Vino, Coldiretti pronta a scendere in piazza contro follia Europa

“Non accetteremo mai una forma di etichettatura che penalizzi un settore come il vino che l’Unione Europea dovrebbe promuovere – sottolinea il presidente di Coldiretti Ettore Prandini -. Non è pensabile di avere una Ue che rimanda da anni un provvedimento fondamentale per la trasparenza e la salute come l’obbligo dell’etichetta d’origine su tutti gli alimenti e sposa invece misure così che sono puramente ideologiche”.

“Non è certamente l’Europa che vogliamo né quella che vogliono le imprese agricole e i consumatori italiani – rincara il segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo – continuano ad essere fatte scelte prive di fondamento scientifico, dalle etichette allarmistiche al Nutriscore che spinge gli alimenti ultra formulati, questi sì dannosi per la salute”.

La prevenzione e la promozione di stili di vita sani, sono obiettivi fondamentali che meritano il massimo impegno da parte delle istituzioni e della società, e che ci vedono impegnati da tempo – si legge nella missiva -, ma prevedere misure come etichette allarmistiche e nuove tasse ingiustificate, significa colpire un settore strategico del Made in Italy, che vale quasi 14 miliardi di euro.

“Il vino – dichiara Scordamaglia Amministratore Delegato di Filiera Italia – non è solo una bevanda alcolica è prima di tutto un prodotto agricolo, frutto della terra e del lavoro di milioni di agricoltori. È cultura, tradizione, identità, parte integrante della nostra storia e del nostro territorio. E l’uscita non preannunciata della Commissione lascia pensare che alle sue parole di discontinuità delle politiche precedenti e di assicurazione sulla tutela del mondo agricolo possano non corrispondere i fatti”.

Coldiretti e Filiera Italia, chiedono dunque che la Commissione Europea elimini dal proprio documento di lavoro e non includa nel futuro Piano europeo di lotta contro il cancro, l’introduzione di etichette sanitarie allarmistiche e fuorvianti e l’ipotesi di nuove tassazioni ingiustificate sul vino.

https://www.agricultura.it – 11/02/2025

Roberta Ceretto: “Il vino è cultura, non calcolo. Cambiarne la natura significa tradirne l’essenza”

La presidente della nota cantina albese riflette su vini dealcolati, sovrapproduzione e turismo nelle Langhe: “Ogni calice è un racconto di identità e territorio”

Roberta Ceretto è la voce moderna di una tradizione secolare. Presidente dell’Azienda Vitivinicola Ceretto e cofondatrice del ristorante Piazza Duomo ad Alba, insignito di tre stelle Michelin:  intreccia arte, enogastronomia e innovazione, mantenendo vivo il legame con le Langhe. Per lei, il vino non è solo un prodotto, ma un racconto di terra, socialità e identità.

Negli ultimi tempi si parla molto di vini dealcolati. Lei, da produttrice, come vede questa innovazione?
“La parola ‘vino dealcolato’ mi dà i brividi. Il vino, storicamente, è prodotto con l’alcol, anche se è molto di più: è cultura, tradizione e socialità. Cambiarne la natura significa tradirne l’essenza. È un tema delicato, perché si tocca qualcosa di profondamente radicato nella nostra cultura. Il vino rappresenta il territorio: senza il vino, le Langhe non sarebbero ciò che sono oggi. Se qualcuno cerca alternative senza alcol, esistono già altre bevande, io nella mia esperienza ho bevuto dalle kombucha ai brodi, ma non chiamiamoli vino”.

Alcuni sostengono che i vini dealcolati possano risolvere il problema delle cantine piene. È d’accordo?
“Non penso sia una soluzione praticabile. Trasformare l’invenduto in vino dealcolato richiede investimenti significativi: così come investiamo in attrezzature per produrre vino di qualità, servono apparecchiature specifiche per togliere l’alcol. Non è qualcosa che si può fare dall’oggi al domani. Il problema vero è a monte: si è prodotto più di quanto si poteva vendere. Prima di riempire troppo le cantine, avremmo dovuto fare scelte più ponderate. Leggi il resto di questo articolo »

Da clone sottovalutato a possibile vino contemporaneo. Il Carmenere “Veneto Style”

LONGARE – In principio erano due, oggi se ne contano quasi otto. Sono i produttori del Carmenere che credono a questo vino adatto ai gusti del bevitore attuale, esigente in fatto di rossi. Andrea Mattiello, uno dei pionieri della produzione, ha raccontato come questa “chicca” può diventare un vino curioso “Made in Veneto più che Italy”.

