Aggiornamenti
Vino senza alcol, presentato il decreto al ministero. Enoteche: “Non si può chiamare vino”
Sulle tavole italiane potrebbe arrivare, al posto del Chianti Classico, una bottiglia di vino “dealcolizzato” letteralmente senza alcol o con una percentuale molto bassa. È stato presentato qualche giorno fa il decreto, dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che punta proprio alla produzione di vini de-alcolati anche nel nostro paese.
Secondo quanto riferito dal Ministero il decreto “nasce a seguito del regolamento (UE) 2021/2117 che ha introdotto, attraverso una modifica all’allegato VIII del regolamento (UE) n. 1308/2013, la possibilità di effettuare pratica enologica della dealcolizzazione per ridurre, parzialmente o totalmente, il tenore alcolico nei vini. Attraverso un prezioso lavoro di mediazione tra le diverse istanze del mondo associativo, il Ministero ha lavorato per formulare un decreto che mira a fornire un quadro normativo chiaro e conforme alle disposizioni europee”.
Tra i principali elementi del provvedimento: il processo dovrà avvenire in strutture dedicate, separate da quelle tradizionali utilizzate per la produzione vitivinicola ed è inoltre obbligatoria l’etichettatura del prodotto con la dicitura “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”.
Per chi vende vino, però, questo nuovo prodotto non può essere considerata al pari del classico vino.
“La definizione di vino, intanto, deve cambiare perché si tratta di fermentazione alcolica di uva quindi lo zucchero si trasforma per forza in alcol, c’è poco da fare – afferma Antonella di Enoteca Alessi – Poi, noi siamo aperti a tutto perché bisogna andare un po’ dietro alle esigenze del consumatore. Io continuerò a bere il vino, quello vero”.
Wells di Borgo Sapori di Toscana, invece, ha fatto una prova e ha tenuto un paio di bottiglie in negozio ma senza successo. “Abbiamo ordinato vino analcolico ma è stato un flop – spiega – A Firenze non c’è richiesta per questo tipo di vino, che poi vino non è”.
Non è dello stesso avviso Federico dell’enoteca Obsequium. “Noi teniamo qualcosa, per esempio per le donne in gravidanza – afferma – Non so se si può definire vino ma sicuramente è un modo per stare tutti insieme a bere”.
https://www.firenzetoday.it – 02/12/2024
Nuovo decreto sul vino dealcolizzato
Oggi, presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, si è tenuta, alla presenza del Ministro Francesco Lollobrigida, una riunione con i rappresentanti della filiera vitivinicola per presentare il nuovo decreto relativo alla produzione di vini dealcolizzati.
Il provvedimento nasce a seguito del regolamento (UE) 2021/2117 che ha introdotto, attraverso una modifica all’allegato VIII del regolamento (UE) n. 1308/2013, la possibilità di effettuare la pratica enologica della dealcolizzazione per ridurre, parzialmente o totalmente, il tenore alcolico nei vini. Attraverso un prezioso lavoro di mediazione tra le diverse istanze del mondo associativo, il Ministero ha lavorato per formulare un decreto che mira a fornire un quadro normativo chiaro e conforme alle disposizioni europee.
All’incontro hanno partecipato: Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, Federvini, Unione Italiana Vini, Assoenologi, Federdoc, Assodistil, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, confermando la centralità di un dialogo costruttivo tra istituzioni e operatori del settore.
Dalla riunione è emersa la volontà di consentire la produzione di vino dealcolizzato, adottando regole rigorose a tutela della filiera del vino, rispettose dell’ambiente e volte a garantire la qualità e l’autenticità del prodotto. Tale scelta mira a rispondere alle nuove esigenze mantenendo al contempo l’eccellenza e la tradizione del settore vitivinicolo italiano.
Tra i principali elementi del provvedimento:
– Divieto di dealcolazione per i vini a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e Indicazione Geografica Protetta (IGP), al fine di preservarne l’autenticità.
– Il processo produttivo dovrà avvenire in strutture dedicate, fisicamente separate da quelle utilizzate per la produzione vitivinicola, con registri digitalizzati e licenze autorizzative.
