Degustazioni
Barbera del Sannio, il vino che vuole cambiare nome
Viene confuso con il collega piemontese. Allora, ecco l’idea di una nuova denominazione.
Shakespeare aveva torto: il nome è importante, almeno quando si parla di vino.
Nato nel Sud Italia, il Barbera del Sannio è un vino di qualità, che trova difficoltà ad affermarsi, specialmente nei mercati esteri.
Allora, per cercare soluzioni, la recente “Natale divino” di Castelvenere ha visto riuniti l’Amministrazione locale, l’associazione Cantine al Borgo e la Pro Loco.
Responso della conferenza, il problema sta nel nome: all’estero, il termine “Barbera” viene associato al vino piemontese; chi lo condivide, viene considerato al meglio un parente povero.
Chiarisce Angelo Pizzo, enologo: “Sul mercato nazionale ed internazionale la denominazione Barbera penalizza il vino sannita relegandolo ad un ruolo di copia del primogenito piemontese e falsandone dunque il giudizio dei degustatori”.
Ancora più deciso il sindaco Alessandro di Santo: “E’ come se nel Sannio si producesse un ottimo formaggio dal nome ‘Parmigiano’, per cui le difficoltà di commercializzazione sarebbero notevoli”.
Tra i possibili rimedi, ecco la proposta del Consorzio “Tutela Samnium”: cambiare nome, scegliendone un secondo nome, sfruttando le norme ministeriali.
Il Riesling valdagnese
Nelle famiglie dei contadini di un tempo era chiamato “el rìsli”. Veniva bistrattato e utilizzato come vino da pasto, con uve vinificate solo per uso domestico: spesso accompagnava un piatto di minestra al rientro dal lavoro nei campi. Invece le uve ritenute di maggior pregio e che garantivano un solido sostentamento economico per la famiglia, finivano dritte in cantina sociale. Di generazione in generazione, però, le abitudini sono cambiate; come pure sono mutate le condizioni economiche. Oggi il riesling, vitigno principe per territori come Germania e Austria, ha cambiato essenza: è diventato un vino di passione che, nel caso della Tenuta Dalle Ore di Trissino, ha garantito addirittura l’ingresso nei primi dieci produttori italiani di questa tipologia. In più, con il vanto di essere l’unico vino veneto ammesso in finale. In barba alla più blasonata tradizione teutonica i fratelli Marco, Vittorio e Luciano Margoni Dalle Ore hanno sbaragliato la concorrenza dei rivali nazionali (friulani soprattutto) nonché europei per quanto riguarda la qualità, salendo sul podio al concorso organizzato a Naturno, in provincia di Bolzano, dall’Associazione nazionale riesling d’Italia. Leggi il resto di questo articolo »
Il vino sommerso riemerge dal Paguro
Stappate le prime 100 bottiglie lasciate a maturare tra i resti della piattaforma esplosa 57 anni fa.

RAVENNA – Sono rimaste a maturare per oltre sei mesi nelle profondità dell’Adriatico, nascoste nella ‘pancia’ arrugginita del relitto del Paguro. Ora sono pronte per essere stappate, degustate e messe in commercio, come inedito esperimento di vino sommerso. Con le prime bottiglie ripescate al largo di Porto Corsini, nasce così ufficialmente la Tenuta del Paguro.Si tratta di un’insolita cantina, pensata dai due ravennati Raffaele Ravaglia e Gianluca Grilli proprio all’interno della piattaforma per l’estrazione di idrocarburi sprofondata nel 1965, divenuta un reef artificiale tra i più amati dai sub, e dal 2010 sito di interesse comunitario.
Sul finire della primavera scorsa i due soci avevano posizionato – con l’aiuto dei sub dell’associazione Paguro – oltre 200 bottiglie di vino a una profondità tra i 18 e i 27 metri, per sperimentare l’invecchiamento di quattro diverse qualità romagnole in condizioni ambientali non garantite da nessun’altra cantina convenzionale. Assenza di raggi Uv, temperatura costante tra i 10 e i 13 gradi e continuo flusso d’acqua: fattori permessi nel cosiddetto ‘termoclino’, volgarmente chiamato ‘taglio dell’acqua’, cioè una linea immaginaria che separa l’acqua di superficie da quella di profondità. Le bottiglie sono state qui, nascoste e racchiuse all’interno di quattro cesti di maglia metallica zincata. Hanno atteso fino agli ultimi di ottobre, quando due dei contenitori sono stati issati a bordo della Mephisto per il primo brindisi. Leggi il resto di questo articolo »
Un dubbio vitreo
Torno sull’annosa questione dei bicchieri dove versare il vino, e dai quali poi, in linea di massima, berlo.