Si sa, chi vive sui Colli Berici con il vino ci deve avere a che fare perché legante sociale, culturale e lavorativo. Per questo motivo l’approccio con il Carmenere da parte di Andrea non è stata certo una novità.

“Il Carmenere l’abbiamo sempre bevuto sotto mentite spoglie, anche se qualche dubbio sulla sua origine c’è sempre stato. Infatti rispetto agli altri cloni di Cabernet Franc, aveva codici numerici ed era oggetto di sperimentazione. Verso gli anni Novanta”, ricorda Mattiello, “per arginare il problema della flavescenza dorata ne fu vietata la coltivazione. A lungo andare il territorio si ritrovò ad avere bisogno, in fatto di produzione e consumo interno, di Cabernet, quindi bisognava ripiantare”.

Le condizioni però, cambiarono grazie allo studio del prof. Antonio Calò dell’Istituto superiore di Conegliano Veneto (Treviso). Grazie a lui si riuscì a dare un nome definitivo e diverso al clone, quindi nacque il Carmenere, varietà registrata nel 2008, anche se aveva sempre fatto parte della vita dei vignaioli locali, e anche di Cantina Mattiello.

Così nacque la prima etichetta che ne menzionava la provenienza: il Rosso Carmenere. “Rosso perché volevo avesse una connotazione inequivocabile e Carmenere perché si è ritenuto necessario familiarizzare con questa nuova realtà”, dice Mattiello.

Un vino elegante, fresco, pepato e difficile da assimilare a ciò che nei primi anni del Duemila il mercato voleva. Il Carmenere era una scommessa e sui Colli Berici a crederci ne furono solo in due, Stefano Inama con una visione più internazionale e appunto Mattiello, con il suo Carmenere “Veneto Style”. Leggi il resto di questo articolo »

Vinitaly 2025: i vini no-low alcohol debuttano alla 57^ edizione dal 6 al 9 aprile

Parte da Jeddah il progetto pilota che amplia i contenuti di Vinitaly 2025, con i vini No-Low alcohol (NoLo) che entrano ufficialmente nell’offerta della 57^ edizione del Salone internazionale dei vini e distillati in programma a Veronafiere dal 6 al 9 aprile.

L’annuncio è stato fatto ieri, nella città saudita, dai vertici della Spa fieristica nel corso della masterclass “Italian Grapes Reimagined: an Alcohol free Tasting Experience” totalmente a base di vini dealcolati e cocktail zero alcohol, realizzata da Vinitaly in occasione della tappa promozionale dell’Amerigo Vespucci. Un evento-prologo che si inserisce nel piano di sviluppo della manifestazione che punta così a completare gli asset dell’unico brand fieristico di promozione del vino Made in Italy.

Per il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo: “Vinitaly è crocevia delle tendenze che da sempre intercetta, monitora e analizza al fine di potenziare servizi e contenuti per le nostre aziende espositrici e per il settore. In questa ottica, da quest’anno, i vini NoLo entrano per la prima volta nel programma della rassegna per potenziare il ruolo di Vinitaly, che apre nuovi mercati e affronta le sfide dell’evoluzione della domanda”.

“Il progetto pilota che va dal prodotto alla formazione fino alla tecnologia dedicata – ha proseguito il direttore generale di Veronafiere, Adolfo Rebughini – si consoliderà nelle prossime edizioni diventando strutturale. L’obiettivo è di rappresentare un mercato complementare ai vini di denominazione in forte crescita su scala globale e di potenziare la competitività di Vinitaly in una fase di profonda trasformazione del settore”.

Ad oggi il programma ‘dealcolato’ di Vinitaly 2025 contempla due focus: “Zero alcol e attese del mercato” (8 aprile) e “Tecnologia 0.0: produzione e innovazione a confronto” (9 aprile) realizzati in collaborazione con Unione italiana vini e con il supporto dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly per la lettura dell’evoluzione di questo segmento del mercato. Sul fronte espositivo, Vinitaly 2025 presenterà una Enoteca dedicata ai vini dealcolati, con un banco mescita esclusivo e con i vini NoLo protagonisti anche nei cocktail del padiglione Mixology.

https://www.beverfood.com – 30/01/2025

Quali sono i nuovi formati di vino introdotti dagli Stati Uniti?

