Degustazioni

La società segreta di chi considera il Lambrusco di Sorbara il miglior vino del mondo

Sono un ragazzo fortunato e uno schifoso privilegiato, ho passato un pomeriggio a bere Sorbara supremo in un casolare fuori Modena (resto nel vago perché è un Sorbara fuori commercio, il produttore non ha nemmeno la partita Iva).

Seduto allo spartano tavolo della rustica cantina c’era un altro lambruschista grandissimo ma non citerò nemmeno lui, meglio non fornire troppi indizi.

Abbiamo bevuto per quattro ore di fila, prima un formidabile Trebbiano di Spagna (il miglior bianco emiliano di sempre?) e poi una raffica di Sorbara di varie annate: tutti vini rifermentati in bottiglia, ciò che chiamo “metodo romantico”. Obiettivo del produttore è fare vini “eleganti e fini”. Superbamente centrato.

Per quattro ore bevo e ammiro la sua capacità di eliminare i difetti (la maledizione dei rifermentati in bottiglia) e al contempo di conservare l’anima (ciò che smarriscono i vini metodo classico e metodo autoclave). Per quattro ore beviamo e compatiamo il volgo ignaro, la gente convinta che il Lambrusco sia un vino dolciastro da supermercato.

Dopo quattro ore è buio e salgo in macchina perfettamente vigile.

Il mattino dopo mi sveglio benissimo. Con la sensazione di aver vissuto un’iniziazione, di essere entrato a far parte di una società segreta: composta da coloro che considerano il Lambrusco di Sorbara il miglior vino del mondo.

https://www.ilfoglio.it – 19/05/2022

L’itinerario europeo del vino, nato in Sicilia, segna un’altra tappa nell’Isola

Forse non tutti sanno che esiste un itinerario culturale, riconosciuto dal Consiglio d’Europa, che attraversa i luoghi più importanti della viticoltura europea.

Il progetto di questo percorso, che si chiama “Iter Vitis”, è nato nel 2007 a Sambuca di Sicilia, Borgo più Bello d’Italia 2016, e coinvolge 25 Paesi del Vecchio Continente. Oggi ad entrare a pieno titolo in questo circuito internazionale è nuovamente la Sicilia – dove tutto è partito – con Castiglione di Sicilia, Borgo più Bello d’Italia 2017.

Il territorio di Castiglione, tra l’Etna e l’Alcantara, vanta una storia importante nel settore della viticoltura sia nei secoli passati che attualmente. Oggi, infatti, conta circa 70 aziende vitivinicole, è sede dell’Enoteca Regionale, del Consorzio Etna Doc, si trova al centro della Strada del Vino dell’Etna ed è ritenuta tra le capitali dell’enoturismo in Sicilia.

“Aderiamo a Iter Vitis – ha detto il sindaco di Castiglione, Antonio Camarda – perché riconosciamo un ruolo determinante nel progetto dei cammini attraverso i vigneti e la storia e la cultura del paesaggio rurale che attraversano. L’itinerario così strutturato, che ci proietta in un quadro di collaborazione e promozione europea, diventa ulteriore elemento di attrazione e sviluppo dell’enoturismo e del turismo culturale, permettendo di far scoprire le eccellenze paesaggistiche ed enogastronomiche del nostro territorio che così consolida la sua vocazione turistica internazionale”.

L’obiettivo degli itinerari europei è iniziato con un censimento dei Comuni da inserire in tutti gli Stati membri, in modo da poter dare visibilità anche a piccoli Borghi e poter lavorare a livello capillare sul territorio con progetti che promuovano i valori del Consiglio d’Europa, il turismo culturale, sostenibile e legato ai territori del vino.

