Degustazioni
Pane, Sopressa e Prosecco Col Fondo
Quando mio nonno andava a lavorare in campagna, si portava il pranzo nella gavetta e non mancava la bottiglia del vino. Allora il vino era considerato ancora un alimento e l’alcool non era demonizzato.
Non ho mai visto mio nonno ubriaco e neanche con la cirrosi, ha vissuto una vita degna di essere chiamata vita, ha lavorato tanto e sodo, ha cresciuto numerosi figli, grazie all’aiuto di quella grande donna che è stata mia nonna, ha ballato, scherzato, si è divertito ed è morto di vecchiaia.
Dicono che io gli somigli. Sono magra, iperattiva, scherzosa e non rinuncio al pasto Leggi il resto di questo articolo »
Andrea Bocelli, grande cantante e grande produttore di vini
Una tradizione familiare da 200 anni a Lajatico
Il più popolare cantante d’opera di tutti i tempi, secondo il New York Times. Ma anche grande produttore di vini di eccellenza: non a caso Luca Maroni gli ha attribuito il Premio Merito al suo ultimo Sense of Wine. Dopo la musica, e insieme ai cavalli, la passione di Andrea Bocelli è infatti tutta per il vino, che la sua famiglia produce da quasi 200 anni in quel di Lajatico, nel cuore della Val d’Era, in provincia di Pisa.
Già nel 1730 i Bocelli lavoravano le terre del principe Corsini. Poi nel 1840 Gaspero Bocelli, acquistato un primo nucleo di poderi, mise su un’azienda a 360°, con seminativi, foraggio, frutta, olivi e vigne, all’insegna della più classica tradizione agricola toscana. Prima Alcide, poi Alessandro e ora Alberto, fratello minore del tenore ed effettivo conduttore della tenuta, e, più a distanza, Andrea, si sono negli anni dedicati a questa terra, motivo di soddisfazioni e di vanto personali. In origine papà Alessandro produceva un buon vino, che vendeva sfuso in damigiane destinate ai mercati del nord Italia, del quale andava particolarmente orgoglioso. Quando alla fine degli anni ’90 si ammalò, il desiderio di entrambi i figli (il successo di Andrea era già esploso con Il mare calmo della sera) fu quello di fargli vedere, prima di morire, il suo vino imbottigliato. Ma non fecero in tempo: fu allora che i due fratelli decisero di ristrutturare cantina e vigne e di dare inizio ad un serio processo di produzione con l’aiuto dell’agronomo Alfredo Tocchini e dell’enologo Paolo Caciorgna. Spiega infatti il tenore: “Da ragazzo il vino rappresentava il premio, la concessione straordinaria. Ma poi, ho imparato più tardi, è anche e soprattutto cultura. Una buona bottiglia di vino è, di fatto, una bottiglia di felicità”. Leggi il resto di questo articolo »
Obama festeggia Michelle: a cena con un vino di Bolgheri
Scelto un ristorante italiano. In tavola il “Costa di Giulia”
Il Made in Italy può salvarci dalla crisi, puntando su ciò che tutto il mondo ci invidia: i nostri paesaggi, il saper fare, l’eccellenza della moda e poi l’enogastronomia di altissima qualità. I nostri vini, apprezzati anche dall’uomo più potente al mondo, Barack Obama. Il presidente Usa ha infatti scelto – per festeggiare nei giorni scorsi il compleanno della moglie Michelle – un ristorante italiano, il “Cafè Milano” di Washington, locale di proprietà di Franco Nuschese, originario di Minori, borgo gioiello della Costiera Amalfitana. E in tavola non ci sono stati dubbi, Obama ha optato per due vini italiani, di cui uno rigorosamente toscano. Si tratta del prestigioso bianco di Castagneto Carducci “Costa di Giulia”, prodotto da Michele Satta.
