Curiosità
Il vino rosso e Marte: l’alleato degli astronauti che non ti aspetti
Nel vino è contenuto il resveratrolo, un fenolo presente in particolare nel vino rosso, che preserva la massa muscolare.
Vino Rosso su Marte? Sì, ma come medicina
La preparazione della nuova missione spaziale direzione Marte ha bisogno proprio di tutti. Gli astronauti che andranno su Marte sanno che questo dista dalla Terra circa 57 milioni di Km (circa 9 mesi terrestri) e quindi gli astronauti rimarranno nello spazio molto più tempo “del solito”.
I ricercatori di Harvard stanno facendo test su come proteggere la massa e la forza muscolare degli astronauti impegnati nella missione.
Sono state condotte delle ricerche su dei ratti che sono stati sottoposti alle condizioni di gravità di Marte attraverso una simulazione in laboratorio; ad alcuni ratti è stato dato il resveratrolo per preservare la massa muscolare e i risultati sono stati davvero incoraggianti. Lo studio è stato pubblicato su Frontiers in Physiology.
In assenza di gravità, i muscoli e le ossa si indeboliscono ed è per questo che si stanno cercando strategie e terapie specifiche per fare in modo che gli astronauti possano affrontare lunghe missioni su Marte mantenendosi in salute.
Marie Mortreux, autrice di uno studio finanziato dalla Nasa presso il laboratorio al Beth Israel Deaconess Medical Center di Seward Rutkove, ha affermato:
Dopo sole 3 settimane nello spazio, il muscolo soleo umano si riduce di un terzo … questo è accompagnato da una perdita di fibre muscolari a contrazione lenta, necessarie per la resistenza. Le strategie alimentari potrebbero essere la chiave per risolvere questi problemi specie dal momento che gli astronauti che si recano su Marte non avranno accesso al tipo di macchinari per allenarsi utilizzati sulla stazione spaziale internazionale.
Entra in gioco il vino rosso
E qui entra in gioco il vino rosso: il resveratrolo è un composto che si trova nella buccia dell’uva e nei mirtilli, ed è stato oggetto di numerosi studi per i suoi effetti anti-infiammatori, anti-ossidanti e anti-diabetici.
Sempre la Montreux afferma: Leggi il resto di questo articolo »
La Svezia scopre la vigna
Alcuni temerari contadini hanno deciso di coltivare la vigna in Svezia: sono già 250 e una quarantina riesce a commercializzare i propri vini.
Da 15 anni Murre Soufakis testa i differenti tipi di vitigno. In particolare alcune qualità svizzere. Aiutato dal riscaldamento climatico, appassionato di vini vallesani, Murre si è lanciato alla ricerca del bouquet perfetto per il terreno svedese: “Nel corso degli anni ho testato quasi 300 tipi di vitigno. Adesso ci concentriamo sulla qualità Solaris, particolarmente adatta al nostro clima e al nostro terreno.”
Sulla scia della sua esperienza, buona parte dei 250 vignaioli ha adottato Solaris, particolarmente resistente alle malattie, con le cui uve si produce un vino bianco. L’iniziativa di Murre fa ormai scuola. Fra i discepoli c’è anche Peter: “Questa attività si sviluppa velocemente. Il clima sta diventa sempre più mite e questo fa della Svezia un luogo eccellente per la vigna”.
Un po’ più nell’entroterra, il banchiere Håkan ha abbandonato la carriera a 50 anni per riprendere la fattoria dei genitori. Invece dell’orzo, anche lui coltiva ora la vigna, ma non ha perso il senso per gli affari. Per lui il vino svedese ha delle particolarità che si sposano con i tempi: “Le nuove generazioni cercano dei vini che hanno dei sapori nuovi e, indipendentemente dal fatto che siano vini francesi, indiani o cinesi, vogliono anche consumare dei prodotti naturali”.
