Manoni.

La curiosità di Gerardo si è subito scatenata e gli ha chiesto di provarlo.
«Don Hugo ha fatto sigillare la botte in modo che nessuno potesse aprirla. Abbiamo organizzato un’intera operazione per poter estrarre con cura il vino e assaggiarlo, ed è stata una rivelazione. Ho provato una grande emozione. Ad essere sincero, non ho mai assaggiato un vino più ricco in nessuna parte del mondo», ha raccontato Michelini.
Da quel momento Gerardo ha cominciato a desiderare di averne una bottiglia, e Manoni gli ha concesso questo piacere. Così, la famiglia Michelini-Mufatto, tutti viticoltori, ha intrapreso l’accurato processo di travaso in casa propria dei 40 litri in piccole bottiglie da 350 ml che oggi sono diventate oggetti da collezione.

Il vino oggi porta l’etichetta A merced del tiempo – In balia del tempo – e, facendo due conti, è stato calcolato che il nonno di Don Hugo lo produceva nel 1923, quindi è un esemplare centenario. Non è però in vendita, e pochissimi fortunati hanno avuto il piacere di assaggiarlo.

https://www.ilmattino.it – 10/08/2023

Può esistere il vino senza l’alcol?

L’etanolo (o alcol etilico) è un alcol a catena alchilica lineare, la cui formula di struttura condensata è CH3CH2OH. È anche chiamato semplicemente alcol, essendo alla base di tutte le bevande alcoliche. In chimica, si può trovare anche abbreviato con la sigla EtOH. E fin qui, parliamo di scienza. Ma se il discorso si trasferisse su un altro piano, più filosofico?

Parlando con qualche collega, è sorta una domanda su cui sto ragionando da tempo: il vino sarebbe così interessante se non fosse alcolico?
Se in un mondo parallelo potessimo produrre vino con la stessa ampiezza di gusti e specificità attuali e con tutte le caratteristiche di adesso, se non contenesse alcol sarebbe lo stesso così interessante? È una domanda puramente teorica, ovviamente, ma su cui ha senso interrogarsi. E la risposta non è affatto banale.

Il vino ha l’alcol, e grazie a questa presenza ha un effetto vasodilatatore, miorilassante su di noi, sui nostri nervi e sul nostro cervello. L’alcol, però, ha anche un effetto tossico specialmente su alcuni dei nostri organi e su questo non possiamo che essere tutti concordi. Ma l’alcol è anche un “trasportatore“ di aromi: tende a esaltare alcuni degli aromi e a traghettarli al nostro naso. Succede con la dolcezza, la densità e il calore del vino. In più, dà complessità.

Inoltre, l’alcol agisce da conservante: senza, il vino non avrebbe questa conservabilità e non potrebbe invecchiare così a lungo nel tempo. Per conservarsi infatti, le bevande senza alcol necessitano di una pastorizzazione, di una filtrazione sterile o entrambe: ma se intervenissimo così sul vino andremmo a distruggere e a denaturare tantissime sostanze presenti nel nostro bicchiere, soprattutto in un non filtrato, che è in equilibrio ma in costante evoluzione.

Escludendo quindi la complessità, la territorialità, il modo di fare il vino, la tradizione che ci sta dietro, io sono per il no: senza alcol, il vino non avrebbe senso di esistere.

https://www.linkiesta.it – 26/06/2023

Il calice di vino va scelto e maneggiato con cura: ecco come e perché

Quali sono i calici più adatti per servire vini rossi, bianchi o spumanti? Chiariamo subito che il bicchiere dell’acqua (Tumbler) alto o basso che sia va bene per bere acqua, appunto, o piacevoli drink come ci insegna la grande scuola della mixology, molto ben rappresentata dai nostri barman in tutto il mondo. Ma è bandito per il servizio del vino!

