Tra Trentino e Alto Adige a caccia dei vitigni scomparsi

Un tempo il nome del vino Enantio rosso, chiamato anche Lambrusco a foglia frastagliata, era assai noto tra i vignaioli della bassa Vallagarina, soprattutto nelle campagne tra Ceraino e Ala. Già Plinio, nel I secolo d.C., ricordava quest’uva con il nome di oenanthium. E’ il vitigno che più si avvicina alla Vitis silvestris, la vita selvatica che si può trovare, sebbene ormai raramente, nei boschi. In Valsugana, nel 1497, compare il vin pavan.

Lo si trova citato in un elenco riguardante le entrate di Castellalto, a monte di Telve di Sopra. Negli stessi elenchi, nel 1661, viene nominato il raspato cinese, un vitigno chiamato altresì pavana bianca – evidenti i legami con la terra padovana, soprattutto con i Colli Euganei dove si coltivava –, vernaccia bianca o vernaccia trentina, cenese, senese.

Sulla dirupata costa orientale del Virgolo, ad oriente di Bolzano, a 460 m si trova il Kohlerhof, un maso documentato già nel 1100 d.C. come proprietà della parrocchia bolzanina. Nelle sue campagne si è sempre prodotto il Blaterle, il moscato bianco, a cui si aggiunge il Pfefferer (vitigno del moscato giallo). Leggi il resto di questo articolo »

Walter, Pigi e la “follia” del Timorasso

«Un enologo può dirsi tale quando ottiene una laurea in filosofia». Walter Massa, vignaiolo-enologo dei Colli Tortonesi, è condottiero anomalo con uno scudiero insolito.

Cita pensatori del Cinquecento e rockstar. Porta occhiali da intellettuale, ma ha modi diretti da uomo che fatica sulla terra.Il suo fidato amico si chiama Pigi, veste da cow-boy con salopette da giardiniere, ha i basettoni di Ugo Foscolo e gira buona parte dell’anno a piedi scalzi.

Walter e Pigi sono la coppia più eclettica (e fotografata) del vino italiano. Degna di una citazione dell’intellettuale preferito di Walter, Erasmo da Rotterdam: «Nessuna società e nessuna unione potrebbero esistere senza un pizzico di follia».

La «follia» di Walter (uno dei 200 della guida Vignaioli e vini d’Italia in edicola con il Corriere della Sera) si chiama Timorasso, vitigno antico del Piemonte, quasi scomparso perché difficile e scostante nelle rese. Massa lo ha riportato in vita.

Gli altri viticoltori che si dedicavano a Barbera, Cortese e Gavi lo ritenevano uno scellerato, invece è diventato un leader: 30 aziende dei Colli Tortonesi lo hanno seguito, l’ettaro di Timorasso cresciuto nel 1987 è stato moltiplicato per 70 e quel vino bianco è ora una bandiera degli autoctoni.

In un giorno d’ottobre, nella sua cantina di Monleale, in provincia di Alessandria, un arrivo e una partenza sono i segni del successo di Massa: arriva un autobus con 30 ristoratori per il Timorasso; e Pigi corre a Modena con un carico per Massimo Bottura, lo chef più celebrato d’Italia, rimasto senza il vino.

«Sono vignaiolo da 4 generazioni — racconta Massa — i miei genitori vendevano vino sfuso. Leggi il resto di questo articolo »

Pantelleria, Giovanni Marino la «memoria» dello Zibibbo

Giovanni Marino ha 91 anni, ma non li dimostra. Sempre impeccabile ed elegante quando esce, sente ancora benissimo, legge senza occhiali, ricorda tutto, è una memoria storica per Pantelleria.

E’ stato un gigante del mercato dell’uva ed ha idee chiare su quanto sta accadendo adesso.

La produzione di uva zibibbo è scesa in modo inarrestabile. Nel 1953 si producevano 450 mila quintali, nel 1963 350 mila, nel 1973 270 mila, nel 1983 150 mila, nel 1993 50 mila. Poi negli anni a venire l’abisso: 38 mila quintali nel 2006, 30 mila nel 2007, oggi appena 20 mila.

“Tra dieci anni – dice Giovanni Marino -ci sarà solo bosco. Leggi il resto di questo articolo »

Keiko, la sommelier di Osaka incantata dai vini piemontesi e dai paesaggi di Acqui Terme

Ero seduta in un bar, sfogliavo un settimanale e ho visto un riquadro nella pagina, un corso per sommelier di 1° livello. In quel momento non lavoravo, mi sono detta: perché no? Credevo fossero lezioni leggere. E invece mi sono ritrovata con 3 libri alti così».

Nel 2001 Keiko Yamada era appena arrivata da Osaka ad Acqui, un salto dal futuro alla vecchia Europa per amore di uno chef della città termale conosciuto in Giappone, che allora era il suo compagno e sarebbe diventato il papà del piccolo Samuele.

Una lezione dietro l’altra, Keiko, 41 anni, s’è ritrovata diplomata 3° livello dell’Ais, l’Associazione italiana sommelier.

Oggi lavora per catering, eventi di degustazione, ristoranti, progetta di svelare ai giapponesi le meraviglie di un Monferrato ancora poco noto. 
 