L’Alcohol and tobacco tax and trade bureau (Ttb) degli Stati Uniti, il 10 gennaio 2025, ha introdotto importanti modifiche alla normativa sugli “standard of fill” per il vino, ampliando il numero di formati autorizzati per i contenitori. Questo cambiamento mira a offrire maggiore flessibilità ai produttori, supportando le esigenze del mercato globale e assicurando ai consumatori una gamma più ampia di opzioni.

Si tratta di una tappa significativa che rappresenta il risultato di un percorso iniziato nel 2022, quando l’agenzia avviò un processo di revisione delle normative esistenti per rispondere alle esigenze di un mercato in continua evoluzione. All’epoca, il Ttb avviò una serie di consultazioni pubbliche, raccogliendo feedback da produttori, distributori e consumatori, per valutare come aggiornare le regole sugli standard di riempimento e rendere più competitivo il settore. Questo processo ha evidenziato la necessità di modernizzare i regolamenti per eliminare restrizioni obsolete, promuovere l’export e rispondere alla crescente domanda di nuovi formati sia negli Stati Uniti, che a livello internazionale.

Ma cosa si intende esattamente per “standard of fill”? Il termine indica la quantità autorizzata di liquido nel contenitore, il cui valore è espressamente normato nel Code of federal regulations, al fine di garantire uniformità nel mercato, trasparenza per i consumatori e conformità a requisiti commerciali. Tra i nuovi formati autorizzati per il vino troviamo: 180 ml, 300 ml, 330 ml, 360 ml, 473 ml (16 oz), 550 ml, 568 ml (19,2 oz), 600 ml, 620 ml, 700 ml, 720 ml, 1,8 litri e 2,25 litri. Questi si aggiungono alle dimensioni già previste dal regolamento precedente, offrendo una varietà senza precedenti.

Le modifiche sono entrate in vigore con effetto immediato, segnando una nuova era per l’industria delle bevande alcoliche negli Stati Uniti. Con questa espansione, il Ttb non solo modernizza le proprie regole, ma si pone come alleato delle aziende e dei consumatori, contribuendo a rendere il mercato del vino più dinamico e inclusivo. La possibilità di scegliere tra diversi formati di bottiglia rappresenta un importante vantaggio: i formati più piccoli, come il 180 ml o il 300 ml, possono risultare ideali per il consumo individuale o per chi vuole provare un nuovo prodotto senza acquistare una bottiglia intera. Allo stesso tempo, formati più grandi come il 1,8 litri o il 2,25 litri rispondono alle esigenze di gruppi oppure occasioni speciali.

https://www.gamberorosso.it – 29/01/2025

Vino, gli americani non rinunciano al prosecco: balzo degli ordini

Ma forse c’entra Trump

L’export di spumanti verso gli Stati Uniti nel mese di novembre è cresciuto in volume del 41%, quello dei vini fermi imbottigliati del 17%. Si tratta, secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) il primo dato post-elezioni che riflette, in particolare di sparkling tricolori, la subitanea corsa alle scorte in previsione dei dazi sulle merci importate annunciati dal neo presidente, Donald Trump. Il rally di novembre, accompagnato anche dal dollaro forte, porta a +7% i volumi spediti dal Belpaese verso gli Stati Uniti nei primi 11 mesi del 2024, con un’impennata degli spumanti (3 bottiglie su 4 di Prosecco) del 19,5%.

“La buona notizia – ha detto il presidente di Unione italiana vini, Lamberto Frescobaldi – è che numeri ci confermano che gli americani non sono disposti a rinunciare ai nostri vini, in particolare gli spumanti; la cattiva è quella del fattore dazi, sempre più imminente. Con un valore all’export che nel 2024 supererà 1,9 miliardi di euro, gli Stati Uniti valgono il 24% dell’export italiano di vino. Uno share rilevante, più che doppio rispetto all’incidenza americana sul totale delle esportazioni made in Italy, che espone particolarmente il comparto in una fase già difficile. Per questo chiediamo al Governo italiano la massima attenzione nella gestione di un dossier che potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro commerciale del vino”.

