Curiosità

Alcuni viticoltori aggiungono acqua di mare al vino come nell’antica Roma

C’è una cantina, nella bassa valle del Rodano nel Sud della Francia, dove è possibile assaggiare il vino come lo bevevano gli antichi romani, circa 2.000 anni fa, secondo ricette antichissime di Plinio il Vecchio e Lucius Moderatus Columella, un’autorità di spicco dell’agricoltura nell’impero romano.

Hervé Durand, proprietario del vigneto, produce il Turriculae secondo gli scritti di Columella: dopo aver calpestato l’uva, il mosto viene trasferito in un dolium vecchio di 2000 anni (un grosso vaso di ceramica usato dai romani) dove vengono aggiunti fieno macinato e iris. L’ultimo ingrediente è l’acqua di mare.

L’aggiunta d’acqua salata nell’antichità è stata una pratica di vinificazione molto usata: si hanno tracce di quest’usanza fin dal 160 a.C., anno in cui Catone il Vecchio incluse una ricetta in un trattato sull’agricoltura che prevedeva l’aggiunta d’acqua di mare al vino. Oltre a conferire una piacevolmente e inaspettata salinità, l’aggiunta di sale al vino ha aiutato a conservare meglio il nettare, solitamente abbastanza deperibile al tempo dei romani.

Durand non è l’unico produttore di vino a seguire ricette antiche di migliaia di anni. Come riporta Atlas Obscura, l’enologo portoghese Dirk Niepoort è venuto a conoscenza di questa pratica da un produttore di vino tradizionale delle Azzorre, che utilizza la tecnica per consentire alle sue bottiglie di durare più a lungo.
Niepoort, che produce alcuni dei Porto più apprezzati in Portogallo, aveva necessità di rendere i suoi vini più leggeri, e ha quindi deciso di provarci. «Soprattutto perché la mineralità è diventata una tendenza in crescita nella scena del vino», ha spiegato. Insieme ad altri produttori portoghesi, Niepoort ha constatato che una diluizione dell’1 per cento  è perfetta perché impercettibile, ma grazie alla salinità si può dare “più vita” al vino.

«Come per il cibo, un pizzico di sale può  risvegliare altri sapori. Il vino ha già la dolcezza degli zuccheri dell’uva, l’acidità del frutto e l’amaro dei suoi tannini, quindi la salinità è perfetta per bilanciare i sapori» ha detto Anselmo Mendes, uno dei produttori che ha collaborato al progetto.

www.rivistastudio.com – 22/12/2020

Affinare a 2.000 metri: il freddo amplifica le caratteristiche del vino, che evolve senza invecchiare

NELLE MINIERE D’ARGENTONel 1237 un documento dei Conti del Tirolo dichiara che l’argento estratto in Val Ridanna, una stretta valle altoatesina quasi al confine con l’Austria, era considerato il migliore d’Europa, l’Argentum Bonum. Oggi di quei tempi resta una miniera scavata nella montagna, a 2mila metri di quota: ed è lì che la produttrice Elena Walch ha deciso di affinare ogni anno una piccola parte della sua produzione. Solo bianchi, Gewürztraminer Kastelaz e la cuvée a base Chardonnay Beyond the Clouds. Un tocco d’argento regalato dal buio (per arrivare alla galleria di affinamento si percorrono tre chilometri all’interno del monte) e dalla temperatura costante di sette gradi con un’umidità del 95 per cento.

