Meno vino sfuso, più reddito

Broni (Pavia) – “Vendendo il vino come sfuso, non si va da nessuna parte. Siamo in ritardo, ma dobbiamo invertire subito la rotta commerciale.” Enrico Bardone, 80 anni, ingegnere e una lunga esperienza manageriale di vertice nel gruppo Eni, è da quattro giorni alla guida del colosso vinicolo lombardo Terre d’Oltrepò: “Devo ancora avere piena conoscenza di tutti i dati”, premette. In Terre d’Oltrepò è stato consigliere, ma solo per due anni, dal 2016 al 2017: “Da allora, però, diverse cose, dentro e fuori della cantina, sono cambiate. Oggi – ribadisce – la remunerazione delle uve conferite non copre i costi di produzione. Ci sono tante aziende che non riescono più a pagare i fertilizzanti”.

Cosa fare?
“La resa per ettaro deve passare dagli attuali 5-6mila euro a 8-10mila euro. Ci riusciremo puntando più sulla vendita in bottiglia e sull’estero”.

Già ma per un colosso come Terre d’Oltrepò che vinifica mezzo milione di quintali di uva, non è semplice.
“In Veneto e in Trentino ci sono realtà aziendali che fatturano più del triplo di Terre d’Oltrepò (l’ultimo bilancio di Terre era sui 35 milioni di euro di fatturato, ndr) e ci sono riusciti. Io l’avevo suggerito già dieci anni fa perché vendendo sfuso siamo in balia del prezzo imposto da altri e non rende”.

C’è un altro punto da affrontare: solo Terre d’Oltrepo ha più di 70 etichette per altrettanti vini…
“Riflette la situazione dell’intero Oltrepò perché Terre va dalla Valle Versa al Casteggiano. È un problema diffuso a tutto il territorio. Ora anche a livello di Consorzio Tutela Vini Oltrepo Pavese, si comincia ad averne coscienza: troppe etichette nuocciono”.

Un cambiamento di strategia che potrebbe avere bisogno di qualche anno per riuscire.
“Terre dovrebbe passare dall’85% di vendite dello sfuso a un max del 10-15%. Ci vorrà qualche anno, ma ci riusciremo”.

Anche vendendo asset come la cantina di La Versa?
“Non c’è nessuna ipotesi del genere sul tappeto, non c’è attualmente all’ordine del giorno alcuna vendita, caso mai si profila l’esigenza di una novità da attuare entro breve tempo”.

E cioè?
“Dovremo avere un assetto organizzativo ben delineato con un direttore generale. Non siamo affatto concordi con chi diceva che il cda dirige. Il cda è l’organo di controllo e di indirizzo e così deve funzionare. Altrimenti si crea confusione di ruoli”.

Insomma, una grossa sfida per Terre d’Oltrepò
“Non sarà per forza una rivoluzione e proseguiremo anche su alcune strade già intraprese come la presenza a eventi come il Vinitaly o lo sviluppo di una nuova gamma di vini in bottiglia. Quel che è certo è che non c’è alternativa per la viticoltura. O rende o non si può riconvertire in altre colture come in pianura. E per un territorio di oltre 13.500 ettari vitati sarebbe la fine”.

https://www.ilgiorno.it – 26/02/2022

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