Il vino svedese è strettamente biologico. Dalla scorsa estate gli investimenti e le tenute che lo producono si sono moltiplicate. Il prodotto principale è lo spumante: pare che le bollicine svedesi siano richiestissime.
hwww.rsi.ch/news – 09/08/2019
“Agost dà saor al most”: proverbi… di stagione
Agosto, tempo di attesa per il saggio trentino, che aspetta di raccogliere ciò che è stato seminato e guarda maturare l’uva nella vigna. Vacanze? Non se ne parla. Anche perchè agosto è il mese che può far maturare definitivamente, oppure compromettere, il raccolto. Nei proverbi i riferimenti sono soprattutto al granturco, il “zaldo” che serve per la polenta, e, chiaramente, al vino.
“Agost dà saòr al most” dice il saggio, sorseggiando un bicchiere di vino dell’anno precedete, ed aspettando la vendemmia. Un occhio è sempre rivolto al cielo, dove nuvole e Santi regolano le sorti della campagna: “Se piove de l’Asunzion fén rave e formenton”, sembra quasi un modo per consolarsi di un Ferragosto bagnato… che però porterà gran raccolto di rape e mais.
Come detto di vacanza non se ne parla, dal momento che “chi vòl en bon most zapéta de agost”. C’è poi da raccogliere le nocciole, che “de san Roc le va de scroc”, insomma c’è tanto da fare che “de san Bartolamè al bestiam no se ghe sta puù drè”. Il riferimento è alla festa di san Bartolomeo, il 24 agosto, importante ricorrenza “conclusiva dell’estate, aperta sotto il segno di san Giovanni (24 giugno).
Ciò che più interessa il saggio, però, è come sempre la pioggia, vera e propria benedizione o maledizione a seconda dei casi. Se è vero che “san Lorènz de la gran calura” arriva immancabilmente tutti gli anni il 10 agosto non è così per la pioggia, che “de la Madòna l’èi ancor bòna, de san Roc ‘ncora ‘n pòc, de san Bartolamè coreghe drè”. Ovvero: la pioggia a inizio agosto va ancora bene, per mais e uva, ma più si avvicina la fine del mese e peggio sarà.
Del resto “l’acqua de agost la renfresca ‘l bosc”: questo proverbio che oggi potrebbe sembrarci un riferimento alla piacevole sensazione di frescura dopo un acquazzone di fine estate tra i boschi è in realtà un modo per dire che la pioggia a fine agosto serve al bosco, cioè… a niente. Almeno secondo la mentalità contadina, sempre rivolta al campo.
Il caldo, però, passa presto visto che “a san Gioachim gh’è ‘l prim freschim”, il 20 agosto le temperature iniziano a scendere. Altre stagioni, altro lavoro attende il saggio trentino: “de agost madura, de setembre se vendema”. Questa la perentoria frase che mette fine, da sempre, ad ogni estate.“
https://www.trentotoday.it – 03/08/2019
Composto nel vino rosso potrebbe essere usato per trattare depressione e ansia
Il resveratrolo, un composto vegetale che si trova nel vino rosso perché presente nella buccia dell’uva, mostra effetti antistress ed altri aspetti positivi, come dimostrato da diversi studi.
Un nuovo studio, stavolta condotto dall’Università di Buffalo, mostra che questo composto può avere forti effetti antistress perché blocca un particolare enzima collegato allo stress nel cervello umano.
Questo significa che il resveratrolo può essere un’alternativa abbastanza efficace per trattare i pazienti affetti da disturbi d’ansia o da depressione, come tra l’altro afferma anche Ying Xu, l’autore principale dello studio nonché professore alla Scuola di Farmacia dell’Università di Buffalo.
Il resveratrolo è presente nella buccia ma anche nei semi dell’uva e di diverse altre bacche.
Già ricerche in passato avevano verificato il suo effetto antidepressivo ma questa ricerca ha identificato la reazione, precedentemente sconosciuta, che porta a questo effetto: essa coinvolge l’enzima fosfodiesterasi 4 (PDE4), un enzima che è influenzato dall’ormone dello stress, il corticosterone.
Quantità eccessive di corticosterone nel cervello possono infatti portare a livelli troppo alti di stress e se questa condizione è continuata nel tempo si può sviluppare depressione ed altri disturbi mentali.