“La Sicilia è stata la culla di Iter Vitis, oggi abbiamo 25 Nazioni socie. Fino ad ora, non avevamo purtroppo una presenza in Sicilia Orientale e soprattutto in un’area unica come l’Etna per terroir, paesaggio, tradizione: grazie alla partnership con i Borghi più belli d’Italia  oggi annoveriamo Castiglione di Sicilia cui diamo il benvenuto  tra le nostre città Iter Vitis” afferma Emanuela Panke, presidente dell’Itinerario e in passato direttrice anche della Strada del Vino dell’Etna.

https://www.guidasicilia.it – 13/05/2022

Non chiamatelo vino: tutti gli inganni nelle bottiglie a cui fare attenzione

Vengono chiamati vino, ma non lo sono. Però bisogna conoscerli, questi veri e propri inganni enologici, per evitare di cadere nei tranelli che danneggiano sia il settore, che il consumatore. Stiamo parlando, ad esempio, del vino dealcolato, di quello zuccherato, del vino in polvere, di quello annacquato: sono solo alcune delle ultime clamorose pratiche enologiche che si stanno diffondendo nel mondo. E che Coldiretti ha scelto di mettere al centro della mostra «Non chiamatelo vino», al Vinitaly di Verona.

Questi tranelli in bottiglia sono favoriti dall’estensione della produzione a territori non sempre vocati e senza una radicata cultura enologica. E colpiscono direttamente anche i Paesi con una storia del vino millenaria, come l’Italia, per via della globalizzazione.

«Si tratta di un precedente pericoloso che apre la strada all’introduzione di derive che mettono fortemente a rischio l’identità del vino italiano, che è la principale voce dell’export agroalimentare nazionale», spiega Ettore Prandini. «È in atto una demonizzazione indiscriminata, pilotata da alcune multinazionali, che punta ad affermare un nuovo modello alimentare e culturale che danneggia il settore e mette in discussione storia, cultura e valori fortemente radicati nel cibo e nei vini made in Italy, la dieta mediterranea stessa, patrimonio Unesco e il consumo moderato e responsabile che contraddistingue il vino in Italia».

Per Approfondire: Leggi il resto di questo articolo »

Vino: Grignolino conquista giovani, stranieri e importatori

Successo per la prima edizione di ‘Grignolino, il Nobile Ribelle’, una due giorni ospitata a Grazzano Badoglio (Asti) e dedicata alle numerose interpretazioni di questo vitigno che, con i suoi tannini vivaci, si presta a diversi tipi di vinificazione e d’invecchiamento.

In tanti sono arrivati a degustare le oltre cento etichette prodotte nelle 85 aziende vitivinicole dell’Astigiano e del Monferrato Casalese che hanno risposto alla chiamata dell’Ais – l’Associazione Italiana Sommelier del Piemonte con le delegazioni di Asti e Casale.

“Una prima edizione straordinaria – commentano gli organizzatori – Il Grignolino coinvolge e suscita curiosità anche tra i palati più esperti. Abbiamo avuto giornalisti che tornavano dai Grands Jours de Bourgogne e hanno fatto tappa a Grazzano Badoglio interessati a scoprire questo vino. È la dimostrazione che siamo all’inizio di una nuova era felice per questo vitigno che esprime bene l’anima del Monferrato”.

La produzione di Grignolino si avvicina oggi ai 2 milioni e mezzo di bottiglie, ma la potenzialità supera i 5 milioni: quasi un milione sono doc Grignolino d’Asti, 450 mila doc Grignolino del Monferrato Casalese, 940 mila doc Piemonte Grignolino.

https://www.ansa.it/piemonte – 27/03/2022

Nasce linea cocktail ispirata a processo affinamento vino

Nasce nel mondo dei cocktail “The Key Cocktail”, linea di premiscelati prêt-à-porter ispirata al processo di affinamento del buon vino e con erbe raccolte a mano nel segno dell’antica arte delle herbarie, pratica esercitata da donne nell’antichità e che prevede la raccolta e lo studio delle erbe, lasciate a macerare in alcol e utilizzate per scopi medicamentosi.