Il vino si serve rigorosamente nel calice, ovvero il bicchiere alto, quello con lo stelo e si maneggia dallo stelo, appunto, non dalla coppa. La mano sulla coppa scalda il vino con un gesto orribile che lascia impronte sul vetro. Insomma, non si fa e con l’aggravante del dito mignolo alzato diventa una vera e propria cafonata.

Ma quali sono i calici più adatti al servizio del vino? E soprattutto come sceglierli per uso domestico, ad esempio, senza accendere un mutuo? Anzitutto oggi le dimensioni dei calici sono sufficientemente importanti da poter sostituire quasi sempre il decanter (un bell’oggetto, ma costoso e che utilizzo quasi mai).

Tuttavia l’importanza del bicchiere è fondamentale. Ogni vino ha caratteristiche organolettiche differenti, quindi – a voler fare i bravi scolaretti – sarebbe meglio utilizzare un calice adatto che le esalti appieno. Esistono quelli da Chardonnay, quelli da Bordeaux, da Nebbiolo o da Borgogna (solitamente uguali). E poi c’è chi beve gli spumanti in coppa, chi nella flûte e chi predilige il classico calice da Chardonnay

Oggi si sta diffondendo l’abitudine di usare un solo tipo di bicchiere di dimensioni importanti in cui versare tutte le tipologie di vino, spumanti compresi. Ve lo descrivo al volo. Si tratta di un calice medio a “tulipano” che però non ha un nome vero e proprio. Le pareti tendono a chiudersi verso l’alto (o perlomeno si avvicinano) e, pertanto, consentono la percezione – anzi la facilitano – delle sostanze volatili. È la scelta che consiglio, in quanto utile e poco dispendiosa.

https://www.ilsole24ore.com – 20/05/2023

In Abruzzo la prima fontana di vino in Italia

L’idea è stata lanciata nel 2016 ma ultimamente se ne sta parlando sul web. Storie Instagram e contenuti raccontano qualcosa di magico, quasi rituale: la Cantina Dora Sarchese di Ortona, in Abruzzo, che accoglie i propri visitatori con una fontana da cui sgorga vino rosso Montepulciano.

La fontana, è una sorta di monumento al vino d’Abruzzo. Precisamente si trova a Villa Caldari, una frazione di Ortona che è in provincia di Chieti. Ma le sue radici sono lontane dall’Italia.

L’idea della realizzazione nasce sì da Dina Cespa e Luigi Narcisi, ortonesi doc promotori del Cammino di San Tommaso. Ma pare che la coppia, appassionata di percorsi di tutto il mondo sia stata ispirata a un qualcosa di simile visto in Spagna.

Dove? Lungo il Cammino di Santiago, precisamente, a Estella, in Navarra, avevano visitato infatti una cantina che aveva istallato una fontana di vino. Sembra fosse la prima al mondo.

Il passo successivo è stato chiedere a Nicola D’Auria, della Cantina Dora Sarchese, di realizzare la fontana del vino proprio in Abruzzo, lungo il percorso che collega Roma con Ortona. Il progetto è stato accolto subito con grande entusiasmo.

L’opera, così, è stata affidata all’architetto Rocco Valentini che l’ha realizzata utilizzando una botte molto antica da 50 ettolitri. Ha spiegato D’Auria, che per la fontana sono stati utilizzati materiali di recupero.

L’idea dietro l’opera è che le persone entrino all’interno per prendere il vino, che proviene da un serbatoio interrato da tremila litri. Chiunque può servirsi gratuitamente con un bicchiere o un calice. Oggi la fontana è una vera e propria attrazione turistica ed è l’occasione per visitare Ortona e la  Costa dei Trabocchi. Terra che offre numerose attrattive, oltre a diverse soluzioni per l’enoturismo.

https://www.innaturale.com – 14/04/2023

L’arte del vino bianco di Lomellina

Per completare il ricco panorama enologico di una regione di grande vocazione come il Piemonte, è necessaria una visita ai dintorni di Alessandria. Qui, oltre a riscoprire una bella – e ingiustamente misconosciuta – zona della Penisola, si può familiarizzare con il concetto che, oltre a rossi apprezzati in tutto il mondo, la Regione pedemontana regala bianchi di valore assoluto. Un esempio per tutti è proprio il Gavi.

