L’effetto del trattamento di invecchiamento subacqueo sulla qualità del vino
L’invecchiamento del vino subacqueo ha riscosso un crescente successo negli ultimi anni, perché rappresenta un’innovazione che può potenziare la gamma di prodotti in offerta. Ora ci sono diverse aziende che offrono questo servizio ai produttori, ma ancora poco si sa sugli effetti sui diversi tipi di vino.
Un studio preliminare dell’Università di Firenze ha affrontato l’argomento monitorando gli effetti di questo metodo di invecchiamento su tre diversi tipi di vino commerciale (bianco, rosato e rosso) che sono stati immersi per 6 mesi a 52 metri sottt’acqua, e confrontandoli con gli stessi vini conservati per lo stesso periodo in una cantina.
Per valutare gli effetti del trattamento subacqueo a lungo termine, sia i vini sottomarini che quelli invecchiati in cantina sono stati sottoposti a un ulteriore periodo di 6 mesi di affinamento in cantina.
Le caratteristiche chimiche dei vini ottenuti sono state analizzate al termine dei primi (6 mesi di cantina e affinamento subacqueo) e dei secondi periodi di invecchiamento (dopo ulteriori 6 mesi in cantina sia per i vini subacquei che in cantina) per verificare se ci fossero differenze significative tra loro. Un test di discriminante sensoriale è stato applicato sugli stessi vini.
I risultati hanno mostrato che l’invecchiamento subacqueo ha influenzato significativamente la composizione chimica dei vini. Il profilo fenolico e i composti responsabili del colore si sono rivelati i più colpiti dai due diversi tipi di invecchiamento, mentre i volatili sono risultati meno influenzati dai trattamenti.
Il test sensoriale discriminante ha evidenziato che i vini subacquei e della cantina sono stati percepiti in modo diverso in base al trattamento di invecchiamento e al momento della valutazione (dopo 6 o 12 mesi).
https://www.teatronaturale.it – 11/03/2025
Hofstätter: “Nei dealcolati l’alta qualità del vino base fa la differenza”
Quando tutti (o quasi) gridavano allo scandalo, lui andava dritto per la sua strada. Senza girarsi né farsi influenzare da chi dissentiva. Martin Foradori Hofstätter faceva ricerca e produceva lungo le sponde della Mosella i suoi vini dealcolati a base Riesling, firmati Dr. Fischer, la sua cantina con sede in Germania che si affianca alla tenuta Hofstätter del Trentino-Alto Adige (11 milioni di fatturato). Oggi la produzione alcol free si è arricchita: si è aggiunta un’etichetta premium. E sono in corso prove di rosso con il Pinot Nero.
Com’è l’andamento del mercato dei vini dealcolati per la sua azienda?
“La nostra produzione è iniziata nel 2020 con 15mila bottiglie, grazie all’intuizione di mio figlio Niklas, che allora studiava in Germania. Oggi produciamo in tutto centomila bottiglie di dealcolati, per il 70% destinate al mercato italiano. Il canale che ha risposto subito è stato quello dell’hotellerie internazionale, a cui ora stanno seguendo tutti gli altri, enoteche comprese. Mi viene da dire “l’ho sempre detto”. La soddisfazione più grande è vedere che ora anche i più agguerriti contrari ai vini dealcolati stanno scoprendo che per questa categoria c’è spazio e mercato. Il vino dealcolato offre molte opportunità per la ristorazione. La principale è raggiungere chi a tavola è abituato a bere solo acqua e bibite gassate”.
Che tecnologia utilizzate per dealcolare?
“Si tratta della distillazione sottovuoto, un processo che permette di ridurre il contenuto alcolico del vino, preservando al contempo i delicati aromi della materia prima. All’interno di un’apposita apparecchiatura viene ridotta la pressione atmosferica (a circa 15 mbar) e così si abbassa anche il punto di ebollizione dell’alcol da circa 78° C a circa 25-30° C. Grazie al suo punto di ebollizione inferiore rispetto agli altri componenti del vino, l’alcol evapora per primo. L’aspetto cruciale della distillazione sottovuoto è il controllo della temperatura. Questo processo consente di estrarre l’alcol a temperature basse, contribuendo a preservare gli aromi e i composti aromatici più delicati. Questo è fondamentale per assicurarsi che il vino dealcolato mantenga le qualità sensoriali della materia prima, nel nostro caso, il Riesling”.
Perché ha deciso di produrre un’etichetta premium? Crede che avrà un suo mercato?