In un altro post ho proposto la fondazione di un CLBT, vale a dire di un comitato di liberazione dal bicchiere tondo.
La moda del vino, e dell’enogastronomia in genere, ha infatti moltiplicato le forme dei calici e soprattutto ne ha aumentato a dismisura le dimensioni: da arnesi compatibili con la normale movimentazione di oggetti sulla tavola a vasi di fiori che nascondono i volti dei commensali e talvolta anche le pareti circostanti.
Finché si tratta di bevute conviviali, passi. Il problema è quando si utilizzano recipienti in vetro da nove litri per una degustazione comparativa. La differenza sta in fatti in questo: un bicchiere costoso, di cristallo, ampio, ricco di piombo (quindi microporoso, quindi in grado di sviluppare più particelle odorose), magari fatto a mano, esalta i pregi di un vino e ne minimizza i difetti. Al contrario, un bicchiere di umile vetro, spesso, cilindrico, magari ricavato da un contenitore per crema alimentare spalmabile*, esalta i difetti di un vino e ne minimizza i pregi.
Ho quindi il crescente sospetto, non sulla base di incontrovertibili studi scientifici ma di semplici osservazioni empiriche, che per capire un vino sia preferibile un banalissimo bicchiere dell’acqua. Se poniamo un rosso ha un leggero squilibrio verso le note del rovere, un bicchiere di grande qualità tenderà di solito a far emergere le note floreali e del frutto, riequilibrandone il quadro aromatico; lo stesso vino, in un bicchieraccio da combattimento, farà avvertire la nota boisé nuda, isolata, ancora più scissa. Lo stesso per uno squilibrio alcolico, o di surmaturazione, o di riduzione, etc etc.
Quindi, se organizzate banchi d’assaggio, concorsi enologici, degustazioni comparate, fiere del vino, sagre di Bacco e simili: qualche dozzina di bicchierozzi da osteria potrebbero funzionare egregiamente.
Luigi Veronelli: l’immortale
L’anima dell’anarco-enologo che ha cambiato l’enogastronomia italiana è più viva che mai. Un libro lo racconta. E una fiera del vino “alternativo” continua la sua rivoluzione: perché la vita è troppo corta per bere vini cattivi.
Luigi Veronelli è stato un grande estimatore e conoscitore del vino, giornalista, editore, filosofo e volto della televisione. Classe 1926, ha portato per primo la cultura gastronomica del Paese nelle case egli italiani, quando ancora la tv era in bianco e nero e la scelta di un solo canale.
È stato autore delle prime rubriche gastronomiche e delle prime guide ai vini italiani, si è battuto per la rinascita del vino e dell’olio extravergine di qualità, antesignano delle denominazioni d’origine e di pensieri scomodi, come quello per il “prezzo sorgente”, ossia la dichiarazione in carta dei vini del prezzo di acquisto dal produttore. Lui sentiva in un vino genuino “il sudore versato fra le vigne” e nei grandi Brunelli “le sinfonie di Mahler”, ma nelle sue guide rifiutava i punteggi e le classifiche, andando invece a scovare vignaioli nascosti, sconosciuti e sopraffatti dal grande mercato del vino industriale. Leggi il resto di questo articolo »
Consumatori attenti alla qualità del vino, bevono meno ma con più garanzie.
A tracciare un quadro di come il settore del vino sta attraversando la difficile congiuntura economica, è Mariano Buglioni, amministratore delegato delle Cantine Buglioni.
