Curiosità

Le Donne del vino in mostra

Le donne del vino si raccontano in una mostra fotografica itinerante aperta gratuitamente al pubblico intitolata le Indomite del Vino.

La mostra racconta le aspirazioni, le scelte e le fatiche delle donne del vino, che si confrontano quotidianamente con un settore in continuo movimento. È questo il tema portante di “Indomite del Vino”, un progetto di storytelling e ritratti fotografici, che si inaugura sabato 24 giugno presso la cantina Josetta Saffirio, diretta da Sara Vezza, una delle protagoniste di questa prima edizione, presso Monteforte d’Alba, in provincia di Cuneo.

Ideato e curato da Valeria Bugni (fondatrice del Wine Lady Club, ora impegnata in cantina), Claudia Ska (autrice) e Thomas Toti (fotografo), questa mostra aperta gratuitamente al pubblico, vede le professioniste del vino raccontarsi in un “canto libero”, che mette assieme l’arte visiva alla narrazione autobiografica.

La rassegna è composta dai ritratti di Sara Vezza, Elisabetta Foffani, Giordana Talamona, Sissi Baratella, Simona Geri, Francesca Auricchio e Valeria Bugni, realizzati da Toti e corredati dai racconti personali delle protagoniste. La mostra itinerante approderà anche in Friuli Venezia- Giulia, nella cantina di famiglia di Elisabetta Foffani, altra indomita, e a seguire in altre città italiane.

Enologhe, produttrici, comunicatrici, giornaliste, influencer e commerciali del vino, che rappresentano ancora una minoranza nel mondo vinicolo. Secondo Coldiretti le donne impiegate nel mondo vitivinicolo rappresentano oggi solo il 30% del totale, una cifra ancora bassa, auspicabilmente destinata a salire.

Indomite del Vino vuole essere un’occasione per dare una voce e un volto alle donne che lavorano in questo ambito, che fanno fatica a farsi spazio, ma anche a coloro che hanno raggiunto i proprio obiettivi, nonostante abbiano dovuto combattere di più rispetto gli omologhi uomini. Dalle interviste alle protagoniste di questa prima edizione è emersa a più riprese la parola dimostrare: dimostrare di essere all’altezza, di essere abbastanza, di essere tenaci. Le Indomite del Vino rivendicano, quindi, di avere le qualità necessarie per fare il proprio lavoro, senza più doverle rimarcare quotidianamente.

Sebbene le discriminazioni di genere non siano così marcatamente diverse tra questo settore e altri, per tradizione quello vinicolo è un ambiente maschile e maschilista, con una forte impronta patriarcale e patrilineare. Indomite del Vino ha deciso di puntare i riflettori, quindi, sulle donne che con la loro competenza e passione stanno cambiando l’industria, grazie anche all’uso innovativo e originale di nuove tecnologie.

L’inaugurazione della mostra fotografica sarà il 24 Giugno 2023 dalle 10.30 alle 17.00.

https://corrieredelvino.it – 07/06/2023

“Vino cancerogeno? Non è scienza”. Giorgio Palù affossa la Viola

La posizione del presidente di Aifa nei confronti degli attacchi contro il vino: “Mi pare che ci stiamo suicidando di politicamente corretto”

Mentre prosegue la crociata contro il vino dell’immunologa Antonella Viola, arriva la decisa smentita del presidente di Aifa Giorgio Palù. Intervistato da Libero Quotidiano, il professore afferma senza mezzi termini che andare ad affermare certe cose sul vino, ossia che è cancerogeno, non è di fatto scienza.

“La salute è una questione olistica, dipende dalla genetica, dall’ambiente, dalla nutrizione, dagli stili di vita, dalla socialità, dalla storia personale”, osserva Palù. “E la medicina non è propriamente una scienza esatta, anche quando adotta il metodo scientifico: procede per tentativi ed errori e si basa su studi clinici che quasi sempre abbisognano di conferme”, aggiunge.

Fatta tale premessa, il professore entra nel dettaglio: “Si fa un gran parlare di scienza medica senza riconoscere i limiti intrinsechi e i valori di certi studi osservazionali. Lo abbiamo visto con il Covid, con le suggestioni predicate negli ambienti no-vax e con certe affermazioni sugli effetti dannosi del vino”.

