Curiosità

La fine del mito del vino francese: Bordeaux a un euro al litro

Prima del cambiamento climatico potrebbe essere il mercato a mettere fuori gioco la viticoltura francese.

Mentro il governo pensa ad aiuti per espiantare 100 mila ettari di vigneti in Francia, per far fronte a un surplus produttivo da 5 milioni di ettolitri, le giacenze pesano nelle cantine, cooperative e private, tanto che ormai non ci si fa più remore neanche a svendere il vino più pregiato.

Recentemente sono stati registrati contratti a Bordeaux per 1000 euro per un tonneau da 900 litri.

“Non è accettabile che ci siano transazioni siano inferiori a 1.000 euro al barile, ben lontane dalla copertura dei costi di produzione. Lasciamo questi mercati ad altri prodotti che hanno meno vincoli normativi, costi di produzione più bassi e rese più elevate. Per mantenere la forza della nostra immagine di vini di qualità, che si riflette nei nostri prodotti, nei nostri impegni per l’ambiente e nella nostra responsabilità sociale, le transazioni devono garantire che tutti questi costi, in costante aumento, siano remunerati.” hanno scritto in una lettera riportata da Vitisphere, Allan Sichel e Bernard Farges, presidente e vicepresidente del Civb, Lionel Chol, presidente della Fédération du Négoce, e Jean-Marie Garde, presidente della Fédération des Grands Vins de Bordeaux.

La situazione è talmente drammatica che i viticoltori stanno trattando col governo incentivi all’espianto perpetuo dei vigneti per 4000-6000 euro ad ettaro mentre vi sarebbe un incentivo di 2000-3000 euro/ha per l’espianto “a tempo”, ovvero con l’impegno a non reimpiantare il vigneto per 6-8 anni.

La viticoltura francese ha però un altro nemico.

Il documentario Un point c’est tout (“Questo è tutto”) racconta il declino inesorabile dei vigneti francesi a causa del cambiamento climatico. Dalla pellicola del vivaista Lilian Bérillon emerge il fatto che senza un intervento rapido e definitivo i grandi vini francesi sono destinati a scomparire.

https://www.teatronaturale.it – 13/02/2024

Caldaro: i vini di montagna Erste+Neue tra presente, passato e futuro

Nata nel 1986 dalla fusione della storica Cantina Sociale di Caldaro, la ”Erste Kellerei”, con la più giovane ”Neue Kellerei”, Erste+Neue ha un obiettivo primario: valorizzare i vitigni tipici.

Vini di montagna, ad ottocento metri sul livello del mare: Erste+Neue fa base a Caldaro, tappa fondamentale della Strada del Vino, in Alto Adige. Eppure ci è capitato di assaggiarli, per la prima volta, a Napoli, a tavola, di quelle ricche di spunti di riflessione ed occasioni per conoscere e crescere. Accolti da La locanda del Gesù Vecchio, atmosfera intima seppur festosa, impreziosita dal fascino di un raffinato palazzo del ‘500, ci siamo ritrovati con il Centro Storico di Napoli nel piatto e le Alpi nei calici. Con il beneficio di seguire le regole o di liberarcene per il semplice gusto di sperimentare. Quando si parla di vino, come di cibo, il traguardo resta la piacevolezza, quella che inevitabilmente passa anche attraverso la soggettività di ognuno di noi.

Erste+Neue nasce a Caldaro, in provincia di Bolzano, nel 1986. Dalla fusione della storica Cantina Sociale ”Erste Kellerei” con la più giovane ”Neue Kellerei”, fondata nel 1925. Vini che parlano di montagne imponenti, di rocce e di forti pendii. Produrre vino lassù significa compiere un atto eroico, passione e sfida che nemmeno si scontrano più: è la dura legge dell’alta montagna.