Tutto nasce per caso, con un ricordo di famiglia: «Fu mia nonna a notare che, nella nostra baita di montagna, la Schiava, un vino da bere giovane, non adatto all’invecchiamento, si manteneva bene per anni. Da lì, la ricerca di un luogo in quota per affinare le nostre bottiglie e donare loro una maggiore longevità. L’ex miniera d’argento ci è sembrata, anche simbolicamente, il luogo giusto», spiega Karoline Walch, figlia della produttrice e responsabile del progetto. Dal 2011 Walch riserva 1.200 bottiglie per tipo all’affinamento in miniera, dove riposano per quattro o cinque anni, si fregiano della dicitura Argentum Bonum in etichetta e sono poi vendute su prenotazione a privati o enoteche. Le degustazioni comparative con gli stessi vini affinati in cantina non mentono: quelli che arrivano dal cuore della montagna mostrano un colore dai toni più freddi e brillanti, segno di giovinezza, e una maturazione più lenta, più armonica e complessa. Leggi il resto di questo articolo »

Quel confronto senza tempo tra vino e birra

A parte l’idromele, bevanda alcoolica prodotta dalla fermentazione di una soluzione di miele in acqua, che sarà comunque sempre un prodotto di nicchia (anche per la rarità del miele stesso), fino alla scoperta medievale della distillazione due sono le bevande che tengono il campo nel mondo mediterraneo, all’incrocio dei tre continenti Asia, Africa ed Europa: la birra e il vino. Antichissime tutte e due, e sempre in qualche modo contrapposte.

Che cosa sono, storicamente parlando, vino e birra? Bevande fermentate, l’una prodotta col succo dell’uva (o, per estensione, di altri frutti zuccherini: spesso l’antichità non distingueva il vino da quello che noi chiamiamo sidro, di mele o di pere, e conosceva anche un vino di datteri), l’altra con orzo ed altre granaglie. Contrapposte, dicevamo: e siccome la nostra cultura europea ed occidentale, specie poi se meridionale, reca fortissima l’impronta greco-latina, siamo stati abituati a considerare la civiltà del vino superiore a quella della birra; bevanda in antico di popolazioni barbariche asiatiche ed africane, poi anche di quegli altri barbari del Nord, Galli e Germani, che non conoscevano la vite. La birra sarà così considerata nel Medio Evo “surrogato” del vino per popoli che non sono in grado di coltivare un vigneto. Ma non è andata proprio così.

Forse più antica del vino (forse…) la birra è la bevanda d’elezione di grandi civiltà fiorite ben prima di quella greca; sue patrie sono la cosiddetta Mezzaluna fertile, la Mesopotamia, e l’Egitto, e la si produce inizialmente con pane (d’orzo) poco cotto ammollato in acqua. Il metodo col quale tuttora in Russia, ma con pane di segale, si produce il Kvass e che, con un qualche successo, ma utilizzando pane di frumento, è stato riprodotto in alcune carceri italiane (esperimento in corso anche a Taranto, pur se rallentato da impacci burocraticofiscali, con impianti pronti e detenuti già qualificati attraverso corsi di formazione) per utilizzare i panini (in intatte confezioni sigillate monodose) rimasti non consumati a mensa. I Sumeri la chiamano per questo motivo “pane liquido”, e la utilizzano anche per pagare i salari degli operai. Leggi il resto di questo articolo »

Cos’è un “vino naturale”? “Una dicitura ingannevole per il consumatore”, dice l’Ue

Cos’è un vino naturale? Quando un vini si possono definire naturali? A rispondere è nientemeno che la Direzione Generale Agricoltura e Sviluppo Rurale (DG-AGRI) della Commissione europea, che giudica tale dicitura “ingannevole per il consumatore” e “contraria al diritto dell’Ue. Vigilerà dunque sul suo difforme utilizzo.

Una considerazione che non si rivolge solo al “vino naturale“, ma anche al “vin méthode nature“. Secondo la Commissione, “l’informazione spinge il consumatore a ritenere che il prodotto così designato abbia una qualità o salubrità superiore rispetto ad un altro vino che non riporta la medesima dicitura”.

Verrebbe così “suggerita una differenza sostanziale nella sua composizione e natura”, tale da considerare tale informazione “potenzialmente ingannevole e, quindi, contraria al diritto Ue”, nonché alle discipline vitivinicole.

In realtà, la dicitura “vino naturale” non rientra affatto nella disciplina europea e non è inclusa nella lista delle categorie di prodotti vitivinicoli presenti nell’allegato VII del regolamento Ue n. 1308/2013, parte II.