– Obbligatoria l’etichettatura del prodotto attraverso la dicitura “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”.
Grazie all’operato del Ministero, le aziende italiane potranno competere con gli altri produttori europei già presenti sul mercato del dealcolizzato, senza diminuire le azioni di tutela nei confronti del comparto vitivinicolo di qualità ne nella promozione del suo valore culturale e di rappresentanza del Made in Italy.
https://www.agricultura.it – 26/11/2024
Troppo rame nella difesa della vite peggiora la qualità del vino
La fermentazione del vino pone un ambiente impegnativo per S. cerevisiae. Diverse caratteristiche genomiche sono state identificate come tracce di adattamento all’ambiente vitivinicolo, in linea con la sua domesticazione. Il primo e meglio descritto adattamento di S. cerevisiae all’ambiente vitivinicolo è la resistenza al solfito.
La biosintesi degli amminoacidi solforati ha un impatto significativo sui rami redox e di energia del lievito. Un’elevata diversità nella produzione di H 2 S durante la fermentazione alcolica è stata descritta per le varietà di vino, e poiché il suo contenuto è dannoso per l’aroma del vino. Sorprendentemente, non è stata condotta alcuna indagine per comprendere il significato biologico di tale sovrapproduzione, né per valutare una relazione potenziale con diverse nicchie ecologiche. È interessante notare che per il vino S. cerevisiae, SO 2 e la tolleranza al rame sono correlati negativamente.
Nonostante l’elevato costo energetico della riduzione del solfato ad anidride solforosa (H 2 S), necessario per la sintesi di aminoacidi contenenti zolfo, alcuni ceppi di ceppi Saccharomyces cerevisiae sono stati segnalati per produrre quantità eccessive di H 2 S durante la fermentazione alcolica, che è dannosa per la qualità del vino.
Poiché la resistenza al rame causata dall’amplificazione della proteina di zolfo Cup1p è un tratto di adattamento specifico delle varietà di vino, è stato analizzato il legame tra il meccanismo di resistenza al rame, il metabolismo dello zolfo e la produzione di H 2 S.
Un più alto contenuto di rame nel mosto aumenta la produzione di H 2 S, e che SO 2 aumenta la resistenza al rame.
Utilizzando un insieme di 51 ceppi è stata osservata una relazione positiva e poi negativa tra il numero di copie della produzione di CUP1 e H 2 S durante la fermentazione. Questo modello complesso potrebbe essere imitato utilizzando un plasmide multicopia che trasporta CUP1, confermando la relazione tra resistenza al rame e produzione di H 2 S.
L’uso massiccio del rame per la gestione fitosanitaria della vite ha portato alla selezione di ceppi resistenti al costo di un compromesso metabolico: la sovrapproduzione di H 2 S, con conseguente diminuzione della qualità del vino.
https://www.teatronaturale.it – 25/11/2024
Vino, ecco chi sono i vignaioli indipendenti
Sono piccoli, attenti alla qualità, impegnati nelle pratiche green e vivono per lo più in aree collinari e montane. Sono i produttori della Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, così come vengono descritti dall’identikit contenuto in un’analisi messa a punto da Nomisma Wine Monitor, l’osservatorio di Nomisma sul mercato del vino.
Dei veri e propri campioni della filiera vitivinicola che dalla vigna alla commercializzazione, passando per la cantina, rappresentano un modello vincente per l’economia del Paese, composto da poco più di 10 ettari di vigneto come superficie media coltivata da oltre 1.700 produttori associati, per una produzione che arriva a 75 tonnellate e a 38mila bottiglie vendute all’anno.
“Da tempo ci interroghiamo sul valore economico e sociale della nostra filiera produttiva, del modello produttivo dei vignaioli indipendenti sparsi su tutto il territorio nazionale – dice Lorenzo Cesconi, vignaiolo e presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti – i vignaioli indipendenti hanno un ruolo sociale importante, coltivando prevalentemente aree in territorio montano e collinare, dove c’è bisogno di presidiare e custodire un territorio altrimenti fragile. Il ruolo territoriale dei vignaioli ci è stato confermato dall’indagine, da cui emerge che coltiviamo per oltre l’80% zone di versante, in collina oppure in montagna”.