I farmaci antidepressivi non funzionano a volte proprio perché si concentrano quasi sempre solo sulla serotonina oppure sulla noradrenalina nel cervello.
Diversi studi hanno però mostrato che il PDE4 provoca quasi gli stessi effetti depressivi e ansiogeni abbassando l’adenosina monofosfato ciclico, una molecola messaggera, portando delle alterazioni fisiche nel cervello.
Il resveratrolo, a sua volta, mostra effetti protettivi contro il corticosterone inibendo proprio l’espressione del PDE4.
notiziescientifiche.it – 28/07/2019
Nel vino rosso il segreto per volare su Marte
Il vino rosso nasconde il segreto per difendere i muscoli degli astronauti che dovranno affrontare le lunghe missioni su Marte. Si trova nel resveratrolo, una sostanza nota per le sue proprietà antiossidanti, che ha dimostrato di proteggere massa e forza muscolare in esperimenti su topi esposti a una gravità debole come quella marziana.
È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Physiology dal gruppo dell’Università americana di Harvard, coordinato da Marie Mortreux. Con le attuali tecnologie il viaggio verso Marte richiede circa sei mesi, durante i quali i muscoli e le ossa degli astronauti vanno incontro a indebolimento. Come hanno sperimentato gli astronauti dopo mesi passati in orbita sulla Stazione spaziale.
Al rientro, infatti, sono così provati che non riescono neanche a stare in piedi, e devono essere estratti di peso dalla capsula spaziale. “Già dopo le prime tre settimane nello spazio alcuni muscoli cominciano a indebolirsi”, ha sottolineato Mortreux.
“Per consentire agli astronauti di operare in sicurezza in lunghe missioni, come quelle future su Marte, occorrono quindi adeguate strategie di mitigazione. Una dieta corretta – ha aggiunto la studiosa – può essere una delle chiavi, insieme all’allenamento fisico. Il resveratrolo ha mostrato buoni risultati sui topi, promuovendo la crescita muscolare attraverso un aumento della sensibilità all’insulina, e pensiamo – ha concluso – che una piccola dose quotidiana possa essere utile anche per gli astronauti”.
http://www.ansa.it – 22/07/2019
Il vino che domina la natura maligna
Non esiste alcun “vino naturale”. Solo la mano dell’uomo può forgiare un Sangiovese perfetto.
“Anche questa estate sarà una lunga corsa, come da molti anni a questa parte” scrive Stefano Berti, uno dei più vivi vignaioli di Romagna se non proprio il più vivo di tutti siccome ha capito che il Sangiovese dev’essere rosa, rifermentato in bottiglia, frizzante e tappato a corona (il vino rosso fermo tappato col sughero sia considerato antiquariato).
“Sarà necessario correre più forte dei funghi, delle muffe, dei virus, degli insetti, dei cinghiali, dei caprioli, degli storni, del caldo, della grandine, della vigoria delle viti, dei venti, di tutte le armi di cui la natura dispone per cercare di distruggere il tuo lavoro.
C’è poco da fare, la natura è contro di noi, in ogni istante, per ventiquattrore al giorno.
Per questo il vino, qualsiasi vino, sarà sempre e inevitabilmente un prodotto fatto contro natura”.
Stefano Berti è vignaiolo leopardiano, tragicamente consapevole come l’autore della “Ginestra” che la natura è matrigna, per quanto un secolo superbo e sciocco diversamente la immagini: la sua corsa nella vigna sopra Forlì insegni a ciascuno che la definizione di “vino naturale” è un’idiozia oppure una truffa, che il vino è culturale oppure non è buono nemmeno per l’aceto.
www.ilfoglio.it – 12/07/2019
Vino, scoperto in Sardegna il vitigno più antico del Mediterraneo occidentale
Una scoperta che riscrive la storia della viticultura dell’intero Mediterraneo occidentale. A farla gli studiosi dell’Università di Cagliari. L’équipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità (CCB), guidata dal professor Gianluigi Bacchetta, ha rinvenuto semi di vite di epoca Nuragica, risalenti a circa 3000 anni fa. E ha avanzato l’ipotesi che in Sardegna la coltivazione della vite non sia stata un fenomeno d’importazione, bensì autoctono.