A proporre la nuova linea con cocktail “riposati” e ready to drink è Valeria Sebastiani, bartender romana con esperienza nel mondo dei cocktail e del catering. La proposta prevede cheI miscelati siano lasciati in botti di legno per un tempo variabile dai 15 giorni ai 3 mesi, insieme a un mix di erbe e spezie, alcune delle quali raccolte in Lazio e Abruzzo grazie al foraging, elemento, quest’ultimo che permette di gustare i cocktail “ovunque senza bisogno di aggiungere alcun ingrediente, garnish e ghiaccio compresi”.

La collezione oggi è composta da sette preparazioni diverse, per sette differenti identità di gusto: Negroni, Mi.To, Old Fashioned, Gin Martini, Velvet, Manhattan e Martinez. Le preparazioni prendono forma all’interno del liquorificio di 180 mq situato nel quartiere residenziale romano di Quarto Miglio.

https://www.ansa.it – 26/01/2022

Pinot e Lagrein i vini che vengono dal freddo

Attorno al lago di Caldaro (Bassa Atesina, estremo sud della provincia di Bolzano) c’è un distretto del vino che è stato il cuore propulsivo del rilancio della vitivinicoltura dell’estremo nord d’Italia. Le cantine sociali qui si sono rinnovate all’insegna della qualità e dell’identità. Qui è nata la moda dei vini “che vengono dal freddo”, sia rossi (Pinot nero , Schiave, Lagrein) che bianchi (Gewuztraminer, Pinot bianco, Sauvignon).

È lo spirito che anima Erste+Neue, storica cantina i cui vigneti vanno dai pendii più bassi della Costiera della Mendola fino alle pendici delle Dolomiti. Originale anche nel nome (il + simboleggia la fusione fatta nel 1986 di due cooperative sorte nello scorso secolo) la cantina fa parte della storia della viticoltura altoatesina e ha recentemente rinnovato l’immagine dei suoi vini e dell’azienda. La montagna, la freschezza, l’eleganza, la sapidità sono i segni che danno la cifra di tutti i vini. I vigneti, infatti, sono distribuiti in parcelle, esposte a sud, dislocate a partire dai pendii più bassi fino a quasi 900 metri sul livello del mare. Una posizione che consente alla luce del sole di avere un effetto ideale durante il giorno, mentre la notte garantisce una importante escursione termica.

Sono tre le linee dei vini Erste+Neue. La linea di selezione Puntay rappresenta l’eccellenza della cantina che coniuga lo spirito montano e l’eccellenza organolettica dei singoli vitigni. Per fare questo vengono selezionate solo le uve degli appezzamenti più storici, raccolte a mano e a perfetta maturazione. Poi ci sono le linee Classic e Basic con prodotti onesti, autentici, e con un rapporto qualità-prezzo entusiasmante.

Gli assaggi. Dalla linea Puntay vanno segnalati fra i rossi il Pinot nero Riserva 2018 e il Lagrein Riserva 2019 di grande personalità, profumi, finezza; e fra i bianchi un Pinot Bianco, uno Chardonnay e un Sauvignon 2019 di grande ricchezza espressiva e freschezza.
Dalla linea Classic da scegliere a occhi chiusi il Kalterersee Classico Superiore 2020 e il Gewuztraminer 2020.

https://www.quotidiano.net – 16/01/2022

Sushi e vino, 6 abbinamenti perfetti

Il sushi è quella pietanza che negli ultimi anni ha fatto innamorare tutto il mondo.
Piatto originario del Giappone, si tratta di pesce crudo, spesso avvolto all’interno di alghe e riso. A prima vista potrebbe non sembrare la cosa più appetitosa del mondo, ma poi assaggiandolo ti rendi conto che è tanto buono da creare dipendenza! E con tutte le varianti esistenti, potresti assaggiare sushi per anni.