“Produrre in maniera consapevole è un obbligo morale, oltre che un dovere etico”
Roma, 2 nov. – (Adnkrnos) – Complice la crisi, i consumatori italiani attribuiscono maggiore importanza alla qualità del vino e preferiscono bere meno ma con più garanzie. A tracciare un quadro all’Adnkronos, di come il settore del vino sta attraversando la difficile congiuntura economica, è Mariano Buglioni, amministratore delegato delle Cantine Buglioni. Non c’è dubbio, dunque, che la crisi “oggi c’è, e si fa sentire anche sulle nostre tavole ma siamo tutti disposti a fare qualche sacrificio in più per avere qualità. Si beve cioè di meno, ma ‘meglio”‘. Il consumatore in tempo di crisi, “è informato ed attento alle sensazioni ed emozioni che un vino può offrire. E’ disposto a spendere, ma solo se ne vale veramente la pena”. Leggi il resto di questo articolo »
Uno, cento, mille formaggi. E ciascuno vuole il suo vino
UNA delle domande ‘aperte’ cui difficilmente riesco a trovare una risposta è quando ti chiedono un vino da abbinare ai formaggi. Un vino così non potrà mai uscire perché in Italia abbiamo una grande quantità di formaggi e come per i vini hanno caratteristiche molto diverse e di conseguenza se vogliamo fare gli accademici ci vogliono vini diversi. Io non so se è vera la frase detta da un politico («una nazione che ha più di trecento formaggi non può mettersi d’accordo, deve essere comandata»), ma comunque sia i formaggi sono veramente tanti, molto diversi e di alta qualità.
PER un formaggio fresco come la feta greca, caprino, la burrata, mozzarella ci vogliono vini non troppo acidi come i rosati; per i formaggi a pasta fiorita tipo i brie, camembert, vini che danno freschezza, bene i ‘metodo classico’, oppure un vino di buona freschezza Chardonnay o Kerner; per la gorgonzola, vini morbidi come i vini passiti o botrizzati; per i formaggi non cotti pressati, fontina, asiago, vino rosso di media struttura; per i formaggi cotti a pasta dura come il Bitto, Parmigiano Reggiano, vino rosso di struttura; per pecorini come il Fiore Sardo, Pecorino Romano, Pecorino Siciliano, vino rosso e profumato. Ecco perché costruire una cena di formaggio non comporta troppo tempo di lavorazione in cucina ma bisogna trovare il modo di avere più vini per creare un abbinamento ideale nel percorso a crescere nell’assaggio dei formaggi. Buon appettito.
Compri una Barbera e bevi un Brunello: addio alla tipicità nei vini
C’era una volta la tipicità: la denominazione del vino indicava determinate caratteristiche. Una sperimentazione ci racconta come ormai ciò sia solo un ricordo.
Mi ha colpito il comunicato diffuso in questi giorni, che pubblichiamo di seguito, inviatomi dall’autorevole Centro Studi Assaggiatori di Brescia, guidato dall’amico Luigi Odello, che ha compiuto un’interessante degustazione che ha messo in evidenza quello che, dal mio ben più modesto osservatorio di vecchio cronista del vino, rilevo sempre più negli ultimi anni, ovvero una omologazione nelle caratteristiche dei vini, in particolare i rossi ma a volte anche i bianchi e gli spumanti, che rende sempre più complicato individuarne l’origine, anche da parte di esperti di vaglia, figuriamoci per il consumatore medio o il semplice appassionato.
La Barbera (anche quella d’Asti seppure nel caso non oggetto del test) è uno dei vini che forse maggiormente è cambiata profondamente negli ultimi anni, stemperata al massimo la sua spiccata acidità naturale, per renderla più “internazionale” si è lavorato molto in vigna e cantina ed effettivamente oggi spesso non è molto facile, in una degustazione alla cieca (senza vedere l’etichetta) identificarne con precisione l’origine. Leggi il resto di questo articolo »
Nuove DOCG in vista !
Stiamo ancora caricando i dati delle DOCG e DOC esistenti che ce ne sono di nuove in arrivo …
Notizie dal mondo del vino
Il sito è in completa ristrutturazione; purtroppo non sono ancora presenti tutte le sezioni dei vini e delle regioni, ma è solo questione di qualche giorno … pazientate e troverete gli stessi contenuti del vecchio sito più moltissimo nuovo materiale.