L’Alto Adige è una delle regioni vitivinicole più piccole d’Italia, ma riesce a garantire grande varietà: basta spostarsi di pochissimo e tutto cambia, con altitudini che oscillano tra i duecentocinquanta ed i mille metri, terreni aridi fatti di sassi ed un impegno che cresce insieme alla gratificazione finale. L’uva matura a lungo sulle piante e le escursioni termiche – tra la notte e il dì – sono consistenti al punto da aver caratterizzato la ben nota aromaticità dei vini altoatesini.

Quanto al suolo, ci sono porfido vulcanico, calcare, roccia, difficoltà che sono state addomesticate per poter virare sull’eleganza e sulla finezza del sorso. La freschezza delle montagne e il sole caldo, eccolo il segreto di Erste+Neue, un lavoro svolto con chiarezza e obiettivi virtuosi. Valorizzare i vitigni del posto ed essere sostenibili, per esempio utilizzando il cosiddetto vetro leggero per ridurre la quantità di materie prime, le emissioni di azoto e di anidride solforosa, senza contare il taglio ai costi che sono legati al trasporto.

https://www.mangiaebevi.it – 06/02/2024

Ecco il “naso elettronico” che svela l’origine e la freschezza dei vini

È stato progettato da una ricercatrice italiana un “naso elettronico” per studiare i vini sul mercato, uno strumento in grado di riconoscere la freschezza del prodotto e la sua origine: è il risultato del lavoro della fisica bresciana Sonia Freddi, nei laboratori del Dipartimento di Fisica dell’Università Cattolica di Brescia.

La scoperta apre la strada a test per i controlli sulla qualità.

Cibi e bevande emettono particolari molecole di gas che possono indicare se un prodotto è fresco o deteriorato. Il naso rileva queste molecole biomarcatori grazie all’analisi delle componenti volatili e può essere potenzialmente applicato in svariati campi come il controllo della qualità, della freschezza e dell’origine dei prodotti.

Il vino, in particolare, è caratterizzato da particolari componenti organolettiche e volatili, circa 800 diverse, che identificano non soltanto la sua composizione chimica o la tipologia d’uva utilizzata ma anche la provenienza. Negli ultimi anni, l’industria vinicola ha cercato tecniche sempre più rapide e affidabili per controllare l’origine di vini Docg o Doc; l’utilizzo di un naso elettronico, grazie alla sensibilità elevata dei sensori è una tecnica che sta prendendo sempre più piede in questo ambito.

Il naso elettronico è stato testato in laboratorio su varie sostanze campione; per esempio ammoniaca, acetone e acido acetico, indicatori dell’adulterazione del vino. Successivamente è stata la volta dei test veri e propri di svariati vini, sia per verificarne la freschezza (in particolare di un generico vino bianco da cucina), sia per il riconoscimento di diverse tipologie di vino. Sono stati testati svariati vini, bianchi e rossi, prodotti in Lombardia (Pinot grigio, pinot rosso, Lugana, chardonnay, sauvignon, prosecco, rime rosè). Il naso elettronico si è dimostrato in grado sia di riconoscere la freschezza e l’adulterazione di un generico vino bianco, sia di riconoscere con buona precisione i vari vini testati.

https://www.virtuquotidiane.it – 06/02/2024

L’Amarone della Valpolicella raccontato dall’archivio Tedeschi

Inaugurato in azienda l’archivio dei vini della storica cantina. Un patrimonio organolettico ora aperto al pubblico dei collezionisti, degli operatori dell’alta ristorazione e degli appassionati.

Racconta la storia della passione tramandata di generazione in generazione, da Lorenzo, il padre innovatore ai figli Antonietta, Sabrina e Riccardo, l’archivio dei vini Tedeschi inaugurato nei giorni scorsi all’interno dell’azienda vitivinicola di Pedemonte di Valpolicella, in provincia di Verona. Ci sono 6.800 bottiglie, su un totale di vecchie annate di circa 27.000 bottiglie, una vera e propria libreria delle etichette catalogate per annata e Cru, che mette a disposizione dei collezionisti italiani ed esteri, una nuova e più profonda esperienza percettiva dei diversi Amarone e Valpolicella Tedeschi.