Allo stesso tempo, ai sensi dell’articolo 80 del regolamento Ue n. 1308/2013, le pratiche enologiche autorizzate sono impiegate “per consentire una buona vinificazione, una buona conservazione o un buon affinamento dei prodotti”.

“Esse – precisa la Commissione europea – preservano le caratteristiche naturali ed essenziali del vino, garantendone la composizione da modifiche sostanziali. Pertanto, un prodotto vitivinicolo può essere commercializzato come ‘vino naturale’ se rientra nella definizione di una delle richiamate categorie di prodotti vitivinicoli e se è stato ottenuto in conformità alle disposizioni sulle pratiche enologiche autorizzate, senza alcuna distinzione su quali particolari pratiche sono intervenute nel processo produttivo”.

www.winemag.it – 01/12/2020

Sognate di immergervi in una vasca piena di vino? Da oggi si può

Se avete accolto con golosità le specialità di alcuni centri estetici, nei quali si praticano massaggi a base di cioccolato o di vino rosso, non potrete che restare entusiasti della nuova esclusiva proposta di un centro benessere di Coventry, in Inghilterra -SpaSeekers- che propone giornate termali a base di vin brulé, sfruttando le già sperimentate proprietà antiossidanti del vino rosso, con l’aggiunta di spezie ed agrumi per un momento di relax dal tocco decisamente natalizio.

Ma facciamo un piccolo passo indietro per coloro che si fossero persi le nuove frontiere del relax. Il massaggio al cioccolato, solitamente della durata di 45 minuti, ha straordinarie proprietà emollienti e nutrienti, stimola le endorfine, responsabili del buon umore, mentre i polifenoli ed il tannino contenuti in esso agiscono contrastando l’invecchiamento cutaneo. Idem dicasi per il vino rosso, di cui, se bevuto in modica quantità, la stessa comunità scientifica più volte ha esaltato le proprietà anti ossidanti.

La vinoterapia I benefici dell’uva e del vino sulla pelle sono molteplici ed annoverano effetti antiossidanti, disintossicanti e tonificanti. L’uva ed il vino contengono resveratrolo, sali minerali e vitamine, tra cui quelle del gruppo B ed anche la vitamina C, le cui proprietà benefiche sono universalmente riconosciute a livello medico.

Tra le altre proprietà spicca la quercetina, utile per migliorare il microcircolo superficiale della pelle. Per vinoterapia dunque si intende quella serie di trattamenti cosmetici a base di vino rosso e mosto per la cura del viso e del corpo. Molto nota in Francia, la vinoterapia si è presto affermata e diffusa anche in Italia: parecchie sono le spa che la contemplano, dal Piemonte all’Alto Adige, dal Trentino alla Toscana.

E veniamo ora alla novità del momento, l’idromassaggio al vin brulé. Immersi in una vasca dalla confortevole temperatura di 37 gradi, vi sentirete avvolti e coccolati dai suoi deliziosi effluvi. Se il relax è ovviamente assicurato, altrettanto lo sono i benefici: i pori della vostra pelle, aprendosi, espelleranno le tossine, mentre i tannini contenuti nel vino e i polifenoli dell’uva e degli agrumi agiranno come antibatterici naturali e contribuiranno a migliorare la circolazione sanguigna.

L’unica accortezza che dovrete tenere a mente è di non ingerire la miscela nella quale sarete immersi, essendo trattata per creare un ph ad hoc. Ma non preoccupatevi, fuori dalla vasca avrete il vostro bicchiere omaggio di vin brulé per completare l’offerta che, unitamente ad uno scrub corpo e ad un lungo massaggio all’incenso, è di 60 sterline a persona.