Parlando dell’Irlanda, Palù lancia la provocazione: “E con la birra Irlandese come la mettiamo? Alcol per alcol….?”. In effetti il ragionamento non fa una piega. Le autorità intendono per caso etichettare anche la loro birra? Oppure quella è più salutare? “Mi pare ci stiamo suicidando di politicamente corretto, inseguiamo totem e pregiudizi individuali che ci creiamo senza fondamenti scientifici e sui quali poi ostinatamente ci riconosciamo rinnegando perfino la nostra storia e le nostre tradizioni”, osserva.

Il vino fa parte della nostra storia, della nostra cultura. È parte integrante della classica tavola italiana. Rinnegarlo è rinnegare la nostra storia. Ne è convinto il presidente di Aifa, che vede gli attacchi rivolti contro la bevanda come un respingimento “della nostra cultura artistica, letteraria, musicale perfino quell’identità religiosa per cui il vino si trasforma in momento di comunanza umana e in simbolo di trascendenza divina”.

“Che il vino possa nuocere alla salute è una questione di dosi”, passa poi a spiegare. “Esso contiene, oltre all’alcol, alcuni preziosi elementi nutrizionali dotati di effetti farmaceutici benefici per esempio anti-ossidanti, antonciani, fenoli, resveratrolo, vitamine che proteggono dai radicali liberi, le molecole che generano infiammazione e a lungo termine il cancro”, aggiunge.

Ci sono studi, passa poi a elencare il professore, che dimostrano come bere un paio di bicchieri di vino rosso al giorno, dopo i trent’anni, apporti dei benefici. Palù cita anche il medico svizzero del ’500 Teofrasto von Hohenheim, meglio noto come Paracelso, il quale affermava che ogni sostanza contiene in sé un veleno, il segreto risiede nella quantità.

“Il vivere sano impone moderazione in tutte le nostre azioni”, conclude il presidente di Aifa. “In medio stat virtus. Gli studi che attaccano il vino, giudicandolo letale anche in piccole quantità, sono osservazionali, non hanno la dignità scientifica di studi controllati, prescindono, causa pregiudizi di selezione, da elementi cruciali come lo stile di vita, l’alimentazione, il fumo, la massa corporea, la predisposizione genetica”.

https://www.ilgiornale.it – 25/05/2023

I vini più in ascesa al mondo vengono dalla Germania

Chi l’avrebbe detto, secondo un’inchiesta del The Guardian, negli ultimi due anni il singolo paese produttore di vino che più ha migliorato la qualità della propria produzione è la Germania. I vigneti che costeggiano le ripide colline lungo i fiumi Reno e Mosella sono rinomati per essere il luogo di origine di alcuni dei vini bianchi più pregiati e più longevi del mondo, ma oltre a queste nicchie, il paese teutonico offre molto di più. Diamo un rapido sguardo alla storia, alla geografia e ai vitigni che fanno della Germania uno dei paesi vinicoli più interessanti da scoprire oggigiorno.

Quando si parla di regioni vinicole pregiate, la Germania non è tra le prime che vengono in mente. Francia, Italia, Spagna, sono i soliti nomi noti che balzano alla mente. Tuttavia la Germania ha una storia enologica lunga e degna di nota, molto simile a quella della Francia nei suoi inizi. I Romani furono i primi a riconoscere che i ripidi pendii che si affacciano sul fiume Mosella e sui suoi affluenti erano il terroir ideale per piantare la vite. Durante il Medioevo, i monaci cistercensi e benedettini ebbero un ruolo cruciale nello sviluppo e nella produzione di vino di qualità in molte regioni vinicole tedesche, proprio come fecero in Borgogna e nel resto della Francia. Tuttavia nel XVII secolo l’interesse per il vino iniziò a declinare, soprattutto a causa della crescente popolarità della birra, specialmente nel nord del paese.