“Attualmente la nostra linea Steinbock Zero include un fermo e una bollicina a base di Riesling, ma in questi giorni abbiamo lanciato sul mercato un prodotto dealcolato di alta fascia ‘Dr. Fischer Zero Riesling Sparkling’ – questo il nome del nuovo prodotto – che si distingue soprattutto per l’eccezionale qualità del vino base: un Riesling nato da uve selezionate con circa 9 % di alcol e un residuo zuccherino naturale di 30 grammi per litro. Questo tipo di base ci consente una dealcolazione più rapida che preserva il perfetto equilibrio tra frutto, corpo, acidità e residuo zuccherino naturale. Il risultato è un prodotto fresco, raffinato e leggero. Inoltre, già produciamo anche due ‘private label’ per la grande distribuzione italiane, segnale chiaro della richiesta da parte dei consumatori.”.
Molti temono che i dealcolati non siano sani per la presenza di additivi, c’è questo rischio?
“Ma di che cosa stiamo parlando esattamente? Di quali additivi? Non mi risulta ce ne siano, forse le persone dovrebbero informarsi bene prima di criticare. L’unico è l’anidride carbonica per gli sparkling”.
https://www.repubblica.it
Lollobrigida: “Una follia le etichette shock per il vino, contrasteremo la proposta Ue”
Il ministro dell’Agricoltura annuncia un gruppo di lavoro con il dicastero della Salute per controbattere la proposta della Commissione Ue nel piano anticancro: “È chiaro che qualsiasi abuso va punito, ma non il consumo moderato: la cultura alimentare italiana va avanti da secoli ”
“È semplicemente una follia, questo tentativo di criminalizzazione del vino che non ha alcun tipo di senso”. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, interviene sul tema delle etichette sanitarie sulle bottiglie di vino su cui la Commissione europea non molla. Nei giorni scorsi l’Ue aveva proposto di imporre avvertenze sanitarie sulle etichette delle bevande alcoliche come il vino, simili a quelle presenti sui pacchetti di sigarette, per informare i consumatori sui potenziali rischi per la salute associati al consumo di alcol. Un tema di cui si dibatte da anni e su cui la discussione – dopo alcuni mesi di silenzio – ha ripreso a imperversare. La reazione delle cantine italiane è ferma e c’è molta preoccupazione, si temono ripercussioni per il settore, già provato dal calo di consumi e dalla crisi internazionale.
“Si tratta di un’aggressione ideologica contro un prodotto che accompagna le alimentazioni del pianeta da secoli – dice il ministro – sono alimentazioni, peraltro, che nella maggior parte dei casi garantiscono la maggiore longevità. Leggi il resto di questo articolo »
Vino, Coldiretti pronta a scendere in piazza contro follia Europa
“Non accetteremo mai una forma di etichettatura che penalizzi un settore come il vino che l’Unione Europea dovrebbe promuovere – sottolinea il presidente di Coldiretti Ettore Prandini -. Non è pensabile di avere una Ue che rimanda da anni un provvedimento fondamentale per la trasparenza e la salute come l’obbligo dell’etichetta d’origine su tutti gli alimenti e sposa invece misure così che sono puramente ideologiche”.
“Non è certamente l’Europa che vogliamo né quella che vogliono le imprese agricole e i consumatori italiani – rincara il segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo – continuano ad essere fatte scelte prive di fondamento scientifico, dalle etichette allarmistiche al Nutriscore che spinge gli alimenti ultra formulati, questi sì dannosi per la salute”.
La prevenzione e la promozione di stili di vita sani, sono obiettivi fondamentali che meritano il massimo impegno da parte delle istituzioni e della società, e che ci vedono impegnati da tempo – si legge nella missiva -, ma prevedere misure come etichette allarmistiche e nuove tasse ingiustificate, significa colpire un settore strategico del Made in Italy, che vale quasi 14 miliardi di euro.
“Il vino – dichiara Scordamaglia Amministratore Delegato di Filiera Italia – non è solo una bevanda alcolica è prima di tutto un prodotto agricolo, frutto della terra e del lavoro di milioni di agricoltori. È cultura, tradizione, identità, parte integrante della nostra storia e del nostro territorio. E l’uscita non preannunciata della Commissione lascia pensare che alle sue parole di discontinuità delle politiche precedenti e di assicurazione sulla tutela del mondo agricolo possano non corrispondere i fatti”.