Secondo l’Osservatorio Uiv, il picco di ordini registrato non trova precedenti nella storia delle esportazioni di spumanti nel mese di novembre con un valore di circa 54 milioni di euro (+29%). “Inevitabilmente – ha aggiunto il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti – gli Usa saranno quest’anno ancora più sotto la lente, non solo per i paventati dazi ma anche per le nuove linee guida sui consumi alimentari. Per questo nei prossimi mesi saremo a New York alle Nazioni Unite per portare un messaggio di consumo consapevole e moderato che identifica la stragrande maggioranza dei consumatori di vino”.

https://www.cronachedigusto.it – 20/01/2025

Pinot Grigio Doc da vitigni resistenti. Consorzio delle Venezie

Dalla conquista dell’America a quella della GenZ. La Doc Pinot Grigio delle Venezie inizia l’anno in pole position, pronto a spingere sull’acceleratore del cambiamento. I numeri di fine anno gli danno ragione – imbottigliato a +3% e certificazioni a +8% rispetto al 2023 – ma non bastano più. Adesso la missione è conquistare il mercato nazionale e i palati più giovani. Ne è convinto Albino Armani, il presidente del consorzio Doc delle Venezie che, in questa intervista esclusiva al Gambero Rosso, svela i piani per il prossimo futuro: vini a bassa gradazione e utilizzo dei vitigni resistenti. L’iter è avviato su entrambi i fronti, ma non basta solo modificare il disciplinare.

Partiamo dai numeri: una notevole iniezione di ottimismo in un momento in cui i consumi di vino vanno in direzione opposta. Come ve lo spiegate?

Senz’altro si tratta di un dato rassicurante che fa del Pinot Grigio una denominazione anticiclica. La cosa più interessante è che, in quel +3% c’è già dentro un anticipo degli imbottigliamenti (140mila ettolitri circa) della nuova annata. E questo ci dice che c’è una richiesta maggiore di prodotto e che i quantitativi dello scorso anno non sono bastati a soddisfare la domanda.

Insomma, c’è poco Pinot Grigio in circolazione?

Probabilmente negli anni scorsi siamo stati più pessimisti del necessario e, adottando le misure di gestione produttiva – dal blocco degli impianti allo stoccaggio – siamo arrivati corti rispetto alle richieste. D’altronde è l’Italia il maggior produttore di Pinot Grigio al mondo.

Sebbene con una concorrenza sempre più spinta da parte dei Pinot Gris californiani…

Questo ci spinge a non accomodarci sugli allora, ma allo stesso tempo è un attestato di stima. Il Pinot Grigio l’ha scoperto l’Italia. Il fatto che piaccia ai californiani, tanto da spingerli a investire sui nuovi impianti, ci dice che c’è una proiezione positiva dei consumi da qui ai prossimi venti anni: lunga vita al Pinot Grigio, dunque. E che vinca il migliore! Leggi il resto di questo articolo »

Vino dealcolato: i pochi pro e i molti contro di una riforma inevitabile

Dal 27 dicembre 2024, grazie a un decreto del ministro Lollobrigida, anche in Italia si può produrre un vino dealcolato. Notizia buona? Notizia cattiva?

Beh, visto che la pratica era consentita già in altri paesi produttori – anche a noi vicini geograficamente e culturalmente – diciamo che era inevitabile che si liberalizzasse la pratica anche nel nostro Paese. E questo darà modo ai nostri produttori di non subire una concorrenza ingiusta. Quindi, almeno da questo punto di vista, bene direi.

Poi però si apre un altro fronte non di poco conto, ovvero cui prodest questa operazione? Cercherei di rispondere per punti con l’obiettivo di chiarire la posizione di Slow Wine rispetto a questa grande innovazione per il mercato e per i consumatori.

Vino dealcolato: quali i pro?
La notizia più positiva è riservata a tutti coloro che per scelte ideologiche, religiose e di salute vorrebbero bere il “vino” e ora finalmente lo potranno fare. Questo fatto per rispetto delle persone che la pensano diversamente da noi diciamo che sicuramente va salutato come un successo della tecnica e della ricerca: dunque ben venga!

E i contro?
Diversi produttori di cui abbiamo stima salutano il vino dealcolato come la panacea a tutti i mali della riduzione dei consumi, e quindi la salvezza per diversi vigneti e denominazioni storiche. Su questo nutro dubbi profondi e cercherò di esplicitarli.

La pratica di dealcolizzazione riduce la produzione perché si toglie almeno il 15% del volume dal vino. Questa drastica diminuzione della resa, su vigneti di collina che già hanno una produttività bassa, obbligherà a prezzi molto alti dello zero alcol. Molto più facile e scontato che le uve di queste future bevande sia raccolte in pianura, dove è semplice irrigare e pompare le vigne, sfruttando – perché no!? – la vendemmiatrice e la meccanizzazione spinta. Se tanto si realizzano vini senza alcol, francamente molto manipolati dal punto di vista tecnico (a meno che i supporter della tipologia non vogliano raccontarci che l’osmosi è una pratica “naturale”), che importanza avrà il loro legame presunto con il terroir?