La fine del XVIII secolo vide la nascita dei vini dolci di alta qualità da “vendemmia tardiva”. Questi vini, chiamati Spatlese, Leggi il resto di questo articolo »

Vino e marijuana: ecco il cannawine, in California illegale ma popolare

Cannawine: il nome lascia poco spazio all’immaginazione. Con la legalizzazione della cannabis terapeutica e ricreativa nella gran parte degli Stati Uniti e in tutto il Canada, si è assistito a una proliferazione di prodotti di vario genere a base di marijuana confezionati e venduti. Questo fenomeno ha investito anche il mondo del vino, in particolare nelle regioni produttrici della costa occidentale, dove l’espansione della coltivazione e produzione della marijuana ha fatto tornare di moda il binomio tra vino e cannabis. Ma la storia dei cannawine, che stanno vivendo un nuovo periodo di gloria, parte da più lontano, ovvero dalla California hippie degli anni ’70.

Il vino con cannabis – o in modo più simpatico cannawine – è proprio una nuova tipologia di vino (se così possiamo definirla) in cui l’erba viene aggiunta alle uve durante la fermentazione in cui si sprigionano i componenti attivi della cannabis insieme ai sapori e agli aromi – un po’ come succede con i più famosi brownies alla marijuana – andando a creare una bevanda che oltre a essere alcolica ha anche effetti stupefacenti.

Ma come avviene nello specifico il procedimento? Sebbene il metodo sia semplice, permette innumerevoli variazioni a seconda dell’intento e della voglia di sperimentare dei vignaioli. La cannabis viene aggiunta al succo d’uva nel momento in cui inizia a fermentare, il calore stimola l’emissionede principi attivi, ovvero il THC, che causa l’euforia, e il CBD, che invece ha un effetto rilassante.
Oltre a questo metodo appena descritto, esiste una seconda opzione per creare il cannawine: i vignaioli possono lasciare la marijuna  in infusione nel succo prima che inizi la fermentazione, oppure permettere al vino di invecchiare sui fondi di cannabis dopo la fermentazione stessa. Leggi il resto di questo articolo »

Il calice di vino va scelto e maneggiato con cura: ecco come e perché

Quali sono i calici più adatti per servire vini rossi, bianchi o spumanti? Chiariamo subito che il bicchiere dell’acqua (Tumbler) alto o basso che sia va bene per bere acqua, appunto, o piacevoli drink come ci insegna la grande scuola della mixology, molto ben rappresentata dai nostri barman in tutto il mondo. Ma è bandito per il servizio del vino!

Il vino si serve rigorosamente nel calice, ovvero il bicchiere alto, quello con lo stelo e si maneggia dallo stelo, appunto, non dalla coppa. La mano sulla coppa scalda il vino con un gesto orribile che lascia impronte sul vetro. Insomma, non si fa e con l’aggravante del dito mignolo alzato diventa una vera e propria cafonata.

Ma quali sono i calici più adatti al servizio del vino? E soprattutto come sceglierli per uso domestico, ad esempio, senza accendere un mutuo? Anzitutto oggi le dimensioni dei calici sono sufficientemente importanti da poter sostituire quasi sempre il decanter (un bell’oggetto, ma costoso e che utilizzo quasi mai).

Tuttavia l’importanza del bicchiere è fondamentale. Ogni vino ha caratteristiche organolettiche differenti, quindi – a voler fare i bravi scolaretti – sarebbe meglio utilizzare un calice adatto che le esalti appieno. Esistono quelli da Chardonnay, quelli da Bordeaux, da Nebbiolo o da Borgogna (solitamente uguali). E poi c’è chi beve gli spumanti in coppa, chi nella flûte e chi predilige il classico calice da Chardonnay

Oggi si sta diffondendo l’abitudine di usare un solo tipo di bicchiere di dimensioni importanti in cui versare tutte le tipologie di vino, spumanti compresi. Ve lo descrivo al volo. Si tratta di un calice medio a “tulipano” che però non ha un nome vero e proprio. Le pareti tendono a chiudersi verso l’alto (o perlomeno si avvicinano) e, pertanto, consentono la percezione – anzi la facilitano – delle sostanze volatili. È la scelta che consiglio, in quanto utile e poco dispendiosa.

https://www.ilsole24ore.com – 20/05/2023

Vino Amarone, pace fatta tra Consorzio Valpolicella e Famiglie storiche

“Il Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella e la società Famiglie Storiche comunicano di avere definito ogni contenzioso tra loro pendente, avente ad oggetto l’utilizzo della Docg (Denominazione origine controllata garantita, che vale per i vini doc più prestigiosi)  ‘Amarone della Valpolicella’.

