Curiosità

Vini dell’Etna, una sorpresa tutta da scoprire: eleganti a nord, intensi a sud

La storia dei vini dell’Etna è antica e al tempo stesso recente: è solo dagli anni ’90, infatti, che sono stati riscoperti e recuperati vigneti che erano stati abbandonati nel corso del ‘900, all’epoca del boom industriale.

Ma è importante sapere che i vini dell’Etna hanno caratteristiche ben diverse a seconda del versante (nord o sud) da cui provengono le uve con cui sono prodotti.

Se infatti le varietà d’uva autoctone dell’Etna, principalmente il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio, sono predominanti sia sul versante nord che su quello sud, i vini ottenuti da queste uve presentano caratteristiche differenti (e uniche) a seconda delle zone di provenienza. Riflettendo le diverse influenze climatiche e geografiche, dal momento che il terreno e il clima giocano ruolo fondamentale nella loro formazione.

Il versante nord gode di una maggiore esposizione alle fresche brezze marine provenienti dal Mar Ionio. Questo contribuisce a temperature più moderate e a una maturazione più lenta delle uve. I terreni vulcanici, ricchi di minerali, conferiscono ai vini del versante nord una nota di mineralità e una struttura elegante. Ne risultano prodotti che tendono a essere più sottili, con una struttura delicata e un’elevata acidità. Questi vini possono offrire aromi di ciliegia, fragola e note terrose, con un tocco minerale.

D’altro canto, il versante sud Leggi il resto di questo articolo »

Vino argentino conservato in una botte per quasi 100 anni è oggi un gioiello storico

Nei primi decenni del Novecento, produrre vino in Argentina era un mestiere nobile. Come riferisce El Clarin, poco si sa sui nomi che ci sono dietro alle bottiglie più antiche e più pregiate che oggi si trovano in alcune cantine. Tuttavia, molti di quei pionieri, senza volerlo e senza saperlo, hanno fatto la storia.

Quest’anno, per esempio, un Semillón del 1959 di Bodega Norton a Mendoza ha ottenuto l’ambito punteggio massimo di 100 punti dal critico James Suckling.

Un bianco, e Semillón, che invecchia così non è però l’unico. Lo sa bene l’enologo Gerardo Michelini che nel 2015 ne ha scoperto uno in un modo che descrive come «un miracolo». Come molti altri colleghi, acquista uva da viticoltori di fiducia per produrre alcuni dei suoi vini. Ha conosciuto così Hugo Manoni, 84 anni, proprietario di una fattoria a Tupungato, Mendoza, con vigneti che sono stati piantati nel 1890.
Hugo, che è alla terza generazione di viticoltori, e gli ha raccontato che nella sua casa conservava una vecchia botte di legno di castagno che custodiva un Semillón fatto da suo nonno. «È il mio tesoro più prezioso», sono state le parole di «don Hugo», come viene chiamato Manoni.

La curiosità di Gerardo si è subito scatenata e gli ha chiesto di provarlo.
«Don Hugo ha fatto sigillare la botte in modo che nessuno potesse aprirla. Abbiamo organizzato un’intera operazione per poter estrarre con cura il vino e assaggiarlo, ed è stata una rivelazione. Ho provato una grande emozione. Ad essere sincero, non ho mai assaggiato un vino più ricco in nessuna parte del mondo», ha raccontato Michelini.
Da quel momento Gerardo ha cominciato a desiderare di averne una bottiglia, e Manoni gli ha concesso questo piacere. Così, la famiglia Michelini-Mufatto, tutti viticoltori, ha intrapreso l’accurato processo di travaso in casa propria dei 40 litri in piccole bottiglie da 350 ml che oggi sono diventate oggetti da collezione.

Il vino oggi porta l’etichetta A merced del tiempo – In balia del tempo – e, facendo due conti, è stato calcolato che il nonno di Don Hugo lo produceva nel 1923, quindi è un esemplare centenario. Non è però in vendita, e pochissimi fortunati hanno avuto il piacere di assaggiarlo.

https://www.ilmattino.it – 10/08/2023

Come catturare tutti i sapori del vino

Un brevetto dell’Università di Firenze è in grado di conferire al vino aromi floreali e fruttati in maggiore concentrazione recuperando i composti organici che si perdono durante il processo di fermentazione. Rispetto al metodo tradizionale, il risultato ottenuto attraverso il dispositivo, che si chiama “Aromy”, è un prodotto invecchiato di qualche mese, diverso al gusto e all’olfatto rispetto al vino al quale siamo abituati.

La tecnologia è stata ideata da Alessandro Parenti, docente del Dipartimento di scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali dell’ateaneo fiorentino ed è stata data in licenza all’azienda trevigiana Trecieffe. In quattro anni ha avuto un riscontro significativo sul mercato (tra le aziende che hanno acquisito Aromy la Fattoria di Petrognano di Montelupo Fiorentino e la Moncaro di Montecarotto – Ancona) e ottenuto alcuni riconoscimenti internazionali.