Coldiretti e Filiera Italia, chiedono dunque che la Commissione Europea elimini dal proprio documento di lavoro e non includa nel futuro Piano europeo di lotta contro il cancro, l’introduzione di etichette sanitarie allarmistiche e fuorvianti e l’ipotesi di nuove tassazioni ingiustificate sul vino.
https://www.agricultura.it – 11/02/2025
Roberta Ceretto: “Il vino è cultura, non calcolo. Cambiarne la natura significa tradirne l’essenza”
La presidente della nota cantina albese riflette su vini dealcolati, sovrapproduzione e turismo nelle Langhe: “Ogni calice è un racconto di identità e territorio”
Roberta Ceretto è la voce moderna di una tradizione secolare. Presidente dell’Azienda Vitivinicola Ceretto e cofondatrice del ristorante Piazza Duomo ad Alba, insignito di tre stelle Michelin: intreccia arte, enogastronomia e innovazione, mantenendo vivo il legame con le Langhe. Per lei, il vino non è solo un prodotto, ma un racconto di terra, socialità e identità.
Negli ultimi tempi si parla molto di vini dealcolati. Lei, da produttrice, come vede questa innovazione?
“La parola ‘vino dealcolato’ mi dà i brividi. Il vino, storicamente, è prodotto con l’alcol, anche se è molto di più: è cultura, tradizione e socialità. Cambiarne la natura significa tradirne l’essenza. È un tema delicato, perché si tocca qualcosa di profondamente radicato nella nostra cultura. Il vino rappresenta il territorio: senza il vino, le Langhe non sarebbero ciò che sono oggi. Se qualcuno cerca alternative senza alcol, esistono già altre bevande, io nella mia esperienza ho bevuto dalle kombucha ai brodi, ma non chiamiamoli vino”.
Alcuni sostengono che i vini dealcolati possano risolvere il problema delle cantine piene. È d’accordo?
“Non penso sia una soluzione praticabile. Trasformare l’invenduto in vino dealcolato richiede investimenti significativi: così come investiamo in attrezzature per produrre vino di qualità, servono apparecchiature specifiche per togliere l’alcol. Non è qualcosa che si può fare dall’oggi al domani. Il problema vero è a monte: si è prodotto più di quanto si poteva vendere. Prima di riempire troppo le cantine, avremmo dovuto fare scelte più ponderate. Leggi il resto di questo articolo »
Da clone sottovalutato a possibile vino contemporaneo. Il Carmenere “Veneto Style”
LONGARE – In principio erano due, oggi se ne contano quasi otto. Sono i produttori del Carmenere che credono a questo vino adatto ai gusti del bevitore attuale, esigente in fatto di rossi. Andrea Mattiello, uno dei pionieri della produzione, ha raccontato come questa “chicca” può diventare un vino curioso “Made in Veneto più che Italy”.
Si sa, chi vive sui Colli Berici con il vino ci deve avere a che fare perché legante sociale, culturale e lavorativo. Per questo motivo l’approccio con il Carmenere da parte di Andrea non è stata certo una novità.
“Il Carmenere l’abbiamo sempre bevuto sotto mentite spoglie, anche se qualche dubbio sulla sua origine c’è sempre stato. Infatti rispetto agli altri cloni di Cabernet Franc, aveva codici numerici ed era oggetto di sperimentazione. Verso gli anni Novanta”, ricorda Mattiello, “per arginare il problema della flavescenza dorata ne fu vietata la coltivazione. A lungo andare il territorio si ritrovò ad avere bisogno, in fatto di produzione e consumo interno, di Cabernet, quindi bisognava ripiantare”.
Le condizioni però, cambiarono grazie allo studio del prof. Antonio Calò dell’Istituto superiore di Conegliano Veneto (Treviso). Grazie a lui si riuscì a dare un nome definitivo e diverso al clone, quindi nacque il Carmenere, varietà registrata nel 2008, anche se aveva sempre fatto parte della vita dei vignaioli locali, e anche di Cantina Mattiello.
Così nacque la prima etichetta che ne menzionava la provenienza: il Rosso Carmenere. “Rosso perché volevo avesse una connotazione inequivocabile e Carmenere perché si è ritenuto necessario familiarizzare con questa nuova realtà”, dice Mattiello.
Un vino elegante, fresco, pepato e difficile da assimilare a ciò che nei primi anni del Duemila il mercato voleva. Il Carmenere era una scommessa e sui Colli Berici a crederci ne furono solo in due, Stefano Inama con una visione più internazionale e appunto Mattiello, con il suo Carmenere “Veneto Style”. Leggi il resto di questo articolo »
Vinitaly 2025: i vini no-low alcohol debuttano alla 57^ edizione dal 6 al 9 aprile
Parte da Jeddah il progetto pilota che amplia i contenuti di Vinitaly 2025, con i vini No-Low alcohol (NoLo) che entrano ufficialmente nell’offerta della 57^ edizione del Salone internazionale dei vini e distillati in programma a Veronafiere dal 6 al 9 aprile.
