Amorim Cork: per il sughero più aerospaziale, meno vino

Il mondo del vino ha fatto la sua scelta inequivocabile in fatto di tappi: vince il sughero e lascia l’effimera parentesi di quelli sintetici e in vetro. Così vuole la tradizione confermando l’intuizione che ebbe, a cavallo tra il 1600 e i 1700, l’abate benedettino Dom Pérignon, creatore dello Champagne, e facendo la fortuna di una famiglia portoghese, Amorim che, dal 1870, realizza tappi in sughero naturale al 100%, diventando il primo produttore al mondo.

Ma intanto si diversifica l’espansione dell’uso del sughero. Sono infinite le possibilità. A partire dall’aerospaziale dove la Nasa ha certificato che è un materiale che fa da protezione termica, può resistere alla fluttuazione di energia e la assorbe senza che ci sia degradazione della materia e può quindi mantenere inalterata la temperatura della capsula della navicella e del componente elettronico.

È una prospettiva di crescita. E il sughero è anche un’alternativa al tek, nella cantieristica, ma anche la produzione nell’edilizia, nei pannelli solari, nella mobilità, nelle calzature. Se il Portogallo è il paese principe per il sughero, l’Italia arriva terza dopo la Spagna, ma con una qualità superiore del prodotto delle piantagioni in Sardegna. I dati economici non lasciano dubbi: 754 milioni di euro di fatturato nel 2023 dopo aver “piazzato” 6,1 miliardi pezzi. Vale a dire il 45% del mercato mondiale nel comparto del vino e il 28% del mercato del sughero nel mondo, spiega il presidente di Amorim Cork, Antonio Amorim. E si guarda oltre al vino, al mondo degli spirits che hanno un mercato superiore a quello del nettare di Bacco.

Dopo aver inglobato otto anni fa la “rivale” francese Bouchons Trescases (nata nel 1876), Amorim Cork ha spedito, nel 1999 Carlos Veloso dos Santos a Conegliano, epicentro del Prosecco, per aprire la sede italiana, che ha fatto, nel 2023, 77 milioni di euro (+2,5%) di fatturato. Il 2024 non è però iniziato sotto i buoni auspici. «C’è un calo del consumo del vino nel mondo – afferma Antonio Amorim -. Sta crescendo sempre di più, specie negli Usa, la richiesta di vino low alcol, soprattutto nella fascia media, e no alcol, e vediamo una concorrenza del vino aromatico. C’è un mercato da conquistare ed è quello dei paesi arabi per il vino no alcol, se si può chiamare così». -

https://nordesteconomia.gelocal.it 22/07/2024

Francesca Moretti ha lavorato alla svolta stilistica dei suoi vini

Uno dei gruppi vitivinicoli più apprezzati al mondo unito in una holding, Terra Moretti, che detiene Bellavista e Contadi Castaldi in Franciacorta, Sella e Mosca in Sardegna e Petra, Teruzzi e Acquagiusta in Toscana. La presidente è Francesca Moretti. Enologa e molto determinata a far crescere i propri marchi non solo in awareness ma anche in equity, si è sempre distinta per la capacità manageriale e intuito. Abile nel circondarsi di professionisti del calibro di Massimo Tuzzi e Richard Geoffroy, sta riscrivendo il futuro dell’enologia (di qualità) nel mondo.

Francesca comprende molti anni fa che il migliore investimento è quello fatto nella terra. Classe ‘74, dopo la maturità scientifica inizia a Bellavista occupandosi dell’aspetto produttivo: in particolare della zonazione di tutti i vigneti aziendali. La terra e i vigneti sempre al primo posto con grande attenzione al tema ambientale che si percepisce ovunque: dalla viticoltura di precisione, alla pacciamatura con sterpaglia per limitare la traspirazione dell’acqua dai suoli, fino alla macchina elettrica per accompagnare gli ospiti dal suo bellissimo resort L’Albereta alle vigne di Bellavista. Un messaggio molto chiaro: le viti si allevano come i bambini, si nutrono e si crescono, perché produrre vino in modo ecosostenibile è non solo un dovere ma anche una grande responsabilità sociale nei confronti delle prossime generazioni.

Dal 2021, anno in cui diventa presidente del gruppo, Francesca decide di dare un segnale significativo e una svolta stilistica netta ai suoi vini, soprattutto a quelli di Bellavista. Leggi il resto di questo articolo »

Irlanda, non solo birra ora punta sul vino

In Irlanda ti aspetti di bere birra, magari un generoso boccale di Guinness. Ma tra qualche anno si potrà tranquillamente brindare anche con un calice di vino autoctono.