Un patrimonio organolettico dell’azienda Tedeschi ha un ruolo pioneristico in Valpolicella. L’archivio custodisce cinquant’anni di storia dell’Amarone della Valpolicella e la sua ‘evoluzione’. Una storia di famiglia iniziata negli anni ’60 quando Lorenzo, che oggi ha 91 anni, ebbe l’idea di vinificare separatamente le uve del vigneto Monte Olmi per dare origine ad uno dei primissimi Cru della Valpolicella. Oggi Monte Olmi è il vino emblema dell’azienda e del territorio. In questo vigneto nasce il Cru Capitel Monte Olmo, Amarone della Valpolicella Docg Classico Riserva.

All”inizio degli anni 2000 si è aggiunto il vigneto Leggi il resto di questo articolo »

L’ultimo gradino per il futuro del vino italiano

Nei corsi e ricorsi della storia, il momento di stallo, benché previsto, è poi arrivato. E, così, quello che già si diceva da tempo con toni più o meno allarmistici, ovvero che per un concatenamento di cause il vino avrebbe dovuto fare i conti con un ridimensionamento dei consumi, si è avverato e la scia lunga sembra debba proseguire anche quest’anno.

Gli italiani bevono meno e i dati hanno confermato questa tendenza. Rispetto al 2019 pre-pandemico i consumi di vino in Gdo sono diminuiti dell’8% nel 2023, complice il calo in doppia cifra di vini Igt (-13%) e vini comuni (-17%), a fronte di una ‘tenuta’ dei Dop
(-2 per cento). La fotografia delinea una ridefinizione dei comportamenti d’acquisto: se è vero che calano i consumi, aumenta però la selezione, optando per la fascia più alta.

Il problema, tuttavia, è che il settore vinicolo italiano, che per anni ha vissuto di rendita all’estero, si scontra ora con un momento di riassestamento anche fuori dai confini nazionali. Basti pensare agli Stati Uniti, alle prese con vendite di vino in calo anche nel corso di quest’anno e con magazzini pieni, e alla Francia dove i consumi interni vacillano e, per sostenere il sistema vinicolo francese, è stato proposto di applicare uno sconto sulle tasse per i ristoranti che promuovono i vini locali.

Il panorama è dunque sfidante per la galassia delle aziende italiane del settore, che si scontra anche con una vendemmia scarsa, il cui riflesso, secondo Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini, si vedrà particolarmente nel mondo dello sfuso, per il quale sono previsti “aumenti difficilmente riassorbibili a livello distributivo”.

Tuttavia, questi elementi accendono un faro in una precisa direzione, che è quella verso cui il sistema del vino italiano da tempo cerca di inserirsi: il salto di qualità. Già un anno e mezzo fa si parlava della necessità, per la nostra offerta vinicola, di salire quel gradino ulteriore che mancava per essere inserita nel top, il luogo che ci compete come ‘Paese del bello e del bel vivere’. Ora quel gradino diventa oltremodo strategico perché, di fronte ad una evoluzione dei consumi e delle abitudini a livello globale, solo continuando a lavorare sul posizionamento si porranno le basi per un’auspicata ripresa del mercato nel 2025.

https://wine.pambianconews.com – 30/01/2024

L’alcool non c’è, ma lo zucchero sì e non poco: il vino dealcolizzato non fa rima con salute

Il mercato si sta facendo “tentare” sempre di più dai vini con poca gradazione alcolica oppure dealcolati, prodotti capaci di esprimere freschezza e trovare, in questo momento storico, un feeling più stretto con le nuove categorie di consumatori.

La Francia, dove c’è una storica tradizione produttiva, sembra essere uno dei Paesi più attenti, con investimenti importanti che sono già partiti, come nel caso di Bordeaux Families, la cooperativa che raggruppa 300 famiglie di viticoltori e che ha investito 2,5 milioni di euro su un sistema di dealcolizzazione mediante distillazione sotto vuoto operativo a Sauveterre de Guyenne, come abbiamo riportato su WineNews.