“I vigneti coltivati da questi produttori si trovano in quelle aree interne sempre più soggette a spopolamento e a rischio idrogeologico – rileva Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor – zone dove peraltro l’uva da vino rappresenta una delle poche produzioni agricole ancora in grado di dare reddito a chi la coltiva, con importanti risvolti sociali dal momento che esprime il 30% dei lavoratori a tempo indeterminato (contro il 10% della media italiana in agricoltura), il 28% di origine straniera (rispetto al 19%) e il 33% è donna”.
Inoltre – continua Cesconi, raccontando alcuni aspetti dell’analisi di Nomisma – “il nostro ruolo è importante per la definizione della qualità delle produzioni, tant’è che la scelta ricade sul biologico (più della metà), e il prezzo medio di vendita si attesta a circa il doppio rispetto alla media nazionale (7,7 euro contro 3,6 euro)”.
Elementi fondamentali che fanno della categoria uno dei player più importanti nell’enoturismo: con il 90% delle aziende che vende direttamente in cantina a clienti e turisti, per oltre il 40% stranieri, offrendo servizi come visite guidate e degustazioni.
E se non vengono loro, il vino dei vignaioli arriva direttamente all’estero, dal momento che il 71% esporta mentre un altro 23% ha intenzione di farlo nei prossimi anni, con gli Stati Uniti che rappresentano oggi il principale mercato estero di sbocco e altri mercati extra Ue che presto diventeranno sempre più strategici, in particolare nell’area asiatica.
https://agronotizie.imagelinenetwork.com – 19/11/2024
Joe Bastianich contro il vino dealcolato: “Chiamatelo succo d’uva di ritorno”
«Il vino dealcolato? Chiamatelo succo d’uva di ritorno». A schierarsi contro quello che ormai sembra un trend inarrestabile è Joe Bastianich dalle colonne del Gusto di Repubblica. L’imprenditore italo-americano (nonché da poco produttore di vino in Sicilia e in Toscana) cita anche la prima guida del Vini d’Italia del Gambero Rosso (1988), in cui si legge che il vino «è una soluzione idroalcolica ottenuta attraverso la fermentazione degli zuccheri contenuti nell’uva». Adesso, però, sostiene il ristoratore, c’è chi metterebbe a repentaglio l’intima essenza del vino, sino a «minarne la sua stessa definizione». In questo calderone, secondo Bastianich, ci sarebbe in primis la «campagna dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha mandato in soffitta il mito del salutare mezzo bicchiere a pasto». Da qui la corsa a trovare un sostituto del vino nel calice.
Bastianich riconosce che l’industria alimentare sia avvezza alle operazioni in levare, però, al contrario del caffè decaffeinato o del latte senza lattosio, dove il principio attivo è contenuto fin dalle origini, nell’uva l’alcol non c’è, ma si ottiene tramite fermentazione. Dunque, con il vino dealcolato si andrebbe a sottrarre il plus che è già frutto di un’operazione dell’uomo e non della natura. Da qui, la sua proposta: «Il nome trae in inganno. Forse sarebbe più corretto chiamarlo succo d’uva di ritorno».
Un assist perfetto per il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, nonostante le tante sollecitazioni da parte delle aziende vitivinicole, è ancora tentennante sul mantenere il nome vino per i dealcolati Leggi il resto di questo articolo »
L’effetto kokumi nei vini
Un team della Fondazione Edmund Mach ha scoperto la presenza di composti kokumi nei vini, capaci di arricchire il gusto e di amplificare le sensazioni sensoriali. Fulvio Mattivi, a capo dello studio, ci spiega il potenziale di queste sostanze e il loro ruolo nella percezione del vino.