Consorzio e Famiglie Storiche condividono l’obiettivo di agire, ciascuno per quanto di propria competenza, per lo sviluppo della Docg ‘Amarone della Valpolicella’ e delle altre denominazioni della Valpolicella, favorendo un clima di equa competizione tra produttori, rispetto reciproco, collaborazione e dialogo; ribadiscono l’importanza della difesa della Docg ‘Amarone della Valpolicella’ e delle altre denominazioni del territorio e della loro promozione in Italia e all’estero, con l’obiettivo di favorire la loro conoscenza e di consolidarne il successo, nell’interesse di tutta la collettività”.

E’ quanto si legge in una nota congiunta a firma di Christian Marchesini per il Consorzio Tutela Vini Valpolicella e di Pierangelo Tommasi per Famiglie Storiche.

https://www.ilrestodelcarlino.it – 18/05/2023

Vino, proposta Docg unica per lo Zibibbo di Pantelleria

Si è conclusa a Pantelleria la tre giorni di incontri sul futuro vitivinicolo e agricolo dell’isola dal titolo “Zibibbo è Pantelleria”.
Oltre 30 gli interventi che si sono succeduti nei diversi momenti di confronto organizzati dal Comune.

Un’iniziativa voluta dal sindaco Vincenzo Campo per promuovere i prodotti e le bellezze dell’isola vulcanica, ma soprattutto per difendere lo Zibibbo, vite da sempre coltivata dai vignaioli panteschi. Oggi il nome Zibibbo figura come vitigno o sinonimo di Moscato nell’etichetta della Doc Sicilia e Igt Terre Siciliane ma non nella Doc Pantelleria.

Tra le tante proposte, anche concrete, la più significativa è quella di lavorare ad una Docg Pantelleria Zibibbo, che comprenda l’intera produzione dell’isola. Spetta adesso ai viticoltori e piccoli imbottigliatori panteschi trovare un’unità di intenti e lavorare per la rinascita del vino locale. Una sponda possono trovarla nell’associazione formata da vip e amici dell’isola che hanno scelto Pantelleria come buen retiro, ma anche in chi, durante la tre giorni, si è offerto di fare una ricerca e sperimentazione di ceppi di zibibbo antico e chi di lavorare ad una zonazione innovativa. Il sindaco Campo ha ricordato i 52 milioni di euro in arrivo grazie al Pnrr.

“Non è una battaglia per il solo vitigno e vino di Zibibbo” ha sottolineato Giampietro Comolli, uno dei più grandi esperti negli anni di consorzi e vini Doc chiamato dal sindaco a stimolare sui temi del dibattito. “E’ la difesa di una produzione che identifica Pantelleria nel mondo. Senza Zibibbo, senza vigne, c’è l’abbandono delle terre. Delocalizzare lo Zibibbo vuol dire incentivare un lento declino produttivo economico vitale a vantaggio di pochi imprenditori non panteschi”.

I piccoli produttori oggi divisi fra associati a Consorzio, associati a Pantelleria Enoica e anche quelli non aderenti a nulla intendono percorrere la strada di una sola “Docg” autonoma, con sede sull’isola. Ovviamente in questo caso confluirebbero dentro un unico Consorzio di Tutela.

https://www.ansa.it/sicilia – 10/05/2023

C’è troppo vino, riunione d’emergenza al Ministero

Che non andasse tutto bene era chiaro da un po’. E non poteva essere altrimenti con l’Italia reduce da due vendemmie a 50 milioni di ettolitri, giacenze in aumento e tensione sui prezzi. Senza contare il rallentamento delle vendite in Gdo, non solo in Italia ma anche all’estero.

Tre Bicchieri aveva già fatto un giro di ricognizione a dicembre scorso (vedi storia di copertina “C’è troppo vino, Serve un piano per il vino italiano”) sentendo i principali territori sotto pressione. Anche allora il responso era stato unanime: bisogna intervenire. Ma come?  Intanto sono passati cinque mesi: tra tre mesi sarà di nuovo tempo di vendemmia e la soluzione non è ancora stata trovata.