Eppure, l’equazione “alcol free uguale salute” non è così scontata. Gli storici laboratori francesi Dujardin-Salleron, riporta il sito specializzato Vitisphere, sono sempre più richiesti per test di dealcolazione su piccole partite di vino. Ma qualche rischio c’è, come la possibile comparsa di agenti patogeni, senza dimenticare il trattamento con il dimetildicarbonato, un antisettico.

Poi c’è un aspetto interessante, sottolineato dall’enologo Antoine Gruau e riguarda lo zucchero presente nei vini dealcolizzati, il cui quantitativo, sovente, sarebbe elevato: “c’è chi ne aggiunge più di 50 g/litro per ritrovare rotondità. La domanda dei consumatori c’è, ma dobbiamo organizzare bene questo nuovo settore per evitare abusi”.

https://winenews.it – 23/01/2024

Francia, tassa più bassa per ristoranti che promuovono il vino locale: ad Hérault, l’idea anti-crisi

La Francia del vino, una delle maggiori potenze al mondo quando si parla di questo prodotto, come è noto, non sta attraversando uno dei suoi momenti migliori.

Mentre a Bordeaux è iniziata l’espiantazione di oltre 9.000 ettari di vigneti meno pregiati, ma c’è chi, come l’interprofessionale francese ne chiede di più, e l’interesse per l’ingresso di nuovi vigneti, consentito dal Regolamento Ue “non scalda” affatto, tra una protesta sociale, e una polemica sul “digiuno” mensile di alcolici, si cercano nuove soluzioni che possono tendere una mano ai produttori.

Quelli dell’Hérault, nel Sud della Francia, potranno beneficiare di un’idea che ha tutte le potenzialità per essere replicata in Francia ma anche altrove. Arriva, riporta il sito specializzato Vitisphere, con una lettera firmata da Jérôme Despey, presidente della Camera dell’Agricoltura dell’Hérault e André Deljarry, presidente della Camera di Commercio e dell’Industria, si chiede ai sindaci del Dipartimento di applicare uno sconto sulla tassazione per quei ristoranti che promuovono i vini locali.

In particolare, si tratta di un invito per una riduzione sulla “tassa della terrazza” che i locali devono pagare. L’obiettivo è quello di dare un bonus d’incentivo a coloro che sostengono i viticoltori della Linguadoca e promuovere i vini del territorio Aop, Igp ma anche senza Indicazione Geografica, contribuire all’economia agricola dell’Hérault.

E, per la sua parte, dare una scossa ad un settore che attraversa anche una crisi di riduzione di consumi. “La lettera è stata inviata ai 342 Comuni dell’Hérault – ha precisato Jérôme Despey – per chiedere l’esenzione dall’imposta sui ristoranti purché siano valorizzati i vini della regione”. E, intanto, sono già arrivate le prime risposte dai Comuni interessati all’idea.

https://winenews.it – 17/01/2024

Il miglior vino rosé al mondo è italiano. In barba a Brad Pitt

Wine Searcher, portale di monitoraggio e comparazione dei prezzi del vino a livello mondiale, ogni anno stila la classifica The World’s Best Rosés firmata da Nat Sellers, e per il 2023 ha messo sul podio un vino italiano: non un rosato fermo, ma un metodo classico, ovvero il Trentodoc Maso Martis Rosé Extra Brut di Maso Martis, azienda trentina guidata dalla famiglia Stelzer, tra le eccellenze della spumantistica.

Il vino trentino ha superato grandi nomi come Château d’Esclans e Miraval (proveniente dalla tenuta della star di Hollywood Brad Pitt). Il Rosé Extra Brut di Maso Martis ha delle note floreali di frutti di bosco, brioche lievitata, frutta rossa e spezie da forno. Il magazine di settore Wine Enthusiast lo ha definito «uno spumante secco, delizioso». Undici critici internazionali hanno dato 92 punti alla creazione trentina

https://www.open.online – 21/01/2024

La bottiglia diventa “fashion” grazie alla capsula che si illumina al buio

Le bottiglie diventano fashion, acquistando, è proprio il caso di dirlo, una “nuova luce”. Che il mercato del vino abbia un suo valore legato anche al packaging è cosa nota e risaputa perché spesso, a convincere, è anche quello che c’è fuori dalla bottiglia. Adesso, arriva, seguendo questa direzione, una nuova evoluzione: le bottiglie “brillano”, con il progetto “Crealis Glow”, nuova tecnologia di stampa per capsule, capsuloni e tappi a vite che consente di illuminare marchi o messaggi al buio, esponendo la bottiglia alle luci Uv tipicamente usate nelle discoteche e nei locali.