Satta, nativo di Varese si è laureato in agraria a Pisa, trasferendosi poi in quella Castagneto Carducci, che è poi diventata il regno della sua passione, il vino. “L’intuizione di essere in un ambiente di altissima vocazione enologica e l’incontro con l’enologo Attilio Pagli, tutt’ora nostro caro collaboratore ed amico, mi hanno spinto a diventare un produttore di vino” – rivela Satta dalle pagine del suo sito.
Obama, nel corso della cena con menu esclusivamente italiano, tra i vini scelti ha assaggiato solo il bianco toscano. Vino che ben si sposa con l’immagine della consorte di Obama: “Costa di Giulia” è infatti un bianco fine ed elegante, proprio come Michelle. Insomma, se l’Italia vive con il mito dell’America, consoliamoci. In fondo anche il presidente Usa vive con il mito dell’Italia e della Toscana, almeno a tavola.
Bistecca e vino rosso. Abbinamento perfetto anche per la scienza medica
Uno studio dell’Università di Gerusalemme ha esaminato l’effetto del consumo di carne rossa con l’assunzione di un bicchiere di vino rosso, con risultati sorprendenti. Infatti, secondo i ricercatori, il vino rosso diminuirebbe gli effetti negativi della carne.
In particolare, secondo gli studiosi, sarebbero i polifenoli, noti antiossidanti, ad impedire l’assorbimento di composti negativi da parte dell’intenstino e quindi il loro passaggio al flusso sanguigno dove potrebbero creare danni.
In un periodo di quattro giorni, 14 volontari sono stati nutriti con una serie di piatti di cotolette di tacchino mentre un piccolo gruppo degli stessi ha ripetuto la dieta, ma in questa occasione ogni pasto è stato accompagnato con un bicchiere di vino rosso.
I partecipanti che hanno mangiato solo carne avevano un livello di malondialdeide, che modifica i livelli di colesterolo nel sangue, più elevato di quando hanno iniziati la dieta. Dopo soli quattro giorni di consumo di carne, il livello di colesterolo era maggiore del 97%.
Il colesterolo è responsabile dell’indurimento delle arterie e della creazione di placche che causano problemi cardiaci.
Al contrario chi mangiava carne con accompagnato un bicchiere di vino rosso aveva livelli di colesterolo invariati oppure, in qualche caso, addirittura diminuito.
Lo studio, che verrà presto pubblicato sul Journal of Functional Foods spiegherebbe le ragioni di precedenti studi sugli effetti positivi del vino rispetto alle malattie cardiocircolatorie.
Ron Kohen ha così spiegato che “vengono confermate le ricerche che correlano il consumo di carne con un aumento del rischio di infarto ma introduce anche un elemento di novità. Cibi ricchi di polifenoli, se inseriti nella dieta, ridurrebbero questi effetti nocivi.”
Vino in musica, viaggio fra i cantautori italiani
Alla ricerca della conferma di quanto il vino sia un concetto presente nell’espressione artistica, vogliamo andare stavolta alla ricerca delle tracce “enologiche” che si possono trovare nei testi della musica moderna, di quella “canzone popolare” che fa parte della nostra quotidianità.
Emblematica, in questo senso, è “Il vino”, lascito prezioso del grande (e troppo poco apprezzato) cantautore livornese Piero Ciampi: “Ma com’è bello il vino, rosso rosso rosso…”, un inno alla bevanda di Bacco come metodo per dimenticare le pene della vita.
Su questa linea malinconica, colorata da sfumature che richiamano momenti politici del recente passato, galleggia anche il bolognese Claudio Lolli nella sua “Albana per Togliatti”: “A quel vino ci mettiamo sotto come a una cascata, è così rosso, anche se è Albana…”. Restiamo nel fertile terreno della musica d’autore italiana con il suo forse più grande interprete, Fabrizio De Andrè e la sua “La Collina”: “Dov’è Jones il suonatore che fu sorpreso dai suoi novant’anni e con la vita avrebbe ancora giocato, lui che offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero non al denaro, non all’amore né al cielo”.