Viene da desiderare di prendere l’aereo, pratica momentaneamente non consentita in tempi di pandemia, per poter godere di questo esclusivo ed originale trattamento, che speriamo possa esistere presto anche in Italia.

www.rtl.it – 28/11/2020

Vin brulè: la bevanda protagonista dell’inverno

Per quanto l’autunno abbia avuto uno dei suoi inizi più miti, già si attende il momento del vin brulè, il vino caldo e fortemente speziato utile per combattere il freddo dell’inverno ed al quale la tradizione attribuisce anche molti prodigi per la salute.

Con ricette leggermente diverse, questo vino è presente nel folklore popolare di moltissimi Paesi europei. Chiamato “mulled wine” nei Paesi anglofoni, “vin chaud” in Francia e “glühwein” in Germania, è anche diffuso in Italia, soprattutto nel più freddo settentrione dove, in omaggio al regionalismo nostrano, è conosciuto con diversi nomi: “vinbruè”, “bisò” o “vin càud”.

Sempre comunque tre gli ingredienti principali, come ricorda Garantitaly: vino, zucchero, spezie e frutta. Il vino è quasi sempre rosso e tra le spezie più utilizzate spiccano cannella e chiodi di garofano, mentre per la frutta, i tipi più comuni sono le scorze di agrumi e i pezzetti di mela. E, anche se nessuno studio scientifico è stato mai seriamente condotto per comprovarli, i benefici che la cultura orale popolare attribuisce al vin brulè sono molti e sorprendenti.

Prima di tutto, ovviamente, il calore prodotto da questo vino è un aiuto contro il raffreddamento corporeo: non a caso è proprio all’aperto che il consumo di questa bevanda è più diffuso l’immagine del brulè è associata alla neve e ai mercatini di Natale, che quest’anno però sono vietati dal Dpcm del 3 novembre.

E poi c’è il resveratrolo: questa sostanza, sempre presente nel vino rosso, ha ormai ben dimostrate proprietà antiossidanti e larghi studi medici ne hanno dimostrato l’efficacia contro l’invecchiamento e alcune patologie anche gravi: ebbene, pur senza alcuna controprova, in molti sostengono che la cottura del vino, facendo evaporare il contenuto alcolico, rafforza questi benefici generati dal resveretrolo.

E poi ci sono le spezie che bollite nel vino sprigionano al massimo il loro effetto contro il raffreddore e la cattiva digestione. E basta inalare i vapori caldi sprigionati da questo vino perché le vie aree intasate trovino sollievo.

www.corrierenazionale.it – 22/11/2020

Quale dei due fa più bene il vino bianco o quello rosso?

Mettiamo in gara fra loro due grappoli che sono all’origine delle bollicine e del colore rubino. Un profumo che invoglia ad assaggiare entrambi, perché ben si accompagnano alle pietanze della nostra cucina. Ma oggi ci chiediamo quale dei due fa più bene il vino bianco o quello rosso?

L’antico nome dell’Italia era Enotria, cioè “terra del vino”. Furono proprio i Romani a intensificare la coltivazione della vite e a portarla in tutto l’antico impero. Il vino si sa si sposa bene con le pietanze, ma ci sono poi i cultori che amano gustarli da soli, per assaporarne il bouquet come fanno i sommelier. Proviamo allora a confrontare il bianco e il rosso e vediamo quale dei due sia più salutare.

Il vino bianco possiede diverse proprietà. Contrasta l’osteoporosi e la presenza di tirosolo aiuta nei reumatismi. Migliora anche il colesterolo, sia quello buono che quello cattivo, questo emerge da uno studio promosso dalla rivista belga In Vino Veritas. Fa bene anche all’arteriosclerosi, come quello rosso secondo il Professor Miloš Táborský della Repubblica ceca.

Uno studio dell’Università di Reading nel Regno Unito mostra che ci sono alcuni vitigni come il Pinot nero che salvaguardano la memoria e migliorano la spazialità.

Proprietà anti invecchiamento sono state scoperte dalla Harvard School proprio nel vino bianco.