Sino ad oggi, infatti, i dati archeobotanici e storici attribuivano ai Fenici, che colonizzarono l’isola attorno all’800 a.C., e successivamente ai Romani, il merito di aver introdotto la vite domestica nel Mediterraneo occidentale. Ma la scoperta di un vitigno coltivato dalla civiltà Nuragica dimostra che la viticoltura in Sardegna era già conosciuta: probabilmente ebbe un’origine locale e non fu importata dall’Oriente. A suffragio di questa ipotesi, il gruppo del CCB sta raccogliendo materiali in tutto il Mediterraneo: dalla Turchia al Libano alla Giordania si cercano tracce per verificare possibili “parentele” tra le diverse specie di vitigni.
La ricerca. Nel sito nuragico di Sa Osa, nel territorio di Cabras, nell’Oristanese (non lontano dal luogo del ritrovamento dei Giganti di Mont’e Prama), la squadra di archeobotanici del professor Bacchetta, grazie alla collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano, ha trovato oltre 15.000 semi di vite, perfettamente conservati in fondo a un pozzo che fungeva da ‘paleo-frigorifero’ per gli alimenti. “Si tratta di vinaccioli non carbonizzati, di consistenza molto vicina a quelli ‘freschi’ reperibili da acini raccolti da piante odierne – spiega Bacchetta – . Grazie alla prova del Carbonio 14 i semi sono stati datati intorno a 3000 anni fa (all’incirca dal 1300 al 1100 a. C.), età del bronzo medio e periodo di massimo splendore della civiltà Nuragica”. Leggi il resto di questo articolo »
A Firenze hanno riaperto una delle storiche buchette del vino
A Firenze torna in vita una delle tradizioni più curiose della città. O almeno, sta tornando in vita in un punto preciso, che però, chissà, potrebbe lanciare una moda. Per farla breve, dopo secoli ha riaperto una “buchetta del vino”…
Forse non tutti sanno che in molti palazzi signorili di Firenze si aprono a circa un metro dal suolo delle minuscole porticine, si direbbero adatte a degli gnomi (se fossero a terra) o, chissà, a delle fate. Quel che è certo è che ormai paiono non servire più a nessuno, sono infatti sempre chiuse, a volte addirittura murate o inghiottite dalle ristrutturazioni dei palazzi, possono perfino spuntare talvolta in quelli che oggi sono gli androni o l’interno dei negozi.
Ma a che servivano queste porticine a mezza altezza? Ebbene, la risposta è più sorprendente di quanto non si possa pensare. In queste aperture si rivelava una mirabile tradizione fiorentina. Queste erano le cosiddette Buchette del vino.
Dette anche tabernacoli, finestrini o finestrelle (sempre “del vino”), erano poste sin dal Cinquecento ai lati dei portoni dei palazzi delle grandi famiglie proprio per vendere un bicchiere – o perfino un fiaschetto – di nettare, in cambio di un gruzzolo di monete sonanti.
E si beveva fin dalla mattina. Ogni famiglia abbastanza ricca da avere delle tenute non lontano dalla città, attraverso questi miracolosi anfratti smerciava il vino ai viandanti. Era anche un’attività conveniente: essendo la produzione familiare la vendita era esentasse. Inoltre le buchette erano pensate per tutti, soprattutto per i più poveri.
Capitava infatti che da queste aperture venissero offerte anche eccedenze alimentari. Al giorno d’oggi se ne contano ancora 170, di cui 145 nel centro storico.