Ma il vino è anche allegria, gioia di vivere, sensazioni forti come quelle descritte da Francesco Guccini nella sua torrenziale “L’Avvelenata” : “mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino…”. Leggi il resto di questo articolo »
Il Ramandolo dal Verduzzo
Offerto nei banchetti di Papa Gregorio XII durante il Concilio del XV secolo
Terra di Celti e Longobardi, l’ampio anfiteatro che incornicia il borgo di Nimis, nel Friuli orientale, ci riporta a un vino dalle origini antiche. È il Ramandolo, offerto nei banchetti di Papa Gregorio XII durante il Concilio del XV secolo. E proprio lungo le dorsali di queste colline marniche sorgono i vigneti di un bravo vignaiolo quaranteseienne, Daniele Gervasi: quattro ettari vitati di proprietà (seguiti col fratello Vinicio), allevati a guyot e posizionati su terreni «poveri» da rocce sedimentarie. Davvero eccellente il suo Ramandolo 2008, proposto in due versioni: la prima è frutto di una vendemmia tardiva a ottobre d’uve verduzzo. La seconda viene invece ottenuta con un passimento totale delle uve. L’oro è il colore di entrambi, che hanno profumi dolci e freschi che ricordano la frutta esotica nel primo e l’arancia candita e l’albicocca. In bocca il sorso è dolce quanto basta per farti chiudere gli occhi, ma di un dolce carico di speziature caratteristiche e nel primo esemplare note da «grande» vino dove avverti l’acidità, ma anche tannini che quasi allappano il palato. Ha persistenza lunga, tanto da richiamare l’abbinamento col Montasio (il primo) o con formaggi erborinati (il secondo proposto nella tradizionale bottiglia da 50 cl). Ma sorprendente è anche il Colli Orientali Rosso Moro 2007, un blend di uve merlot, cabernet franc e refosco, tutte sottoposte a passimento. Dopo la sosta nelle cassette per una quindicina di giorni, avviene la vinificazione per «alzata di cappello», ovvero con leggera macerazione sulle bucce; quindi il lungo affinamento in barrique e tonneaux. Il vino sorprende per il colore rubino molto concentrato, al naso la freschezza della frutta rossa. Spettacolare l’assaggio: ingresso morbido, fresco, di grande equilibrio, pieno, con una persistenza fruttata che lo rende ghiotto, accanto a succulente carni rosse. Spazio infine per il Refosco, vinificato in acciaio e in barrique. Insomma, un invito per mettersi in viaggio verso Tarcento e Nimis, alla riscoperta di un grande Friuli.
Ricetta: Il Vino Lambrusco incontra il Riso Vialone Nano
Un incontro tra due capisaldi della cucina mantovana: riso Vialone Nano Mantovano e Vino Lambrusco, in un connubbio che esalta generosità, sapore e cremosità.
Ingredienti per 6 persone
•480 g riso vialone nano
•brodo vegetale
•3 bicchieri di Lambrusco secco
•cipolla
•olio di oliva
•Asiago dolce 80 g
•sale pepe
Preparazione
Tritare la cipolla, farla appassire in una pentola con un cucchiaio di olio d’oliva, aggiungere il riso, tostare, bagnare con un mestolo di brodo vegetale e mescolare.
In un pentolino a parte, versare il vino e farlo ridurre della metà.
Continuare a versare brodo nel riso, e sempre mescolando, portare quasi a cottura, e versare il vino che avevamo portato a leggera riduzione, mescolare bene, mettere quindi nella pentola l’Asiago che avevamo tagliato a cubetti, mescolare e far mantecare bene, regolare di sale, di pepe e di Parmigiano, e servire. In abbinamento Lambrusco metodo classico “Mopso”.
Capodanno 2013 cenone: come abbinare il vino al cibo
Consigli e suggerimenti per la scelta dei vini in occasione di Capodanno: scopri gli abbinamenti giusti su Sapori e Ricette.