Veniamo a uno dei punti meno presi in considerazione, ovvero la piacevolezza degli stessi dal punto di vista organolettico. Leggi il resto di questo articolo »

Andrea Fiacco, il chimico che si fece artigiano del vino

Ho conosciuto Andrea Fiacco tanti anni e tanti kilogrammi fa, soprattutto per me. Eravamo tra i più giovani iscritti dell’Atletica BR Sermoneta. Lui correva, bene, e studiava chimica, pure meglio. Non ci siamo visti per tanti anni, almeno trenta. Ho però sempre avuto notizie su di lui. So che ha lavorato come chimico in un importante ditta della zona poi ha mollato tutto e si è messo a fare il vino insieme ad altri. Gli altri ci mettevano terre e vigne, lui la competenza. Anche perché chimica ed enologia viaggiano su un terreno comune, per quanto strano possa sembrare a noi comuni mortali.

Andrea nel tempo si è fatto una gran fama come esperto di vini. Ha creato un’impresa, la Cantina Montecorvino, che vende vino ai migliori ristoranti del Lazio. Fateci caso se andate a cena fuori. Probabile che dietro i vetri delle cantinette ci sia almeno una bottiglia di Rapiglio o di Petrara. In una di queste mattine prenatalizie lo sono andato a trovare nella sua tana sotto Sermoneta con un mio amico, L’Avvocato. L’Avvocato, oltre che giurista splendente e marinaro coraggioso, è anche assaggiatore di vini “onavista”, nel senso di qualificato Onav.

Ne siamo usciti meravigliosamente stravolti. Andrea è stato un uragano di parole e emozioni, oltre che cavalier offerente di numerosi assaggi vinosi. Poco ci capisco di enologia ma quei vini mi sembravano tutti deliziosi. L’Avvocato, più esperto di me, non credeva alle sue esigenti papille. Ci ha fatto assaggiare bianchi di tutti i tipi. Leggi il resto di questo articolo »

Cosa rende speciale lo spumante italiano? Tutto parte da un genio di Asti

Ad Asti, la patria del celebre spumante, l’Onav (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino) ha reso omaggio a Federico Martinotti, il brillante inventore del metodo di rifermentazione naturale in autoclave che ha rivoluzionato la produzione di spumanti italiani. Nel centenario della sua morte, si è svolto il convegno “Martinotti: cento anni di spumantistica italiana”, un tributo a pochi giorni dalle festività natalizie, periodo in cui si stima un consumo record di 335 milioni di bottiglie di bollicine, con un incremento del 7%, la maggior parte delle quali prodotte proprio con il metodo Martinotti.

Vito Intini, presidente di Onav, ha evidenziato l’importanza di questo evento per promuovere la cultura del vino: “Onav è nata ad Asti e dal 1951 divulga la cultura del vino in Italia e all’estero. Poter festeggiare questo straordinario personaggio nella nostra nuova sede, ospitando tanti produttori in presenza e online, significa contribuire alla diffusione della cultura dello spumante in Italia”.

Il convegno ha visto la partecipazione di esperti e produttori che hanno riconosciuto il ruolo cruciale di Martinotti nella storia vitivinicola italiana. Il sindaco di Asti, Maurizio Rasero, ha ricordato: “Martinotti è stato fondamentale per l’identità e l’economia del territorio astigiano, perché, senza la sua invenzione, molte delle aziende vitivinicole e vinicole della provincia non esisterebbero”.

Durante l’incontro, è stato anche sottolineato come Martinotti non fosse solo un inventore, ma anche un innovatore. Negli anni del proibizionismo, su incarico della ditta Calissano, riuscì a produrre uno spumante e un vermouth senz’alcol, una visione avanguardista che oggi risuona con l’attuale attenzione verso prodotti analcolici.

Il metodo Martinotti, grazie alla sua capacità di esaltare le caratteristiche aromatiche dei vini, ha permesso all’Italia di diventare un leader mondiale nella produzione di spumanti di alta qualità. Asti, con questa celebrazione, rinnova il suo impegno nella valorizzazione del patrimonio enologico italiano, rendendo onore a un genio il cui contributo continua a brillare nei calici di tutto il mondo.

https://www.giornalelavoce.it – 22/12/2024