“Si tratta di un concept sviluppato per massimizzare l’impatto esperienziale – spiega Isabelle Gruard, Group Marketing Director Crealis Glow e Crealis Glow non è solo una finitura di grande impatto visivo: consente di illuminare dettagli, di svelare un messaggio nascosto invisibile alla luce del giorno, trasforma il singolo prodotto in un punto di attenzione e, non da ultimo, è instagrammabile.

Vogliamo rispondere, da un lato, alla ritrovata voglia di Millennials e Gen Z di vivere la vita notturna e condividerla sui social, e, dall’altro, all’esigenza dei produttori di trovare sempre nuove formule comunicative ed espressive. Questa proposta è particolarmente adatta a quei segmenti di mercato in cui il drink è fortemente associato all’immagine e allo status o in contesti di consumo con servizi Vip”.

https://winenews.it – 12/01/2024

Parlare di vino

Parlare di vino è difficile, su questo non c’è dubbio. Provare a spiegarlo, soprattutto a un pubblico di non esperti, presenta una serie di problemi peraltro comuni anche ad altri settori specialistici. Si rischia di essere fraintesi, di dire cose non immediatamente comprensibili e che si possono prestare a interpretazioni talvolta malevole.

Se si dice che per chiarificare un vino, cioè per farlo non essere torbido, si usa la colla di pesce o la bentonite a un ascoltatore ignaro potrebbe sembrare chissà quale pratica indecente. Anche se la gelatina di pesce, o colla di pesce, è neutra e trasparente, si usa in pasticceria per fare dei dolci come la panna cotta o la creme caramel, e la bentonite, che ha solo il finale simile a “dinamite” o a “epatite”, è un composto inerte che serve solo a rendere limpido un vino senza lasciare traccia della sua presenza nel prodotto finale. Come peraltro la colla di pesce. Da sottolineare poi che ormai moltissimi produttori usano gelatine vegetali per chiarificare. Ultima cosa, si tratta di pratiche fisiche e non chimiche, come è del tutto evidente, magari non a tutti, ma è così.

Si potrebbe andare avanti con qualche altra considerazione, come quella che per i cambiamenti climatici e anche per l’evoluzione dei gusti, l’arricchimento alcolico con i mosti concentrati (mosti, non “mostri”, e che somigliano a l’innocuo mosto cotto) è sempre meno utilizzato. Poi almeno noi in Italia usiamo quelli, o lo “zucchero d’uva”, in Francia è invece permesso lo zuccheraggio che loro chiamano “chaptalisation” con un termine che suona evidentemente molto meglio.

Infine, ma sempre col Sassicaia ce la dobbiamo prendere? Ma che male ha fatto? Intanto per disciplinare la produzione per ettaro del Bolgheri Sassicaia è di 70 quintali. Poi alla Tenuta San Guido non fanno solo quel vino, ci sono anche il Guidalberto e Le Difese, che sono Toscana Igt con un disciplinare che permette rese più alte. Quindi che tutto arrivi alla produzione totale di un milione di bottiglie è abbastanza ragionevole se consideriamo che la proprietà è di 115 ettari. Se ipotizzassimo una produzione di un milione chili di uva i conti tornano perfettamente. Almeno così mi sembra. Poi, provate a informarvi su quanto producono i grandi Chateaux bordolesi, che so, Mouton Rothschild, e vedrete numeri molto importanti. Niente di scandaloso, secondo me. Ma, come dicevo, è difficile parlare di vino.

https://www.doctorwine.wine – 08/01/2024