Da pochissimo è passato Natale ma è già tempo di pensare a Capodanno e al cenone del 31 dicembre 2012, ultimo giorno prima dell’arrivo del nuovo anno. In questa occasione diventa fondamentale la scelta del vino con cui effettuare il brindisi in compagnia di amici e parenti.
Se avete ancora qualche dubbio sulla scelta del vino, ecco che in nostro soccorso arrivano i consigli di Salvatore de Lio, il manager di Enoteca Italiana, che per l’occasione ha fornito molti suggerimenti utili per effettuare un buon accostamento cibo e vino.
Per prima cosa: la scelta dell’origine. Visto il periodo di grande crisi economica, è giusto dare la priorità a vini di origine italiana, che mantengono un buon rapporto qualità/prezzo.
Iniziamo con la cena con uno Spumante, che può essere un Franciacorta o un Trento DOC (da utilizzare entrambi anche per il resto della cena) oppure il Prosecco o i prodotti dell’Oltrepò Pavese.
Durante il cenone la scelta del vino cambia categoricamente in base al tipo di pietanze che andiamo a proporre ai nostri commensali: se sono tortellini associate un bianco, un Bonarda o un Lambrusco d’Emilia; se avete primi di pesce scegliete Fiano di Avellino, Roero Arneis piemontese o un Soave Superiore del Veneto.
Con sughi di carne o piatti di caccaigione meglio abbinare un vino fresco e giovane, come un Negroamaro o un Montepulciano d’Abruzzo; per i secondi a base di carne come l’arrosto o la faraona, potete sceglire tra un Chianti Classico DOCG o un Sagrantino di Montefalco mentre per capriolo o cinghiale dovete puntare a tannini più decisi, come Amarone della Valpolicella o Barolo o Brunello di Montalcino. Il bollito, infine, dà il meglio di sè se accompagnato al Lambrusco o al Barbera.
Passiamo al pesce: se dovete portare in tavola i crostacei, meglio scegliere un Gewürztraminer mentre se avete a che fare con il baccalà, via libera al Castel del Monte e rosato d’Italia, ma anche Montepulciano, Negroamaro e Uva di Troia vanno bene.
Terminiamo con l’argomento dolci: con panettone e pandoro è meglio associare il Moscato d’Asti, mentre per Panforte e Ricciarelli si parla di Vin Santo della Toscana. La questione diventa un po’ più complessa per le torte: se è alla cremapotete optare per il Moscato di Pantelleria, la Malvasia delle Lipari o lo Sciacchetrà delle Cinque Terre mentre se è al cioccolato andate tranquilli con il Barolo Chinato o il Refrontolo Passito.
Coi Beatles? Un Prosecco di Valdobbiadene
Vi sarete sicuramente accorti che, durante la degustazione di un vino, ci capita spesso di dire che riscontriamo “note agrumate”, “accenti tannici”, un “insieme armonico”. E questo dei termini descrittivi non è il solo paralellismo possibile per dichiarare “simili” il vino e la musica: siamo in mondi fatti entrambi di sfumature, di riflessi. Mondi difficili (come soffermarsi su una partitura o eseguire una approfondita analisi sensoriale), ma anche facili (come una canzone pop o un bicchiere di rosso bevuto di un fiato). E poi, ogni composizione è sempre il risultato della cultura e dell’ambiente in cui vive il suo autore ma anche del tempo e del luogo: come ogni vino è la summa di fattori concomitanti in modo virtuoso come territorio, vitigno e clima, governati dall’uomo. Proveremo, in queste righe, a fare un piccolo gioco: una sequenza di vini che corra al fianco di altrettanti brani musicali, con il caloroso invito ai nostri lettori a provare l’esperienza…con il sonoro!