I cambiamenti climatici, infatti, stanno rendendo la terra irlandese più adatta alla produzione vitivinicola: agronomi e ricercatori sono impegnati a studiare la situazione e le opportunità che ci possono essere, e qualche imprenditore agricolo ha già iniziato a fare sul serio e a investire sulle viti.

Vicino a Wellingtonbridge, nella contea di Wexford, c’è ad esempio The Old Roots Vineyard: una piccola azienda agricola che ha messo a dimora undicimila viti, le prime sono state piantate nove anni fa. Un azzardo, ma la proprietaria Esperanza Hernandez, che si è trasferita qui da circa venti, ci aveva visto giusto: il riscaldamento globale sta agevolando la produzione vinicola irlandese che oggi vede già coltivati Cabernet, Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco. Il professore di viticoltura Kees Van Leeuwen dell’Università di Bordeaux in Francia vede nuove opportunità per il vino in nord Europa, Irlanda inclusa.

«Il clima sta diventando più caldo e i vitivinicoltori riescono a far maturare l’uva», ha spiegato all’Agenzia France Presse, «Parallelamente la produzione di uva da vino è una sfida per i Paesi più caldi del bacino del Mediterraneo, dove le temperature diventano troppo elevate in alcuni mesi e altri fattori limitanti, come la scarsità d’acqua, si manifestano».

The Old Roots Vineyard fornisce il suo vino a numerosi hotel in tutto il Paese. Il percorso per arrivare alla produzione di vino è stato lungo: alla signora Hernandez e alla sua famiglia è servito un decennio per capire come e dove coltivare le viti. «Ora c’è una temperatura migliore rispetto a quando abbiamo iniziato e questo consente all’Irlanda e al Regno Unito di avere un vino migliore», ha osservato l’imprenditrice, «Nel 2014 abbiamo individuato Wexford e questo terreno esposto a sud-ovest, vicino al mare ma senza venti molto forti e con una composizione corretta. Qui abbiamo realizzato il nostro vigneto: se le temperature sono più favorevoli, il meteo è sempre più imprevedibile: piove molto, ma non a maggio e giugno quando servirebbe. È un’altra sfida che dobbiamo affrontare».

https://www.italiaoggi.it – 27/06/2024

Scoperto il vino più antico del mondo: è bianco e ha oltre 2mila anni

Scoperto in Spagna il vino più antico del mondo: è un vino bianco di oltre 2.000 anni, di origine andalusa. Hispana, Senicio e altri quattro ‘abitanti’ (due uomini e due donne, i cui nomi sono sconosciuti) di una tomba romana nella cittadina spagnola Carmona, scoperta nel 2019, probabilmente non avrebbero mai immaginato che quello che per loro era un rito funerario sarebbe diventato importante tanti anni dopo, per una ragione completamente diversa.

Come parte di quel rituale, i resti scheletrici di uno degli uomini venivano immersi in un liquido all’interno di un’urna funeraria di vetro. Questo liquido, che col tempo ha acquisito una tonalità rossastra, è stato conservato e un team del Dipartimento di Chimica organica dell’Università di Cordoba, guidato da José Rafael Ruiz Arrebola, in collaborazione con la Città di Carmona, lo ha identificato come il vino più antico mai scoperto, superando così la bottiglia di vino Spira scoperta nel 1867 e datata al IV secolo d.C., conservata nell’Historische Museum der Pfalz in Germania.

“All’inizio siamo rimasti molto sorpresi che in una delle urne funerarie fosse conservato del liquido“, spiega Juan Manuel Román, archeologo municipale della città di Carmona. Ma le condizioni di conservazione della tomba erano straordinarie e hanno permesso al vino di mantenere il suo stato naturale, escludendo altre cause come allagamenti, perdite all’interno della camera, o processi di condensazione.

La sfida era dissipare ogni sospetto e confermare che il liquido fosse davvero vino. Leggi il resto di questo articolo »

Cinquant’anni di Tignanello, il vino che ha cambiato le sorti del Chianti Classico

Come ti immagini un vino rosso toscano blasonato? Così. Perché il Tignanello è un vino che ha fatto scuola. È il risultato di una storia antica, ventisette generazioni oggi, per uno dei cognomi toscani più celebri nel mondo del vino, quello di Marchesi Antinori, da sempre un riferimento per la cultura del vino e per la valorizzazione del territorio, su cui la famiglia investe.