Aromy è in grado di catturare i vari composti organici volatili che si perdono durante la fermentazione alcolica. Queste sostanze, legate all’uva fermentata o al metabolismo dei lieviti, conferiscono aromi floreali e fruttati ai vini. “Come suggerisce il nome, si tratta di uno strumento in grado di accrescere le caratteristiche aromatiche del vino” spiega Alessandro Parenti, inventore del dispositivo insieme a Lorenzo Guerrini (allora assegnista di ricerca Unifi). Ma, a quanto pare, “l’importanza di Aromy non si limita al recupero delle sostanze che si separano dal mosto durante la fermentazione alcolica a causa di un effetto di stripping dovuto alla CO2 emessa dai lieviti. Il dispositivo, bloccando tali molecole, permette l’interazione tra queste e dunque la creazione di nuovi composti profumati e fruttati (gli esteri), che poi ricadono sotto forma di condensa nel mosto”.

A dare impulso allo sviluppo di Aromy è stato un altro tipo di ricerca. Leggi il resto di questo articolo »

Il mondo del vino saluta Alexandre de Lur Saluces, “monsieur” Chateau d’Yquem

Il mondo del vino saluta uno dei suoi grandi: si è spento in Francia, ad 89 anni compiuti, Alexandre de Lur Saluces, che, dal 1968 al 2004, ha guidato una cantina mito a livello planetario come Chateau d’Yquem, icona n. 1 del Sauternes (oggi del gruppo Lvmh), per tanti anni la “cantina di famiglia”, prima di dedicarsi sempre all’amato Sauternes con il prestigioso Chateau de Fargues (anche questo di proprietà della sua famiglia dal 1472).

Un uomo innamorato del suo territorio, punto di riferimento per i vini dolci del mondo, Alexandre de Lur Saluces, è stato anche autore di diverse pubblicazioni, e personalità capace anche di scelte difficili, come ci ha raccontato in questa intervista di qualche anno fa.

Ultimo esponente di una storia affascinante e plurisecolare, quella di Chateau d’Yquem, nata in terre che nel Medioevo appartenevano al Re d’Inghilterra, al tempo anche Duca di Aquitania. Poi le terre tornarono francesi nel 1453, con Re Carlo VII, e nel 1593 il discendente di una famiglia nobile, Jacques Sauvage, ottenne la proprietà feudale di Yquem. Documenti dell’epoca dicono che già al tempo nella zona venivano effettuate peculiari pratiche vinicole e vendemmie tardive, ma la cantina ed il vigneto vennero costruiti proprio dalla famiglia Sauvage, che divenne proprietaria a tutti gli effetti di Chateau d’Yquem nel 1711, sotto il regno di Luigi XIV, il “Re Sole”. Nel 1785, Françoise Joséphine de Sauvage d’Yquem sposò il conte Louis Amédée de Lur-Saluces, “figlioccio” del re. Tre anni dopo, nel 1788, il conte morì in seguito a un incidente a cavallo.

La giovane vedova, come racconta il sito di Chateau d’Yquem, divenne così il capo della famiglia e Leggi il resto di questo articolo »

Può esistere il vino senza l’alcol?

L’etanolo (o alcol etilico) è un alcol a catena alchilica lineare, la cui formula di struttura condensata è CH3CH2OH. È anche chiamato semplicemente alcol, essendo alla base di tutte le bevande alcoliche. In chimica, si può trovare anche abbreviato con la sigla EtOH. E fin qui, parliamo di scienza. Ma se il discorso si trasferisse su un altro piano, più filosofico?

Parlando con qualche collega, è sorta una domanda su cui sto ragionando da tempo: il vino sarebbe così interessante se non fosse alcolico?
Se in un mondo parallelo potessimo produrre vino con la stessa ampiezza di gusti e specificità attuali e con tutte le caratteristiche di adesso, se non contenesse alcol sarebbe lo stesso così interessante? È una domanda puramente teorica, ovviamente, ma su cui ha senso interrogarsi. E la risposta non è affatto banale.

Il vino ha l’alcol, e grazie a questa presenza ha un effetto vasodilatatore, miorilassante su di noi, sui nostri nervi e sul nostro cervello. L’alcol, però, ha anche un effetto tossico specialmente su alcuni dei nostri organi e su questo non possiamo che essere tutti concordi. Ma l’alcol è anche un “trasportatore“ di aromi: tende a esaltare alcuni degli aromi e a traghettarli al nostro naso. Succede con la dolcezza, la densità e il calore del vino. In più, dà complessità.