Il Tavolo di oggi, convocato dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare su richiesta delle Commissione Ue per capire lo stato del settore, doveva servire proprio a questo: trovare una soluzione condivisa. Ma di condiviso c’è ancora poco.

L’ipotesi più concreta è quella della distillazione di crisi, ovvero la pratica, remunerata con i fondi pubblici, che permettere di trasformare in alcol il vino in eccesso e destinarlo ad altre produzioni (alcol etilico e, quindi, disinfettati comuni). La ratio è quella di non produrre vino in eccesso ed essere pagati propri per non farlo, in questo modo si toglierebbero i vini generici dal mercato per permettere ai vini di maggiore qualità di non subire la concorrenza di quelli di fascia più bassa.

Delle nove sigle di settore coinvolte dal ministro Francesco Lollobrigida, Leggi il resto di questo articolo »

MaWi: il vino sostenibile e resistente di Maculan

MaWi è il primo vino PIWI dell’azienda Maculan, storica realtà vitivinicola con sede a Breganze (Vicenza). L’etichetta nasce da uve Cabernet Volos e Merlot Khorus, varietà resistenti alle malattie fungine che richiedono minori trattamenti in vigna. Con MaWi Maculan esplora un’esperienza vitivinicola che unisce la tutela del territorio ai tratti stilistici dell’azienda. Anche il packaging pensa all’ambiente e alla sostenibilità: la bottiglia in vetro dal peso inferiore ai 450 grammi veste un’etichetta ottenuta interamente da cotone riciclato.
La Cantina avvia il progetto PIWI nel 2017, con l’iniziale messa dimora di 4000 viti di Merlot Khorus e Sauvignon Rytos, due varietà selezionate dall’Università di Udine, e in seguito di 4300 viti di Cabernet Volos.

Nel 2020 Maculan è tra le sette aziende protagoniste dell’iniziativa Passaporto Ambientale per i prodotti agroalimentari della Montagna Vicentina grazie all’introduzione di varietà resistenti in vigneto, ottenendo così il Passaporto Ambientale che favorisce la progettazione e la commercializzazione di nuovi prodotti agroalimentari, rispettosi dell’ambiente. L’iniziativa, finanziata dal Programma di sviluppo rurale della Regione Veneto, ha visto la stipula dell’accordo volontario con l’allora Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), per cui le realtà coinvolte si impegnavano nella riduzione dell’impronta ambientale di uno o più prodotti sotto la guida del
Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova.

“I vigneti di MaWi – spiega Maria Vittoria Maculan, enologo dell’azienda breganzese – Leggi il resto di questo articolo »

In Olanda un gruppo di suore lancia un appello per vendere il vino “o lo berremo tutto”

Un meraviglioso video di presentazione, la mission dell’azienda ben spiegata e un messaggio d’appello a tutti i bevitori: potrebbe essere il video di una cantina vitivinicola multimilionaria e invece è stato realizzato dalle suore del monastero di Sint-Catharinadal a Oosterhout, in Olanda. Ma che vogliono queste consorelle? La vendemmia dello scorso anno è stata super abbondante e quindi hanno tante bottiglie in eccesso prodotte dal vigneto. Le vogliono vendere e per farlo si sono affidate a uno strumento che ancora non conoscono molto bene: internet.

Il convento nel Sud dei Paesi Bassi ha avviato l’attività del vigneto nel 2014 perché particolarmente adatto alla crescita della vite: puro business dunque ma a fin di bene, ovvero mantenere economicamente le suore e aiutare chi ne ha bisogno. Finora hanno prodotto lo stretto necessario: qualche bottiglia per il consumo personale, qualcun altra da vendere all’emporio del Sint-Catharinadal ma l’anno scorso qualcosa è cambiato: “Abbiamo avuto una bella estate — dice Suor Magdalena — con temperature calde che ci hanno permesso di ottenere oltre 60 mila bottiglie di vino”. Un prodotto figlio del cambiamento climatico dunque: in linea teorica i Paesi Bassi non dovrebbero neanche lontanamente poter avere questa resa.

Il costo delle bottiglie è di 14,50 euro e ci sono auxerrois, pinot bianco e pinot grigio, o un pinot nero/gamay rosé. A chi le chiede come mai non abbiano puntato sulla birra, Leggi il resto di questo articolo »