Magner Bein: A Modena del maiale non si butta via niente

C’è chi dice che la provincia di Modena sia geograficamente legata al maiale perché infatti ha la forma di uno zampone, ma forse è solo un caso infatti il maiale non è sempre stato l’animale più importante nell’alimentazione dei modenesi, in quanto fu portato nel nostro territorio dai celti circa un secolo prima dei Romani determinando il nome delle nostre città, così come i dialetti e anche l’enogastronomia.

Si pensa, infatti, che la tradizione del gnocco fritto derivi dai celti, così come l’usanza del lardo e più in generale l’importanza del maiale nell’alimentazione.

Di Modena si può dire che del maiale non si butta via proprio nulla tanto che a Castelnuovo Rangone ve ne è una statua nella piazza principale a pochi passi dalla chiesa del comune.

Tuttavia la nostra tradizione è giunta fin ai nostri giorni poiché dopo i celti, i contadini, specialmente nel medioevo, compresero il carico energetico e calorico fornito dalle interiora e dal grasso dell’animale, parti che invece i ricchi buttavano via.

Non è un caso sia il gnocco fritto che i borlenghi siano a base di strutto o che siano così diffusi i ciccioli nella cucina povera modenese.

Infatti, se ci pensiamo a differenza dell’Aceto Balsamico Tradizionale che era fatto nelle cantine dei signorotti modenesi, i prodotti gastronomici a base di maiale o che prevedono l’uso di una sua parte sono di origine contadina e più povera.

Così partendo dalla bassa troviamo il salame di San Felice e poi la città di Mirandola dove nacque lo zampone, e poi la diffusione del cotechino, per non parlare dell’industria alimentare suina del territorio di Castelnuovo Rangone, e dell’uso dello strutto e del lardo nella cucina della montagna e in particolare del Frignano, a cui si aggiungono il prosciutto cotto di Vignola e i ciccioli.

www.modenatoday.it – 08/01/2019

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