Inoltre, l’alcol agisce da conservante: senza, il vino non avrebbe questa conservabilità e non potrebbe invecchiare così a lungo nel tempo. Per conservarsi infatti, le bevande senza alcol necessitano di una pastorizzazione, di una filtrazione sterile o entrambe: ma se intervenissimo così sul vino andremmo a distruggere e a denaturare tantissime sostanze presenti nel nostro bicchiere, soprattutto in un non filtrato, che è in equilibrio ma in costante evoluzione.

Escludendo quindi la complessità, la territorialità, il modo di fare il vino, la tradizione che ci sta dietro, io sono per il no: senza alcol, il vino non avrebbe senso di esistere.

https://www.linkiesta.it – 26/06/2023

Sui pesticidi la Commissione Ue chiude la porta agli agricoltori

Sui pesticidi la Commissione Ue chiude la porta in faccia agli agricoltori europei. Nel supplemento d’analisi elaborato sulla proposta di regolamento non c’è traccia di accoglimento di nessuna delle richieste delle associazioni agricole di tutta Europa. Bruxelles si limita a suggerire che, per ridurre l’utilizzo dei pesticidi, basterà portare la quota di coltivazioni biologiche al 25% del totale: se anche questo non sarà sufficiente, dice la Commissione, bisognerà concentrare i tagli sui settori «non essenziali» alla sicurezza alimentare, come per esempio «il vino o i pomodori».

La Commissione renderà pubblica la sua analisi in concomitanza con il Consiglio dei ministri Ue dell’Agricoltura di lunedì prossimo. Ma una prima bozza è trapelata e le associazioni agricole sono letteralmente rimaste senza parole. «Come si fa a non considerare essenziali due produzioni strategiche per l’economia europea come il comparto vitivinicolo e il pomodoro – si chiede Luca Rigotti, coordinatore settore vino dell’Alleanza delle cooperative – quello del vino è un comparto che crea un indotto enorme, dalla produzione di macchinari al turismo, e si è anche rivelato un settore anticiclico durante i periodi di crisi. Diminuire la produzione europea poi non avrebbe senso perché i consumi di vino certo non diminuirebbero di conseguenza, e questo aprirebbe il mercato a produzioni extra-Ue non necessariamente più sostenibili di quelle europee».

Così come è scritta adesso, la proposta di regolamento avanzata dalla Commissione prevede, entro il 2030, un abbattimento dell’uso di pesticidi del 50% in media, ma nel caso specifico dell’Italia di oltre il 60%. Raggiungere questi obbiettivi ambiziosi in tempi così rapidi e puntando tutto sull’aumento della quota di biologico, per gli agricoltori semplicemente non è realistico: «Oggi il mercato del bio è in grande affanno – dice Davide Vernocchi, coordinatore ortofrutticolo dell’Alleanza – salvo qualche nicchia, la frutta fresca bio e quella trasformata non registrano nessun aumento della quota di consumi. Oltretutto, i prezzi si stanno livellando su quelli delle produzioni convenzionali e molti produttori preferiscono uscire dal mercato: con rese che mediamente sono del 30% minori, se non si riesce più ad alzare il prezzo di vendita finisce che un agricoltore va in perdita».

Oltre al ripiego sul bio, Vernocchi contesta anche la mancanza di una definizione chiara, nel testo della Commissione, del concetto di «aree sensibili», dove non sarà possibile l’uso dei pesticidi: «Se oltre ai parchi pubblici vengono per esempio inseriti anche i terreni attraversati dalle piste ciclabili, viene fuori quello che avevamo previsto in molti dei nostri studi: che in Veneto il divieto della chimica sarebbe esteso al 90% del territorio e in Lombardia e in Emilia-Romagna all’80%».

https://www.ilsole24ore.com – 22/06/2023

Vino in Slovacchia con barbatelle e macchinari made in Italy

Sono italiane, in larga parte, le barbatelle di vite impiantate in Repubblica Slovacca, come le macchine per la produzione del vino tra cui: cisterne, presse, nastri trasportatori e sgrondatori.

Nella terra dell’est Europa, dove furono i legionari romani a portare la coltura dell’uva, fiorita sotto Marco Aurelio, il rapporto con l’Italia è più vivo che mai, tanto che l’italiano è una lingua molto diffusa nel paese. L’Italia è un faro per un’economia agrivinicola in grande espansione, che raggiunge alti standard di sostenibilità ambientale.

Con l’ambasciatrice slovacca in Italia, Karla Wursterová, ha percorso la “Strada del Vino”, nei territori di Malé Karpaty, da Bratislava, Svätì Jur, Pezinok, Modra, fino a Trnava.

I vini slovacchi hanno le etichette con i nomi dei castelli, nel caso del bianco, e nomi dei fiumi, nel caso dei rossi. Tra questi il noto Dunaj, nome slovacco del fiume Danubio, vino di uva a maturazione medio-tardiva, resistente al gelo, con aromi di ciliegia e cioccolato, molto amato dai turisti italiani.