Sappiamo che sei un amante del vino per cui, arrivati a questo punto, conosciamo il tuo dubbio…
Quale vino devo abbinare al sushi? Sushi e vino sono sempre un’accoppiata perfetta, ma la risposta dipende in gran parte dal tipo di sushi che stai mangiando. In questo articolo daremo un’occhiata ad alcuni dei vitigni, italiani e non, che si abbinano molto bene con vari tipi di sushi.
Iniziamo con un vino giapponese che potrebbe venire subito in mente come potenziale abbinamento…

Il sushi è una prelibatezza giapponese… Il SAKE è un vino giapponese…
Deve essere un’accoppiata vincente! In realtà ci sono pareri contrastanti a riguardo. Se parli con gli amanti del sushi tradizionale, ti diranno di non abbinare il sakè a questo piatto per un semplice motivo: il sakè è un vino preparato con riso.
Anche molti piatti di sushi fanno uso massiccio del riso e l’aggiunta di sake nel mix può creare un sapore di riso ancora più pesante.
Per questo, consigliamo di bere sake solo con sushi con basso contenuto di riso.

Passiamo ai vini Italiani. Il sushi si abbina molto bene con un diversi vini rossi italiani. Il PINOT NERO è una delle soluzioni migliori perché è un vino al contempo saporito e delicato. Aggiunge qualcosa al piatto senza sopraffare il sapore del pesce. Leggi il resto di questo articolo »

Il miglior vino bianco al mondo? E’ italiano

Non è certo un mistero che l’Italia abbia un’importante tradizione enologica. Per questo non dovrebbe stupire più di tanto il fatto che, da un campione di centinaia di prodotti, sia stato proprio un vino nostrano a essere definito il miglior bianco. A consegnare la corona d’alloro c’ha pensato il magazine statunitense Wine Enthusiast che, come ogni anno, ha stilato la sua personale classifica. Una graduatoria che, per il 2021, annovera ben 18 vini tricolori, uno dei quali finito davanti a tutti in quanto commistione giusta di qualità, lavorazione e anche prezzo.

Ben 22 mila vini degustati, solo 100 selezionati. L’attenzione degli esperti è meticolosa e letteralmente al millimetro. L’obiettivo è capire quali prodotti riescano effettivamente a sintetizzare tutte le qualità che ci si aspetta da un buon vino, bianco o rosso. E un tale sforzo di analisi, porta a risultati insperati lasciando scoprire che alcuni prodotti a basso costo possono essere comunque garanzia di qualità assoluta. La prima posizione in graduatoria, per la verità, la ottiene un vino francese, ovvero il rosso Margaux Château Siran 2018, ottimo nel rapporto qualità-prezzo. La medaglia d’argento assoluta (d’oro fra i bianchi) la ottiene però il Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2019 di Bucci. Per gli esperti non c’è dubbio: si tratta di un vino bianco “assolutamente fenomenale”, per il gusto che concede ma anche per l’essere clemente con le tasche.

Tale bianco, infatti, si attesta su un costo inferiore ai 20 euro. In pratica, il miglior vino bianco del mondo potrebbe essere acquistato senza troppi sforzi in un qualsiasi supermercato. Si tratta, nello specifico, di un prodotto realizzato nelle Marche, forte di cinquant’anni di Denominazione di Origine Controllata. Ideale per accompagnare un primo di pesce o le verdure, viene definito leggero, cremoso e saporito. Inoltre, contrariamente al luogo comune che lo associa esclusivamente al pesce, si sposserebbe alla perfezione anche con le carni bianche. Il Verdicchio, in poche parole, rappresenta un’eccellenza a tutti gli effetti. Un termine che in sé, nonostante sia così altisonante, potrebbe dire poco. O meglio, non dire tutto. Perché il vino, in fondo, è un’esperienza da assaporare in ogni suo aspetto. E le etichette lasciano il tempo che trovano.

https://www.contocorrenteonline.it – 19/12/2021

Vin brulè: la ricetta

La magica atmosfera dell’avvento è già nell’aria e il desiderio di vivere l’arrivo del Natale secondo la tradizione è davvero sentito. Tra le bevande più popolari delle feste natalizie c’è certamente il vin brulè, la cui ricetta ha origine nell’antica Roma e si è modificata, nel tempo, attraversando secoli di storia e luoghi in cui si è diffusa. Ma quali sono le caratteristiche del vin brulè?