Un Prosecco di Valdobbiadene fresco e citrino, un messaggio di gioventù e freschezza, di tempi felici e di momenti spensierati, di un aperitivo in buona compagnia: anche dopo più di quarant’anni ci sembra di sentire nell’aria le voci ridenti dei Beatles nella loro indimenticabile “Love me do”. Con una punta di nostalgia… Ma un vino bianco può dare anche sensazioni più complesse, meno immediate, pur restando di facile approccio. Perché non pensare allora ad uno Chardonnay, magari con un breve passaggio fermentativo in legno? Il calice in mano, è il momento di “It’s for you” di Pat Metheny, raffinato chitarrista americano dotato di uno stile a cavallo fra country e jazz, una musica che prende l’orecchio ma lascia anche lo spazio per i pensieri.
La struttura aumenta, i suoni si fanno più ricercati, più sottili ma allo stesso tempo importanti: con un balzo nel tempo ci portiamo nella New York degli anni ’50 del secolo scorso, ottimismo e progresso in salsa americana. John Coltrane interpreta la grande tradizione della musica nera sposandola con la cultura industriale del Nordamerica. I chiaroscuri e le variazioni ardite di “My favorite things” non possono non ricordare la nuances olfattive e degustative che saprà procurarci un Pinot Nero dell’Alto Adige.
Il corpo e la struttura crescono, l’orchestra si fa più numerosa: una equazione che si applica ai suoni ma anche ai vini. La componente di un affinamento in legno più marcato ed il ruolo decisivo di un vitigno dalla personalità robusta ed elegante insieme quale è il Sangiovese: è quello che troviamo in un Chianti Classico Riserva, al quale ci sentiamo volentieri di “accordare” la “Sinfonia del Nuovo Mondo” di Dvorak, opera per definizione “internazionale” e di grande respiro.
Non appaia scontato chiudere con dolcezza, un invito alla quiete, alla tranquillità e alla serenità di un fine serata. Che ne dite del Coro a bocca chiusa che chiude il secondo atto della Madama Butterfly di Giacomo Puccini? Ci piace pensare, qui, ad un grande passito, come ad esempio un Sauternes, ove l’infinita gamma di profumi e sapori che un vino del genere ci può procurare crea un magnifico contrasto con la semplicità e la linearità del brano musicale.
Vino e musica, quindi, a muovere le nostre emozioni, a dare un contributo di benessere al nostro vivere quotidiano, nel profondo rispetto della soggettività che rende ogni nostra preziosa bottiglia e ogni nostro prezioso disco così unici.
Il primitivo di Manduria il migliore vino d’Italia
BARI – Un vino primitivo di Manduria per il secondo anno risulta essere il migliore d’Italia. Lo rende noto l’assessore all’Agricoltura della Regione Puglia, Dario Stefano.
“Anche quest’anno – evidenzia – la Puglia enologica ci regala un grandissimo risultato, che riempie il cuore di orgoglio e ci fa guardare al futuro con ancora più entusiasmo e motivazione. L’azienda Gianfranco Fino di Manduria, infatti, per il 2ø anno consecutivo raggiunge l’apice della prestigiosissima classifica dei primi 100 vini rossi d’Italia elaborata da Milano Finanza”.
Si piazza – viene sottolineato – al 1øposto il Primitivo Es 2010 con un punteggio di 476,5, risultato della sommatoria dei punteggi delle principali guide di settore: Gambero Rosso, Espresso, Veronelli, Bibenda e Luca Maroni.
“Un bis prestigioso mai raggiunto prima: un risultato straordinario – evidenzia Stefano – che certifica una strategia regionale azzeccata e vincente di valorizzazione dei nostri vitigni autoctoni, vere radici identitarie pugliesi, non solo produttive ed enologiche, ma anche sociali e cultural, se pensiamo che intorno ai nostri vitigni autoctoni tante nostre comunità e borghi rurali si sono costituiti e individuato la propria identità. Oggi quegli stessi vitigni ci fanno risplendere nel panorama enologico di tutto il mondo”.
Per la Puglia si tratta di un grande risultato, “arricchito da ben altre tre postazioni raggiunte nella stessa classifica: al 25ø posto Patriglione 2007, al 33ø Nero di Conti Zecca, al 35ø Visellio di Tenute Rubino”.