L’annuncio è stato fatto ieri, nella città saudita, dai vertici della Spa fieristica nel corso della masterclass “Italian Grapes Reimagined: an Alcohol free Tasting Experience” totalmente a base di vini dealcolati e cocktail zero alcohol, realizzata da Vinitaly in occasione della tappa promozionale dell’Amerigo Vespucci. Un evento-prologo che si inserisce nel piano di sviluppo della manifestazione che punta così a completare gli asset dell’unico brand fieristico di promozione del vino Made in Italy.
Per il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo: “Vinitaly è crocevia delle tendenze che da sempre intercetta, monitora e analizza al fine di potenziare servizi e contenuti per le nostre aziende espositrici e per il settore. In questa ottica, da quest’anno, i vini NoLo entrano per la prima volta nel programma della rassegna per potenziare il ruolo di Vinitaly, che apre nuovi mercati e affronta le sfide dell’evoluzione della domanda”.
“Il progetto pilota che va dal prodotto alla formazione fino alla tecnologia dedicata – ha proseguito il direttore generale di Veronafiere, Adolfo Rebughini – si consoliderà nelle prossime edizioni diventando strutturale. L’obiettivo è di rappresentare un mercato complementare ai vini di denominazione in forte crescita su scala globale e di potenziare la competitività di Vinitaly in una fase di profonda trasformazione del settore”.
Ad oggi il programma ‘dealcolato’ di Vinitaly 2025 contempla due focus: “Zero alcol e attese del mercato” (8 aprile) e “Tecnologia 0.0: produzione e innovazione a confronto” (9 aprile) realizzati in collaborazione con Unione italiana vini e con il supporto dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly per la lettura dell’evoluzione di questo segmento del mercato. Sul fronte espositivo, Vinitaly 2025 presenterà una Enoteca dedicata ai vini dealcolati, con un banco mescita esclusivo e con i vini NoLo protagonisti anche nei cocktail del padiglione Mixology.
https://www.beverfood.com – 30/01/2025
Quali sono i nuovi formati di vino introdotti dagli Stati Uniti?
L’Alcohol and tobacco tax and trade bureau (Ttb) degli Stati Uniti, il 10 gennaio 2025, ha introdotto importanti modifiche alla normativa sugli “standard of fill” per il vino, ampliando il numero di formati autorizzati per i contenitori. Questo cambiamento mira a offrire maggiore flessibilità ai produttori, supportando le esigenze del mercato globale e assicurando ai consumatori una gamma più ampia di opzioni.
Si tratta di una tappa significativa che rappresenta il risultato di un percorso iniziato nel 2022, quando l’agenzia avviò un processo di revisione delle normative esistenti per rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione. All’epoca, il Ttb avviò una serie di consultazioni pubbliche, raccogliendo feedback da produttori, distributori e consumatori, per valutare come aggiornare le regole sugli standard di riempimento e rendere più competitivo il settore. Questo processo ha evidenziato la necessità di modernizzare i regolamenti per eliminare restrizioni obsolete, promuovere l’export e rispondere alla crescente domanda di nuovi formati sia negli Stati Uniti, che a livello internazionale.
Ma cosa si intende esattamente per “standard of fill”? Il termine indica la quantità autorizzata di liquido nel contenitore, il cui valore è espressamente normato nel Code of federal regulations, al fine di garantire uniformità nel mercato, trasparenza per i consumatori e conformità a requisiti commerciali. Tra i nuovi formati autorizzati per il vino troviamo: 180 ml, 300 ml, 330 ml, 360 ml, 473 ml (16 oz), 550 ml, 568 ml (19,2 oz), 600 ml, 620 ml, 700 ml, 720 ml, 1,8 litri e 2,25 litri. Questi si aggiungono alle dimensioni già previste dal regolamento precedente, offrendo una varietà senza precedenti.