Negli ultimi anni il mondo della ricerca ha investito molto per comprendere, da un punto di vista scientifico, la percezione che i consumatori hanno del vino, approfondendo anche le proprietà sensoriali meno conosciute, come il kokumi. Originario della cultura giapponese, il termine kokumi descrive dei composti che, pur non avendo un sapore specifico, amplificano e arricchiscono i gusti presenti, aumentando la persistenza e la complessità del vino. Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach, ci ha parlato dei risultati di una ricerca innovativa su questo effetto nei vini bianchi, in particolare nel Trentodoc.
Fulvio Mattivi, che cosa sono i composti kokumi e come influenzano la percezione del gusto?
“I composti kokumi sono sostanze che, senza avere un sapore specifico, amplificano i gusti già presenti. In Giappone sono conosciuti e utilizzati da tempo per arricchire il sapore di alimenti come brodi e zuppe, rendendoli più intensi e persistenti. Nel vino, l’effetto kokumi potrebbe spiegare perché alcuni vini, pur con composizioni chimiche simili, siano percepiti in modo diverso al palato”.
Perché il termine kokumi e cosa significa esattamente?
“Kokumi è un termine giapponese, proprio come umami, e descrive una sensazione di gusto che in Occidente non ha una parola equivalente. Kokumi rappresenta una sensazione di ‘pienezza’ o ‘volume’, una qualità che arricchisce e intensifica le altre sensazioni gustative senza aggiungere nuovi sapori”.
Ci può fare un esempio di effetto kokumi?
“Pensiamo a formaggi stagionati, Leggi il resto di questo articolo »
Summit sul vino tra opportunità e minacce
Spumanti tarocchi, “vino” dealcolato e fondi per la ricerca. Questi, alcuni degli argomenti trattati settimana scorsa a Torino, in occasione della Consulta vitivinicola piemontese, che ha visto l’intervento di Monica Monticone, membro di giunta Coldiretti Piemonte con delega territoriale al settore vitivinicolo, nonché Presidente Coldiretti Asti.
“Fin da subito” ha spiegato la Monticone, “abbiamo richiamato l’attenzione sui prodotti tarocchi che si agganciano all’italian sounding. Mi riferisco, tra le altre, alla produzione di bevande vendute, soprattutto negli States, con nomi che evocano i nostri territori e vitigni, ma che niente hanno a che fare con i nostri spumanti; bevande che sfruttano gli stessi nostri formati di bottiglie e di packaging, pur trattandosi soluzioni tipo spumanti aromatizzati, prodotti con l’aggiunta di aromi, edulcoranti, coloranti, CO2 artificiale e alcool. Molte sostanze utilizzate, vietate nei vini di bandiera, conferiscono gusti fruttati originando descrittori molto diversi da quelli delle eccellenze enoiche italiane e piemontesi”.
Un’altra nota dolente discussa durante la Consulta ha riguardato i “vini” dealcolati (il virgolettato è d’obbligo, in quanto, ad oggi, non esistono vini privi di alcol), i cui processi di produzione si discostano completamente da quelli della tradizione enologica, giunta nel Bel Paese oltre 8mila anni fa. “Ciò che sta a cuore a Coldiretti è che queste potenziali versioni del vino, mai arrivino ad essere assimilate a do o igt” ha sottolineato la Monticone.
Tra i punti attenzionati, poi, quello riferito alle nuove tecnologie per digitalizzare il comparto, Leggi il resto di questo articolo »
Vino, Uiv: il Mef ha ritirato le norme relative ai vini dealcolati
Secondo quanto risulta a Unione italiana vini (Uiv), “il ministero dell’Economia ha ritirato le norme relative ai vini dealcolati recentemente inserite nella proposta di decreto legislativo in materia di accise”. Ora, superato l’impasse, per Uiv “è necessario che il ministero dell’Agricoltura approvi al più presto il decreto tenendo conto degli elementi principali già discussi con la filiera”. Tra questi, il processo di dealcolizzazione che dovrà avvenire in locali appositamente dedicati; il divieto della pratica per i vini Dop/Igp; considerare la soluzione idroalcolica residua (acqua di rete, tra il 95% e il 99,9%) come rifiuto e quindi non sottoposta ad accise. Uiv confida che nelle prossime settimane il Masaf possa convocare le organizzazioni per presentare la nuova proposta di decreto.