Prodotto da uve Cortese, semplificando si potrebbe dire che il Gavi è tutto quello che il Barolo non è, mentre in realtà si tratta di ideali compagni di squadra. La famiglia Broglia è qui, a Lomellina di Gavi, fin dal 1972, ovvero da quando l’imprenditore tessile Bruno acquistò questi 100 ettari, di cui 65 vitati, dal Conte Edilio Raggio. La Meirana, poi, sviluppata grazie al lavoro di Piero (ex parlamentare della XII legislatura) e del fratello Paolo, che nonostante si sia occupato dell’attività tessile di famiglia ha sempre seguito le sorti dell’azienda vinicola, è tuttora la proprietà accorpata di maggiore estensione della zona. Ottima esposizione, marne calcaree, 350 metri di altitudine.

Una piattaforma ideale per la produzione di qualità. Ora, arrivati alla terza generazione, al timone ci sono Roberto e Filippo, figli di Piero, e Bruno, figlio di Paolo, che hanno consolidato la visione iniziale. Nel solco della territorialità: vini puliti, vinificati il più linearmente possibile, ad evidenziare la qualità della materia prima. Con un pallino, quello di esplorarne i confini in termini di longevità ed espressione, forse l’unica maniera per avvicinarsi al grande mistero della pianta meravigliosa che è la vite. Conferma sono l’iconico Gavi DOCG Vecchia Annata, più di 100 mesi sui lieviti, albicocca, fiori di acacia, tocchi di frutta secca tostata al naso, salmastro-fruttato alla beva, e il Metodo Classico Broglia Blanc de Blancs, olfazione di cedro, timo citrino e biancospino, al palato teso, succoso-sapido, con ritorno agrumato-officinale.

https://espresso.repubblica.it – 27/03/2023

Questa sera pizza ma cosa è meglio bere?

Quando si ordina una pizza è quasi impossibile anche solo pensare di accompagnarla con l’acqua e, a meno che siate astemi, potete scegliere tra la birra o il vino. Ma cosa sarebbe meglio scegliere tra i due? La risposta giusta esiste e a condividerla sono i nutrizionisti stessi. E voi cosa preferite?

Diciamoci la verità quando prendiamo una pizza quasi sicuramente decidiamo di accompagnarla con una birra fresca. L’accostamento sembra perfetto, ma siamo sicuri che sia davvero così? Con che cosa sarebbe preferibile, secondo i nutrizionisti, accompagnare il piatto preferito dagli italiani?

La risposta giusta, quindi, è il vino sarebbe infatti questo tra le due alternative proposte sopra quella più appropriata alla pizza e la motivazione ha a che fare con valori nutrizionali e la loro composizione.

Birra e pizza sono entrambi fonte di carboidrati e di lievito. E due prodotti ricchi di lievito se consumati insieme possono provare flatulenza e gonfiore intestinale. Da questo punto di vista, invece, il vino è diverso e c’è maggiore possibilità di abbinamento.

Non resta che vedere quale vino sia migliore scegliere in base alla pizza che abbiamo; la scelta prima di tutto deve essere fatta in base anche agli ingredienti che ritroviamo sulla pizza stessa.

Se, per esempio, abbiamo scelto una margherita l’acidità del pomodoro sarà la nota a prevalere e per questo il vino da scegliere dovrebbe essere poco acido, con un basso volume alcolico e anche poco tannico. Vanno, quindi, bene un Lambrusco o un Pinot Grigio.

Se optiamo per una pizza capricciosa allora un vino rosato; la pizza 4 formaggi chiama invece bollicine come uno spumante extra dry.

https://www.checucino.it – 25/02/2023