Il vino rosso riscalda, è potente ed è composto da antiossidanti, e sostanze come il resveratrolo, epicatechina e catechina. Il resveratrolo è stato da poco osservato da uno studio dell’università di Buffalo e pubblicato sulla rivista Neuropharmacology, che rivela l’azione antidepressiva del vino rosso.

Secondo uno studio del Prof. S. Renaud il vino rosso spiegherebbe il cosiddetto “paradosso francese”. Nonostante in Francia si consumino molte carni che dovrebbero provocare problemi al sistema cardio-vascolare a causa dei grassi in esse contenuti, ciò non avviene. E questo sembra sia dovuto al vino rosso che accompagna le tavole francesi. In effetti il rosso è ricco di grassi Omega 3 che hanno un’attività protettiva sul cuore.

L’etanolo contenuto nel vino rosso aiuta a metabolizzare il glucosio e riduce il rischio di diabete di tipo 2.
Quale dei due è più benefico?
Si può dire che ambedue sono salutari, ma che non si faccia venir la voglia di berli entrambi durante il pasto. Che si osservi la regola di mai mischiare vino bianco e rosso.

Inoltre il vino fa bene se bevuto con moderazione altrimenti si ottiene un effetto negativo sulla salute.

www.proiezionidiborsa.it – 20/11/2020

Ma perché le bottiglie di vino sono da 75 cl e non da 1 litro?

Sulle bottiglie di vino, nella etichetta, c’è scritto 750 ml oppure 75 cl, ma mai 1 litro. Come mai? C’è un motivo preciso oppure è una formula casuale che poi con il tempo è diventata usanza? Serve perché così il vino si mantiene meglio ed è più buono? Ma perché le bottiglie di vino sono da 75 cl e non da 1 litro?

Ci sono varie ipotesi sulla motivazione
Le ipotesi sono varie. Una legata alla capacità polmonare del vetro. Infatti, al tempo i soffiatori di vino non riuscivano a realizzare delle bottiglie in vetro grandi 1 litro, ma erano circa di 65 o 75 cl. Così si optò per la maggiore, ovvero i 75 cl. Un’altra teoria è che all’interno di una bottiglia di vino da 75 cl ci entrano perfettamente 6 bicchieri da 12,5 cl. O ancora per facilitare il trasporto all’interno di scatole in legno.

Ma perché le bottiglie di vino sono da 75 cl e non da 1 litro?
Esiste un’altra motivazione, che risiede sempre nella storia. Infatti storicamente i più grandi produttori di vino erano i francesi e i clienti erano gli inglesi. Però, al tempo, l’unità di misura era diversa. Un po’ come le popolazioni anglosassoni che, ad oggi, usano ancora il sistema di misurazione imperiale, che non è un sistema decimale, ma si basa sul numero 12 e sui suoi multipli.

Infatti, al tempo l’unità di misura degli inglesi era il gallone, 1 gallone equivale a 4.54 litri. Per rendere i conti delle conversioni più facili hanno deciso di trasportare il vino di Bordeaux in botti da 225 litri, quindi 50 galloni. Queste corrispondono a 300 bottiglie da 750 ml. Dato che così il conteggio era più facile hanno adottato una barile che equivale a 50 galloni che sono 300 bottiglie. Facendo così un gallone corrispondeva a 6 bottiglie. E oggi le scatole di vino sono composte da 6 bottiglie oppure da 12.

www.proiezionidiborsa.it – 14/11/2020

Din-Doc: il vino a denominazione di origine raccontato come un fumetto sui canali Federdoc

Prende il via sui vari canali social di Federdoc Din-Doc un format di 6 puntate di circa 3 minuti ciascuna che, con uno stile semplice e divertente, punta a coinvolgere anche i neofiti, curiosi di approfondire la propria conoscenza su argomenti che spesso risultano di difficile comprensione per i non iniziati al mondo del vino a denominazione di origine. Protagonista sarà Tinto, alias Nicola Prudente, noto conduttore radiofonico, televisivo e autore televisivo che si aggira, novello Roger Rabbit, tra cartoon ed effetti speciali, accompagnando lo spettatore per mano in un viaggio nell’affascinante mondo del vino.