Le modifiche sono entrate in vigore con effetto immediato, segnando una nuova era per l’industria delle bevande alcoliche negli Stati Uniti. Con questa espansione, il Ttb non solo modernizza le proprie regole, ma si pone come alleato delle aziende e dei consumatori, contribuendo a rendere il mercato del vino più dinamico e inclusivo. La possibilità di scegliere tra diversi formati di bottiglia rappresenta un importante vantaggio: i formati più piccoli, come il 180 ml o il 300 ml, possono risultare ideali per il consumo individuale o per chi vuole provare un nuovo prodotto senza acquistare una bottiglia intera. Allo stesso tempo, formati più grandi come il 1,8 litri o il 2,25 litri rispondono alle esigenze di gruppi oppure occasioni speciali.
https://www.gamberorosso.it – 29/01/2025
Vino, gli americani non rinunciano al prosecco: balzo degli ordini
Ma forse c’entra Trump
L’export di spumanti verso gli Stati Uniti nel mese di novembre è cresciuto in volume del 41%, quello dei vini fermi imbottigliati del 17%. Si tratta, secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) il primo dato post-elezioni che riflette, in particolare di sparkling tricolori, la subitanea corsa alle scorte in previsione dei dazi sulle merci importate annunciati dal neo presidente, Donald Trump. Il rally di novembre, accompagnato anche dal dollaro forte, porta a +7% i volumi spediti dal Belpaese verso gli Stati Uniti nei primi 11 mesi del 2024, con un’impennata degli spumanti (3 bottiglie su 4 di Prosecco) del 19,5%.
“La buona notizia – ha detto il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi – è che numeri ci confermano che gli americani non sono disposti a rinunciare ai nostri vini, in particolare gli spumanti; la cattiva è quella del fattore dazi, sempre più imminente. Con un valore all’export che nel 2024 supererà 1,9 miliardi di euro, gli Stati Uniti valgono il 24% dell’export italiano di vino. Uno share rilevante, più che doppio rispetto all’incidenza americana sul totale delle esportazioni made in Italy, che espone particolarmente il comparto in una fase già difficile. Per questo chiediamo al Governo italiano la massima attenzione nella gestione di un dossier che potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro commerciale del vino”.
Secondo l’Osservatorio Uiv, il picco di ordini registrato non trova precedenti nella storia delle esportazioni di spumanti nel mese di novembre con un valore di circa 54 milioni di euro (+29%). “Inevitabilmente – ha aggiunto il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti – gli Usa saranno quest’anno ancora più sotto la lente, non solo per i paventati dazi ma anche per le nuove linee guida sui consumi alimentari. Per questo nei prossimi mesi saremo a New York alle Nazioni Unite per portare un messaggio di consumo consapevole e moderato che identifica la stragrande maggioranza dei consumatori di vino”.
https://www.cronachedigusto.it – 20/01/2025
Pinot Grigio Doc da vitigni resistenti. Consorzio delle Venezie
Dalla conquista dell’America a quella della GenZ. La Doc Pinot Grigio delle Venezie inizia l’anno in pole position, pronto a spingere sull’acceleratore del cambiamento. I numeri di fine anno gli danno ragione – imbottigliato a +3% e certificazioni a +8% rispetto al 2023 – ma non bastano più. Adesso la missione è conquistare il mercato nazionale e i palati più giovani. Ne è convinto Albino Armani, il presidente del consorzio Doc delle Venezie che, in questa intervista esclusiva al Gambero Rosso, svela i piani per il prossimo futuro: vini a bassa gradazione e utilizzo dei vitigni resistenti. L’iter è avviato su entrambi i fronti, ma non basta solo modificare il disciplinare.
Partiamo dai numeri: una notevole iniezione di ottimismo in un momento in cui i consumi di vino vanno in direzione opposta. Come ve lo spiegate?
Senz’altro si tratta di un dato rassicurante che fa del Pinot Grigio una denominazione anticiclica. La cosa più interessante è che, in quel +3% c’è già dentro un anticipo degli imbottigliamenti (140mila ettolitri circa) della nuova annata. E questo ci dice che c’è una richiesta maggiore di prodotto e che i quantitativi dello scorso anno non sono bastati a soddisfare la domanda.
Insomma, c’è poco Pinot Grigio in circolazione?
Probabilmente negli anni scorsi siamo stati più pessimisti del necessario e, adottando le misure di gestione produttiva – dal blocco degli impianti allo stoccaggio – siamo arrivati corti rispetto alle richieste. D’altronde è l’Italia il maggior produttore di Pinot Grigio al mondo.
Sebbene con una concorrenza sempre più spinta da parte dei Pinot Gris californiani…
Questo ci spinge a non accomodarci sugli allora, ma allo stesso tempo è un attestato di stima. Il Pinot Grigio l’ha scoperto l’Italia. Il fatto che piaccia ai californiani, tanto da spingerli a investire sui nuovi impianti, ci dice che c’è una proiezione positiva dei consumi da qui ai prossimi venti anni: lunga vita al Pinot Grigio, dunque. E che vinca il migliore! Leggi il resto di questo articolo »