Il vino sale in quota, la sfida dei Camuni che ora fa gola anche alla Franciacorta

C’è aria buona, ma soprattutto aria nuova per il vino in Valcamonica. Ancora più importante in un momento storico dove i cambiamenti climatici stanno facendo valorizzare enormemente i vigneti, se non proprio in montagna, almeno a buone quote. E la terra dei Camuni in questo senso non può che avere prospettive inedite, più importanti di quanto si pensi. Tanto più alla luce di numeri da pionieri, facilmente aumentabili, a partire dagli ettari vitati: siamo sui 140, di cui solo la metà seguiti da professionisti. Senza spingersi agli anni ’30 (erano quasi 1800) o agli anni ’50 (2600, il record), 40 anni fa in Valcamonica si vitavano ben 423 ettari.

Il Consorzio Valcamonica che cura l’IGT e raduna 14 delle 24 cantine attive stima una potenzialità annuale da 516 mila bottiglie, oltre il doppio delle 222 mila reali. Quello che piace è vedere la voglia di crescere, di uscire dai confini della valle e della provincia senza perdere il filo, leggi stretto rapporto con un territorio unico. Per bellezza e per difficoltà, come è normale nella cosiddetta viticoltura eroica, tutta pendenze e terrazzamenti. In questo è evidente che si parla la lingua dei colleghi valdostani, altoatesini, valtellinesi e di altre regioni europee: non a caso — attestazione importante del buon lavoro — il 23 aprile, proprio a Boario Terme si terrà il convegno del Cervim (Centro di ricerca, studi, salvaguardia, coordinamento, valorizzazione per la viticoltura montana) sul legame imprescindibile tra montagna e territorio.

Come è giusto che sia in una fase di crescita, bisogna mettere insieme scienza e marketing. In questo senso rientra la sfida di affinare 200 bottiglie circa in un igloo di ghiaccio ai 2.000 metri del Corno d’Aola, realizzato in collaborazione con il Consorzio Pontedilegno-Tonale e l’Università della Montagna di Edolo. Il polo montano dell’Università degli Studi milanese è impegnato su un passaggio fondamentale: il progetto Val.so.vi.ca — Valorizzazione sostenibile della vitivinicoltura camuna — dove insieme a Comunità Montana, Fondazione Fojanini e alle cantine lavora a un piano di zonizzazione dei vitigni adatto per ogni area geografica. Due anni di studi e test, arrivati alla dirittura finale. «Così capiremo le più idonee strategie agronomiche ed enologiche per ciascuna delle aree che costituiscono l’IGT — spiega il presidente del Consorzio, Tino Tedeschi — e sarà possibile definire l’identità della nostra vitivinicoltura, consentendone lo sviluppo in modo coerente con le potenzialità del territorio».

Altro passaggio decisivo: nel 2022 ci sarà la prima vendemmia con il nuovo disciplinare, che dovrebbe essere approvato a Roma in aprile. Ci saranno l’introduzione di altri vitigni (ora per il rosso si usano Marzemino e Merlot per un minimo del 60% mentre per il bianco Riesling Renano, Incrocio Manzoni e Muller Thurgau sempre al 60%), la codificazione del Metodo Classico (già prodotto ma senza disciplinare) per entrare nel vivace mercato delle bollicine, un’estensione della zona IGT del 15-20%. Ovviamente salendo di quota, come sogna ogni cantina di collina e di pianura. Non è un caso che dalla Franciacorta si guardi con crescente interesse ai vigneti in valle che in buona parte sono tra 500 e 800 metri di altezza. «Siamo all’inizio, dobbiamo creare una vera rete commerciale ma il primo obiettivo resta quello di alzare i numeri produttivi, migliorando la qualità e rispettando il nostro territorio» spiega Sergio Bonomelli, direttore del Consorzio. Quella delle cantine sopra l’Iseo è una bella sfida, da seguire. Fatta in umiltà ma con orgoglio camuno.

https://brescia.corriere.it – 27/03/2022

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