Il 15% del vino prodotto è rosso, con uve di Blaufränkisch, Cabernet Sauvignon, Dunaj e Pinot nero. Il restante 85% è bianco, invecchiato anche fino a 20 anni: Leggi il resto di questo articolo »

Vino, nasce etichetta “Trabocco”, lo spumante d’Abruzzo doc

Il Consorzio da tempo ha intrapreso un percorso di valorizzazione delle bollicine prodotte da vitigni autoctoni.

Già nel 2010 con la nascita della Doc Abruzzo, il Consorzio ha voluto mettere a tutela gli autoctoni riscoperti e rigorosamente imbottigliati in regione, a partire da Pecorino e Passerina d’Abruzzo che si sono fin da subito dimostrati adatti anche alla spumantizzazione. Il disciplinare di questa Doc comprende fin da subito anche la tipologia Spumante vinificati in bianco o rosé, realizzati con metodo Italiano o Classico e con l’utilizzo di vitigni internazionali.

Il marchio collettivo “Trabocco”, è il simbolo della regione riconosciuto in tutto il mondo, che mira a valorizzare gli spumanti prodotti con Metodo Italiano in Abruzzo da uve autoctone quali Passerina, Pecorino, Trebbiano, Montonico, Cococciola e Montepulciano d’Abruzzo, caratterizzate da alta acidità̀ e bassa gradazione, due qualità che le rendono uniche e che donano eccellenti basi spumanti. “Le nostre uve sono naturalmente predisposte alla spumantizzazione e vi è ormai l’esigenza di portare sui mercati un prodotto totalmente abruzzese, realizzato con i nostri vitigni, vinificato e imbottigliato in regione e che porta con sé un nome estremamente identificativo” ha spiegato Alessandro Nicodemi, presidente del Consorzio Tutela vini d’Abruzzo durante il lancio del Marchio alla stampa, su un Trabocco.

“Da luglio dello scorso anno è stato infatti approvato il regolamento dell’utilizzo del marchio collettivo “Trabocco” che circoscrive la possibilità di utilizzarlo solo per spumanti prodotti con Metodo Italiano e uve autoctone”. Nell’attuale riorganizzazione dei disciplinari di produzione sono state introdotte alcune varianti che hanno aggiunto anche per la Doc Abruzzo o d’Abruzzo Doc la possibilità di specificare il vitigno di provenienza: Pecorino, Passerina, Montonico e Cococciola”, conclude Nicodemi.

https://www.ansa.it – 15/06/2023

Il vino della settimana: dal Sudafrica, il Pinotage che cresce fra giraffe e antilopi

A Stellenbosch, 50 chilometri da Città del Capo, splendida regione viticola, l’iconica azienda Neethlingshof, oggi del gruppo Le Grand Chais de France, ha creato una vera cantina-villaggio che fa della sostenibilità sociale e ambientale la sua mission. All’interno trovano spazio le case dei lavoratori, una scuola e un parco di 100 ettari sui 400 totali, laghi, alberi, piante tra i quali passeggiano gazzelle, antilopi, giraffe, zebre, fenicotteri, scimmie, suricati, con oltre 40 tipi di uccelli. In questo trionfo di biodiversità, nasce un Pinotage unico, incrocio di Pinot Nero, da cui prende l’eleganza, e Sanceau che gli dà forza e tannino generoso. Degustiamo l’annata 2021 con Enrico Scavarda, chef dell’enotavola Rossorubino di Torino. Frutto, spezia, grande bevibilità, uniti al calore sudafricano, in un gioco fra nuovo e vecchio mondo. Perfetto con carne alla griglia o patate al cartoccio ripiene.

https://video.repubblica.it – 15/06/2023

Dal lago d’Iseo riemergono 3.500 bottiglie di vino Nautilus

Una tradizione, un procedimento produttivo, uno spettacolo per, appassionati, turisti e curiosi. Dal 2010, anno in cui per la prima Alex Belingheri (titolare dell’azienda Agricola Vallecamonica di Artogne) decise di provare a far affinare nelle acque del lago d’Iseo alcune bottiglie di Metodo Classico, con l’inizio della stagione calda va in scena il «ripescaggio» del Nautilus. Si tratta di bottiglie di vino che riposano sul fondo del Sebino per non meno di quattro anni a 30/40 metri di profondità.

Quest’anno a Monte Isola, poco distante dalla frazione di Peschiera Maraglio, sono state riportate a galla 3.500 bottiglie di Metodo Classico 2018 dell’azienda agricola Vinivallecamonica. E dopo l’estrazione Belingheri è pronto a riporre sui fondali i vini del 2022: 8.500 bottiglie, 216 magnum e 20 jeroboam che verranno recuperate nei prossimi anni.

https://www.giornaledibrescia.it – 10/06/2023