Una delle principali caratteristiche di questa bevanda è il profumo che emana, per cui il consiglio è di scegliere vini di elevata qualità, dai profumi intensi, ricchi di aromi, ma anche corposi per soddisfare appieno il palato. Se volete ottenere, quindi, un buon vin brulè, dovete partire da una buona materia prima. Che tipi di vini utilizzare? Potete avvalervi dei vini tipici del territorio in cui risiedete. Per esempio, in Romagna tra i migliori vini usati per il vin brulè possiamo citare il Sangiovese. In Alto Adige si scelgono vini come il Pinot Nero e la Schiava. Sono ottimi anche i vini piemontesi, come un buon Barbera o un Nebbiolo. Per fare il vin brulè si possono utilizzare anche vini bianchi, come il Pinot Bianco e lo Chardonnay. L’importante è che il vino sia di alto livello qualitativo, se vogliamo coccolarci al meglio con un buon bicchiere.

Vi proponiamo una ricetta per preparare un profumatissimo vin brulè:

- 1 litro di vino rosso
- 1 arancia non trattata
- 1 limone non trattato
- 3 stecche di cannella
- 2 frutti di anice stellato
- 7 chiodi di garofano
- ½ noce moscata grattugiata
- 1 mela
- 170g di zucchero

Prelevate la scorza dell’arancia e del limone dopo averli lavati con cura, evitando di includere la parte bianca che potrebbe rendere la bevanda più amara. Tagliate a fette mezza arancia lasciando la buccia. Lavate la mela e affettatela a rondelle non troppo spesse.Versate il tutto in una pentola con il vino e lo zucchero, unendo le stecche di cannella, l’anice stellato, i chiodi di garofano e la noce moscata grattugiata. Accendete il fuoco, mantenendolo basso, e fate sobbollire per 10 minuti, finché vedete che si scioglie lo zucchero. Poi filtrate il vin brulè con un colino e servitelo, magari accompagnandolo con una fetta di torta. Se avanzate il vin brulè, potete conservarlo per un paio di giorni in frigorifero.

https://www.altroconsumo.it – 24/11/2021

Come si formano le “lacrime” nel calice di vino

La prossima volta che vi servono il vino per poi chiedervi di assaggiarlo, e voi riuscite al massimo a dire “è rosso”, potrete dirottare la conversazione con chi è a tavola con voi e spiegare come si formano quelle lacrime (o “archetti”, come li chiamano i sommelier) sulla superficie interna del bicchiere, quando il vino viene fatto roteare. Chi di vino se ne intende appena un po’, sa che rivelano la gradazione alcolica: più gradi, più lacrime.

Finora la fisica ha spiegato ciò che avviene prima della loro formazione. Facendo ruotare il bicchiere si deposita un fine strato di liquido sulla sua parete. Poi quella patina di vino perde un po’ di alcol, che evapora più rapidamente del resto dei componenti, e così finisce per avere una tensione superficiale (la forza che tiene assieme, per esempio, le bolle di sapone) maggiore del resto del vino. Risultato: quel sottile strato risale un po’ più verso l’alto, all’interno del bicchiere.

Qui inizia la parte che finora nessuno aveva spiegato: come si rompe, poi, formando le lacrime? Lo hanno spiegato Hangjie Ji e colleghi all’Università della California. Il loro modello matematico mostra che l’interazione tra gravità, forma del bicchiere, contenuto alcolico e movimento della mano del sommelier produce un’onda d’urto instabile, cioè una brusca variazione di pressione e densità che si propaga, appunto, come un’onda.

Questa attraversa il vino rimasto attaccato alla superficie, provocando la formazione di grosse gocce che poi ricadono sotto forma di archetti, anziché come un flusso uniforme. Lo studio potrebbe avere applicazioni pratiche, oltre a contribuire alla conversazione a cena: analoghe onde d’urto potrebbero spiegare come umidità e vento interagiscono per formare una patina d’acqua sulle ali degli aerei durante il volo.

https://www.focus.it – 11/10/2021