Il vino naturale non esiste

Durante il Festival di Gastronomika uno dei tavoli più vivaci è stato senz’altro quello dedicato a un grande dibattito nel mondo del vino: naturale o convenzionale? La discussione è iniziata affrontando subito l’elefante nella stanza: il termine “naturale” fa storcere il naso a non pochi produttori e addetti al mestiere. “Naturale”, infatti, rimanda a un qualcosa di ottenuto direttamente dalla natura, senza intervento dell’uomo e potrebbe dunque ingenerare confusione nei consumatori. Tuttavia, sorprende come espressioni quali “acqua naturale” o “yogurt naturale” non destino lo stesso scalpore e lo stesso sdegno dI “vino naturale”. Sembra quasi che non si voglia guardare oltre al proprio naso e ci si trinceri su una questione semantica pur di non guardare al messaggio che porta con sé il movimento del vino naturale.

Il Movimento nasce in Francia alla fine degli anni ’70 del secolo scorso come reazione alla viticoltura e all’enologia industriale, che ha iniziato a imporsi nel secondo dopoguerra. Dopo il secondo conflitto mondiale, infatti, aumenta significativamente nell’industria agroalimentare l’utilizzo massiccio di sostanze chimiche come erbicidi e pesticidi e, pochi anni dopo, si assiste anche a un incremento dell’uso degli additivi nella vinificazione. A questa tendenza si ribella un gruppo di produttori del Beaujolais, che pone l’accento sull’importanza di un’agricoltura biologica o biodinamica e su un processo di vinificazione poco interventista fatto di pochi o nessun additivo.

Oggi quello del vino naturale è oggi un movimento vivo e radicato in tutte le regioni vitivinicole e porta con sé pregi e difetti dell’essere diventano una moda.

Il mercato, infatti, ci racconta che la fama del vino naturale stia crescendo – come evidenzia il report Wine Intelligence “Alternative Wine Opportunity Index in 2022” in cui il vino naturale risulta la categoria preferita tra i vini “Sola”, ossia Sustainable, Organic, Lower alcohol, Alternative, davanti ai vini organici e a quelli prodotti in maniera sostenibile.
Tuttavia, dallo studio emerge un altro dato interessante: per la maggior parte dei consumatori, il vino è naturale in quanto tale, a prescindere dal livello di intervento delle lavorazioni in vigna e in cantina.

Il vino naturale è quindi ancora alla ricerca di una propria identità definita, sia a livello comunicativo che a livello produttivo e giuridico.

Per quanto riguarda il primo aspetto, i sommelier e gli enotecari presenti hanno sottolineato come il vino naturale sia in grado di toccare le corde emotive dei consumatori, in modo molto simile a quello che fa l’arte. Chi acquista vino naturale, infatti, vuole bere prima di tutto le idee, la visione e la sensibilità di chi lo produce, Vuole, insomma, bere una storia, un racconto che vada oltre il prodotto di per sé.

Il vino naturale è dunque in grado di avvicinare nuovi pubblici e di fungere da input per aprire un sentire diverso del vino meno snob e più conviviale.

Tuttavia, la bandiera di vino naturale non può essere utilizzata per giustificare vini sciatti, pieni di difetti e poco piacevoli. Difatti, come convenuto da tutti i presenti, è necessario che il vino – naturale o convenzionale – sia buono e privo di devianze. Troppo spesso, invece, dietro la categoria dei vini naturali si celano prodotto di bassa qualità e omologati da difetti quali il brett e la volatile.

Il punto di partenza sul quale tutti concordano, amanti e produttori di vino convenzionale e non, è che il vino deve essere buono. Non tutti i vigneti sono adatti per i vini naturali (forse anche per il vino in generale), quindi bisogna saper riconoscere la vocazione di un terreno. Non si possono dimenticare cento anni di enologia precedente e demonizzare tutti i prodotti che non fermentano in modo spontaneo.

Al centro del discorso rimangono la consapevolezza dei tempi della vigna, delle stagioni e del lavoro che dev’essere fatto con rigore. E il tema diventa: quanto si deve essere interventisti? Il vino è anche scienza quindi non si può affidare tutto al caso o alla natura. Il prodotto dev’essere salubre e deve cercare di tirare fuori l’essenza del vitigno e preservarlo con una vinificazione il più pura possibile.

Il concetto di “artigianale” sicuramente si porta dietro una storia, delle persone oltre al territorio e il cliente vuole questa esperienza, cerca un racconto. Il mondo del naturale, per qualcuno, ha riportato il vino al centro della tavola, la figura del sommelier negli anni ha allontanato il consumatore. E qui entra in gioco una comunicazione più emotiva, personale e inclusiva tanto che il segmento convenzionale prende ogni giorno i termini e il linguaggio del suo competitor.

L’ultimo nodo affrontato al tavolo è quello giuridico. Ci si chiede infatti se si debba creare un disciplinare per il vino naturale. Gli animi si scaldano, c’è chi sostiene la questione sia noiosa e rischia di mettere fine al movimento, chi invece pensa che sia semplicemente un modo per fotografare la realtà. Peraltro a breve sarà introdotta in etichetta la lista degli ingredienti – in base a una direttiva Ue – e questo potrebbe fare della dicitura “naturale” un’etichetta meno da storytelling e più legata al contenuto reale della bottiglia.

In conclusione, emerge con chiarezza la delicatezza del tema. Perché se è vero che il dibattito non è nuovo, anzi non è nemmeno recente, ancora gli animi si accendono e i punti di vista si incrociano. Niente di più intrigante…

https://www.linkiesta.it – 21/11/2022

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