“Se c’è una critica che viene di frequente mossa a chi racconta il mondo del vino è quella di usare un linguaggio per addetti ai lavori – commenta Riccardo Ricci Curbastro, Presidente Federdoc – Succede nelle degustazioni, dove alcuni termini risultano spiazzanti. Figuriamoci quando si devono affrontare temi come l’etichettatura, i disciplinari, il sistema dei controlli o la piramide qualitativa. Con Din-Doc abbiamo voluto provare a proporre un approccio più semplice e coinvolgente”.

Un’iniziativa originale che desta curiosità, e che ha già collezionato moltissimi contatti dai trailer di presentazione che già da diversi giorni vengono veicolati attraverso i canali social Federdoc (Facebook, Instagram, e il sito dedicato, DinDoc.it); pillole rapide e divertenti, apprezzate anche dal pubblico dei più giovani, che dimostrano come sia possibile proporre argomenti in apparenza complessi, utilizzando un linguaggio in grado di creare immediata empatia. Soprattutto se a farlo è Nicola Prudente, in arte Tinto, insider del mondo del vino che già da anni ha adottato uno stile non accademico per raccontare i territori, le etichette e le storie che caratterizzano il comparto. Leggi il resto di questo articolo »

Alba Vitæ: un vino esclusivo per i dieci anni del progetto solidale di Ais Veneto

L’Associazione Italiana Sommelier del Veneto ha presentato Lavica 2017, il nuovo vino creato dall’azienda Dal Maso di Montebello Vicentino (Vicenza) per celebrare il decennale di Alba Vitæ. L’iniziativa benefica, nata nel 2011, propone ogni anno un vino d’eccellenza dell’enologia veneta in edizione limitata, che viene messo in vendita per raccogliere fondi a sostegno di progetti solidali.

Di Lavica 2017 saranno disponibili solamente 700 bottiglie in formato magnum, acquistabili nello shop online di AIS Veneto, e il ricavato delle vendite andrà a Vicenza For Children.

“Per la prima volta in dieci anni il vino di Alba Vitæ sarà realizzato appositamente e unicamente per l’occasione – spiega Marco Aldegheri, Presidente di AIS Veneto – e ci sembrava un bel simbolo per festeggiare questo importante compleanno, che cade in un anno così difficile. Un vino nuovo, frutto di un lavoro che continua e simbolo di speranza che si rinnova, gli stessi valori che condividiamo con l’associazione Vicenza For Children, che ogni giorno garantisce supporto emotivo ed economico ai piccoli pazienti e alle loro famiglie”.

Lavica 2017 è un Veneto Rosso IGT che racchiude la potenza e la ricchezza del territorio della DOC Colli Berici, che si caratterizza per suoli argillosi, calcarei e basaltici particolarmente vocati alla coltivazione di uve a bacca rossa. Si tratta a tutti gli effetti di un vino dal “taglio berico”: la base è tai rosso, vitigno simbolo della zona, con l’aggiunta di merlot e cabernet sauvignon prima di un invecchiamento di 16 mesi in barrique di rovere francese.

I fondi ricavati dalla vendita delle bottiglie saranno consegnati a Vicenza For Children per l’acquisto di un cisto-uretro-fibroscopio pediatrico. L’associazione, grazie alla collaborazione con la Direzione sanitaria dell’Ospedale San Bortolo e la condivisione di intenti con la Fondazione San Bortolo Onlus, ha rinnovato in poco più di un anno il Day Hospital Oncoematologico di Vicenza, realizzato a misura di bambino e in grado di permettere ai piccoli pazienti di seguire le terapie in un luogo protetto e accanto alle loro famiglie.

Le magnum in edizione limitata di Lavica 2017 sono acquistabili al costo simbolico di 55 euro all’interno dello shop online store.aisveneto.it

www.eroidelgusto.it – 03/11/2020