Unione italiana vini rileva inoltre come un Regolamento comunitario sancisca dal 2021 l’obbligo di chiamare questo prodotto “vino dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”. Le imprese italiane chiedono perciò di poter operare alle stesse condizioni dei competitor europei, applicando la parola “vino” ai dealcolati.
https://askanews.it – 29/10/2024
I vini naturali sono solo un grande inganno
La dura replica di Riccardo Cotarella al vignaiolo Piero Riccardi
I vini naturali non esistono e rappresentano un grande inganno per i consumatori. Ancora una volta, sollecitato da decine di produttori, mio malgrado sono costretto a intervenire su una querelle, tra vini convenzionali e sedicenti naturali, che in verità non avrebbe alcun senso di esistere sotto il profilo puramente scientifico.
Nonostante le affannose teorie rappresentate da personaggi senza specifici titoli professionali in materia, come ad esempio risulta essere Piero Riccardi che, dopo una vita da sceneggiatore cinematografico e teatrale, da qualche anno si autoprofessa vignaiolo e portabandiera dei cosiddetti vini naturali. Il suo intervento su queste colonne merita una risposta puntuale in nome della verità e della scienza, altrimenti si corre il rischio di far passare per acclarati procedimenti che non hanno nulla a che fare con la viticoltura e l’enologia. Questo discorso, ovviamente, non coinvolge i vini biologici e, al limite, quelli biodinamici, perché comunque richiedono dei precisi processi scientifici.
Ma se il principio è quello di produrre vini a sentimento, di gestire i vigneti sulla base del sentito dire o di sperimentazioni fai da te o, basato su supponenze prive dei più elementari processi conoscitivi in materia di certi produttori, perché migliaia di ragazze e ragazzi ogni anno si dovrebbero affannare nelle università per apprendere i processi di glicolisi o comprendere come funziona la fermentazione alcolica? Perché dovrebbero passare notti insonni per memorizzare e capire a fondo l’acido acetico che ritroveremmo in totale prevalenza, quasi sempre ben oltre il limite che pone la legge, se lasciassimo che un grappolo d’uva facesse il suo corso naturale di trasformazione? Perché dovrebbero studiare che la fermentazione spontanea si attiva sulle basse gradazioni e che, invece, fa più fatica sulle alte? E sì, caro Riccardi, lo dicono anche le sacre scritture: il vino è frutto dell’uva e opera dell’uomo. Lei addita i lieviti selezionati come il male, ma ignora che servono soltanto per esaltare le caratteristiche dell’uva stessa e ci si ricorre solo in determinati contesti e non certo a prescindere. Questo lo sanno tutti gli enologi, ma a lei purtroppo sfugge.
E potrei continuare all’infinito a citare termini e processi scientifici Leggi il resto di questo articolo »
Ruchè, il vino che grida: “Viva il parroco!”
“Il Ruchè di Castagnole Monferrato è un vino che si distingue per le originali note floreali e speziate, che lo rendono inconfondibile, e per la capacità di dare vita a vini profumati e freschi in gioventù o complessi e strutturati nelle versioni invecchiate. Speciale è anche il significato che esso ha per il tessuto sociale locale: il Ruchè oggi rappresenta l’elemento identitario e l’attività economica più florida della bellissima area del Monferrato in cui ci troviamo”. Parole di Luca Ferraris, titolare della Ferraris Agricola, l’azienda da lui rilevata all’inizio del millennio, quando perfino nella vicina Torino nessuno conosceva questo vino, e che ha avuto un ruolo decisivo nella sua affermazione.
Ferraris non parla volentieri del suo passato, pur essendo la sua azienda di origini familiari. Preferisce concentrarsi sul futuro di un vino che è forse la sorpresa più piacevole dell’enologia piemontese contemporanea e che trae origine dal vigneto recuperato negli anni Sessanta da don Giacomo Cauda, parroco di Castagnole Monferrato, e a cui ora è dedicata una delle etichette di Ferraris. Leggi il resto di questo articolo »