Risale al 1971, dopo un viaggio a Bordeaux, l’intuizione dell’attuale Marchese che decise di cambiare strada rispetto alla tradizione e di cambiare radicalmente la produzione del Chianti classico, introducendo il legno in produzione e affinamento, e puntando in una zona iper tradizionale sui vitigni internazionali in blend, potenziando al contempo il lavoro in vigneto. In quegli anni le bottiglie di Tignanello vennero vendute a 2200 lire, quando il Chianti era a 300 lire. Dalle 3mila bottiglie dell’inizio alle 330mila di oggi sono passati non solo cinquant’anni, ma tante mode, tanti stili, tante tendenze, lasciando comunque intatta l’allure di questo vino che senza peccare di lingua di plastica possiamo chiamare iconico, anche grazie all’etichetta identitaria, mai cambiata, disegnata nel ’73 dal designer emergente Silvio Coppola, presentato al Marchese dal giornalista Luigi Veronelli.

Ma è negli anni Ottanta che il successo diventa planetario: con la scoperta dei SuperTuscan, un termine coniato dalla stampa anglosassone per identificare vini di alta qualità che non rispondevano ai disciplinari dell’epoca, e che ha radicalmente cambiato le sorti dei vini toscani nel mondo, Leggi il resto di questo articolo »

Le “buchette del vino” di Firenze: storia e curiosità di questi insoliti tabernacoli

A Firenze c’è un’attrazione turistica che negli ultimi anni è diventata una vera e propria meta di migliaia di turisti da tutto il mondo. Si tratta delle “buchette del vino”, conosciute anche come tabernacoli o porte del paradiso, diventate in questi anni un simbolo iconico della città. Si tratta di piccole aperture nelle facciate dei palazzi nobiliari, che risalgono al XVII secolo, quando venivano utilizzate per vendere il vino in fiasco.

Con l’arrivo della peste, le buchette aumentarono, permettendo la vendita del vino senza contatto diretto con l’altra persona, una pratica che ha riacquistato popolarità durante il Covid-19. Oggi, le buchette del vino sono diventate una vera e propria attrazione turistica, sono tanti infatti i video e le foto sui social che mostrano persone che bussano a queste porticine per ottenere un bicchiere di vino toscano. Le buchette del vino sono l’emblema di come tradizioni antiche possano rinascere e adattarsi ai tempi moderni, diventando attrazioni turistiche.

Stando a quanto riferito dall’associazione “Buchette del vino” ci sono ben 180 di queste finestrelle a Firenze, 157 delle quali sono state individuate e segnalate con una targa. Un esempio del successo delle buchette è visibile in via delle Belle Donne, dove una piccola osteria con una delle famose finestre è costantemente presa d’assalto dai turisti. Il successo delle “Buchette del vino” lo si deve all’attore e regista americano Stanley Tucci, che nel 2021 ha dedicato una puntata della sua serie “Searching for Italy” alle buchette, trasmessa sulla Cnn e vista da milioni di americani.

https://www.meteo.it – 10/06/2024

L’abuso di alcol va combattuto. Ma bere vino moderatamente ha più benefici che non bere affatto

Le parole di Attilio Giacosa, presidente Irvas – Istituto per la Ricerca su Vino, Alimentazione e Salute. “Il valore della “J-Curve” è indiscutibile, ci sono migliaia di dati scientifici e di studi che dimostrano come un consumo moderato sia benefico, per esempio, sul fronte della malattie cardiovascolari, che sono la prima causa di morte nel mondo.

Chi usa la scienza per sostenere il contrario dà una interpretazione politica di un dato incontrovertibile. Noi dobbiamo affermarlo con forza, dire che il vino è diverso dalle altre bevande alcoliche. Che non vanno comunque demonizzate”.

https://winenews.it – 06/06/2024

Il vino va bevuto per questo miracolo: spinge l’intelligenza alle cose migliori

Parole di “Gino” Veronelli, nel ricordo di WineNews da “Il Veronelli”, il luogo che ne raccoglie il patrimonio nell’ex Convento dei Neveri, a Bariano

https://winenews.it/it/il-vino-va-bevuto-per-questo-miracolo-spinge-lintelligenza-alle-cose-migliori_527847/

Ecco “Il Veronelli”, il luogo che raccoglie il patrimonio culturale di Luigi Veronelli, nato, a 20 anni dalla scomparsa del maestro del giornalismo enogastronomico italiano, nell’ex Convento dei Neveri, a Bergamo, per far vivere la memoria e far conoscere il pensiero di una delle figure più autorevoli nella crescita della cultura materiale in Italia. E che, WineNews, vi mostra, con Gian Arturo Rota, responsabile Il Veronelli, il filosofo Aldo Colonetti, l’architetto Domenico Egizi, Angela Maculan, presidente Seminario Permanente Luigi Veronelli, ed i ricordi della figlia Lucia Veronelli.