E come è normale a ogni buchetta corrispondeva uno stile (anche architettonico) e un gusto, perché di fatto ogni finestrella era l’affaccio sul mondo di una cantina signorile. Dietro il passaggio c’era sempre una stanzina piena di botti e un servo della casata pronto a mescere. Talvolta si notano ancora i battenti per richiamarlo, qualora si fosse distratto (o, chissà, ubriacato…).
https://www.dissapore.com – 04/07/2019
E dopo due bottiglie di buon vino, la risposta la trovi nell’etichetta
I territori vanno apprezzati per le tante sfumature. Un bel paesaggio non sarà mai un solo ulivo, ma un bosco con tanti alberi immerso in una macchia mediterranea su una terra color del sangue che si riflette in un tramonto…etc., etc… Insomma il tutto, l’insieme, è fatto di tante parti e questo vale anche per il vino.
Nonostante quel che ho dovuto dire per tanti anni, oggi faccio outing e vi dico che sono per un vino frutto di blend, “sinfonico e non solista”, come direbbe il prof. Moio e sono convinto che l’abilità di un grande enologo sia nei giusti tagli, nell’accordo dei profumi, degli aromi, nell’uso di antichi sapori rivissuti in chiave di attualità di gusti.
In coerenza a tutto ciò ho scelto un vino che non conoscevo di una nuova casa produttrice del territorio che mi dicevano aveva i vigneti ben esposti tra Torricella e Maruggio.
Conoscevo tutte le aziende produttrici presenti sul menù, tutte di buon livello con ottimi vini, ma la curiosità, novello Ulisse enoico, mi ha spinto verso un 13° con un blend di Fiano, Malvasia e Sauvignon.
Devo dire un buon vino: un colore di un giallo intenso “vecchia maniera” che faceva pensare ad una giusta prevalenza di base della malvasia; profumi intesi come si immaginava dalla composizione; la gradazione sostenuta era all’altezza di quanto si aspetta un nuovo e giovane consumatore e non confondeva la struttura equilibrata che accompagnava ottimamente i gamberi degli spaghetti ed il dentice al forno.
Insomma una buona scelta, due bottiglie, se non fossi andato a fondo…
Nell’approfondire l’etichetta e saperne di più sulla casa produttrice che era l’unica a me sconosciuta della lista dei vini, ho scoperto che era un vino imbottigliato a Lavis (Trento).
Ecco perché non lo conoscevo.
Non aggiungo altro se non …”Ahi serva Italia di dolore ostello…” per continuare con Ulisse….!
www.lavocedimanduria.it – Luigi Primicerj – 14/06/2019
Il Prosecco è il vino italiano più bevuto nel mondo
Il Prosecco è il vino italiano più bevuto nel mondo: lo testimonia l’aumento record delle esportazioni nel 2019, pari al 25%, con la previsione di arrivare a un incasso di un miliardo di euro entro la fine anno.
Lo rileva la Coldiretti, basandosi sui dati Istat relativi al primo bimestre 2019, all’indomani della candidatura delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene nella Lista del patrimonio mondiale dell’Unesco come Paesaggio culturale.
Secondo i dati Istat, sono state vendute all’estero due bottiglie Doc su tre dei 466 milioni venduti lo scorso anno.
La Gran Bretagna è di gran lunga il Paese che ne consuma di più.
Se il Prosecco è il vino italiano più bevuto all’estero, sul fronte della produzione nazionale una Dop su tre si affaccia sul mare e questi vigneti, presi nel complesso, sono anche quelli che registrano le migliori performance sui mercati internazionali.
I dati, elaborati da Nomisma Wine Monitor, sono stati presentati sabato 8 giugno al convegno «Vino da mare» organizzato a Fano dall’Istituto marchigiano di tutela vini.
Secondo l’analisi, presentata in occasione dei 50 anni della Doc Bianchello del Metauro, il 31% delle 408 Dop italiane ha un’area di sbocco sul mare con Marche, Liguria, Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Molise e Abruzzo che presentano una percentuale «marittima» delle loro denominazioni oltre il 75 per cento.
Questa incidenza sembra destinata a crescere: fatta eccezione per il Prosecco, che comunque in piccola parte si affaccia sulla costa, in Italia la produzione di vini marittimi è infatti aumentata negli ultimi anni del 45%, a fronte di un +13% messo a segno dagli altri vini.
www.ilsole24ore.com – 08/06/2019