https://winenews.it – 05/06/2024

Cotarella: “Dobbiamo diminuire la produzione di vino”

“Il vino è la miniera d’oro dell’Italia, un bene inesauribile, un patrimonio di cultura, storia e tradizione che dobbiamo difendere e promuovere”. Così il presidente nazionale di Assoenologi, Riccardo Cotarella, ha introdotto il 77° Congresso nazionale dell’Associazione degli enologi ed enotecnici italiani, dal titolo “Il vino: un’isola di valori”, che si è aperto a Cagliari al Bastione di Saint Remy, dove i lavori congressuali continueranno anche nell’intera giornata di oggi. Un grande evento con circa 500 ospiti presenti. Un Congresso impreziosito dalla presenza del ministro Francesco Lollobrigida (Agricoltura e Sovranità alimentare) e dall’imprenditore umanista Brunello Cucinelli. “È un Congresso che parla e guarda al mondo – spiega il presidente Cotarella – Un appuntamento che mette al centro il valore del vino e affronta le sfide del cambiamento.

Siamo in un momento estremamente delicato, le crisi internazionali mettono a dura prova i mercati e i nostri relatori, tra i massimi esperti in materia, hanno fotografato alla perfezione quelli che sta accadendo. La sfida principale che riguarda il mondo del vino è legata alla sovrapproduzione, dobbiamo assolutamente diminuire le nostre produzioni, al di là delle richieste del mercato. L’ottimo sarebbe diminuire la produzione e innalzare ulteriormente la qualità dei nostri vini così da essere super concorrenziali a livello mondiale. In questo congresso emerge ancora, con grande forza, il ruolo chiave degli enologi che, assieme, ai produttori, sono l’anima profonda della vitivinicoltura italiana”.

Il ministro dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha sottolineato l’importanza dell’agricoltura e “serve un’Europa che torni alle sue radici, quella dei padri fondatori che misero proprio l’agricoltura e la produzione al centro, per garantire prosperità ai propri popoli”. Evidenziando che “dove non c’è agricoltura non c’è nemmeno manutenzione dell’ambiente”. Parlando nello specifico di vino, il ministro ha ricordato che “è cultura, identità, storia.

Il vino è da sempre patrimonio della nostra alimentazione”, ha aggiunto il ministro. L’imprenditore Brunello Cucinelli si è soffermato su “l’intelligenza artificiale che ci aiuterà moltissimo, ma non posso immaginare che ci possa sostituire. Avremo bisogno sempre più di persone che generano, creano e di mani sapienti, ma le mani sapienti devono avere una giusta remunerazione”, ha aggiunto. Parlando di sostenibilità, abbinata anche alla viticoltura, l’imprenditore ha suggerito di “tornare a vivere in equilibrio con il Creato, dobbiamo prendere il mondo secondo misura”.

https://www.cronachedigusto.it -31/05/2024

Se la riduzione delle emissioni passasse dall’addio al vino in vetro, saremmo pronti?

L’abito in vetro è veicolazione di un messaggio, è tradizione, è (forse meno romanticamente) espressione della legge. Il mondo del vino è in fermento, e a questo giro non ci riferiamo (solamente) alle già abbondantemente discusse declinazioni dealcolate: chiamato a confrontarsi con la grande ma apparentemente inesorabile incognita del cambiamento climatico – così come tutti gli altri rami del più ampio settore primario, beninteso -, resa ben manifesta anche e soprattutto da un’ultima vendemmia pesantemente mutilata proprio dalle condizioni ambientali estreme; ecco che c’è chi ipotizza una strada alternativa per abbattere le emissioni: sostituire le bottiglie in vetro con con contenitori in Pet.

Immaginiamo sia inevitabile che, al leggere di una tale proposta, la frangia composta dai più ligi puristi del mondo del vino abbia già preso a strapparsi i capelli – un po’ come per le chiacchiere circondanti il vino in lattina, tanto per intenderci. Ma non divaghiamo: l’idea di cui sopra, stando a quanto riportato da Vitisphere, arriverebbe dai monopoli della Scandinavia, chiamati a ridurre le proprie emissioni di carbonio del 50% entro il 2030. È una sfida, non c’è ombra di dubbio: una che gli amici del Nord sembrano pronti a cogliere e ad affrontare.

Rimane naturalmente fondamentale, in questo cambio di paradigma, la percezione dei consumatori. Disturbando ancora il vino in lattina Leggi il resto di questo articolo »