È fra le «Donne del vino» ed è conosciuta non solo nell’Acquese ma anche a Ovada, Leggi il resto di questo articolo »

Vienna, un vino per la cattedrale

In vino veritas, ma anche auxilium. Così è stato almeno per il Duomo di Vienna, lo Stephansdom, fin dall’inizio della sua plurisecolare storia.

Raccontava l’umanista austriaco Johannes Cupinianus che il vino dell’annata 1450 si rivelò a tal punto scadente che nessuno voleva berlo.

L’imperatore Federico III volle però che non fosse buttato via, ma venisse usato per impastare le malte con cui costruire parte delle mura e del tetto della chiesa.

Malte alcoliche che avrebbero fatto ubriacare i diavoli che volevano impedire che la città avesse una nuova e monumentale cattedrale.

Anticamente, il giorno di Santo Stefano andava in scena un rito popolare: si metteva un sasso in un calice e gli si versava sopra il vino rosso precedentemente benedetto, per ricordare il sangue del primo dei martiri.

Ieri questa tradizionale alleanza tra il frutto delle vigne austriache e lo Stephansdom ha vissuto un nuovo capitolo, con la presentazione nella Cappella di San Bartolomeo di tre tipi di vini dedicati al Duomo, gli “Stephansdomweine”, prodotti da due cantine rinomate, Paul Lehrner e Feiler-Artinger.

Verranno venduti alla ristorazione e al dettaglio, ma con un fine speciale.

Dal ricavato di ogni bottiglia, nove euro circa, un euro andrà a finanziare i perpetui lavori di manutenzione e restauro attuati dalla Fabbrica del Duomo, che ogni anno pesano sulle casse della diocesi per più di due milioni di euro.

A volte basta anche un buon bicchiere di Riesling per far nascere un’intesa tra Curia, fedeli e imprenditori.

www.avvenire.it – 23/10/2014

Aceto di vino, gusto, salute e perdita di peso

Per molti l’aceto di vino è solo il parente povero dell’aceto balsamico, un condimento “minore” che i nonni preparavano artigianalmente.

L’aceto fatto in casa, rosso o bianco che sia, è infatti un prodotto genuino che ha una preparazione che può essere assimilata a quella dello yogurt.

Occorre infatti una “madre” (ottenuta da vino e aceto) che favorisca la fermentazione.

Questa trasformazione utile e istruttiva può essere insegnata persino ai più piccoli, anche se oggi l’aceto di vino non è affatto un “gioco” ma rappresenta un prodotto sempre più apprezzato che non ha alcun complesso di inferiorità verso il famoso “balsamico” (raro e costoso, almeno quello originale di Modena).

L’aceto di vino si ottiene partendo da vitigni pregiati come il barolo o l’arneis ed è un alleato prezioso per moltissimi gourmet e tanti chef che lo utilizzano nelle pietanze in carpione e nella cottura di prelibatezze come i galletti allo spiedo.

Ma soprattutto può anche fare bene, come emerge da una ricerca svedese appena pubblicata, secondo la quale l’aceto, oltre ad abbassare i livelli di zucchero nel sangue (controllo glicemico), favorisce l’aumento del senso di sazietà.

O grazie al suo uso come condimento sostitutivo dei meno salubri sale, olio e burro.

Dalla tradizione casalinga ai ristoranti stellati e forse presto anche nelle palestre e beauty farm: il successo dell’aceto di vino sembra proprio non avere fine.

www.tio.ch – 20/102014

Il Gambellara diventa BIO, Vignato primo a certificarsi

Uva autoctona e metodi naturali: debuttano i primi vini certificati biologici della doc di Gambellara.

Sono due Gambellara classici, El Gian e il Col Moenia: stessa zona di coltivazione, stessa lavorazione, ma il primo si differenzia in quanto frutto di uve selezionate, prodotti dall’azienda agricola di Davide Vignato, 35 anni, padre di Angelica e in attesa del secondogenito dalla compagna Tiziana.

Ha in tasca studi di agraria e in testa l’idea di una rivoluzione bio: «Voglio produrre un vino che abbia il sapore di questa terra. Se condito con la chimica il vino perde gusto: si appiattisce; tutti i vini diventano uguali».

In nome della fedeltà ai terreni di basalti neri di Gambellara, Davide ha perciò intrapreso – siamo nel 1997- la conversione biologica, Leggi il resto di questo articolo »

Al Barbera Fish Festival di Agliano la Norvegia sposa il vino

“Nota della Redazione: da buon Vicentino, amante del baccalà alla vicentina, non poteva sfuggirmi questa gustosa notizia”

Dalle lontane isole Lofoten alle colline astigiane: la Norvegia e l’Italia si incontrano a tavola ad Agliano Terme per la prima edizione del Barbera Fish Festival. 

L’evento che celebra l’insolito connubio fra il merluzzo e la Barbera d’Asti è in programma dal 18 al 20 ottobre nel paese termale, entrato con i suoi vigneti a far parte dei siti Unesco insieme a Langhe e Roero.

Il festival presentato nei giorni scorsi, al Centro Incontri della Regione, è organizzato dall’Associazione Barbera Agliano e dal Norwegian Seafood Council.  Leggi il resto di questo articolo »

Il vino spagnolo invade l’Italia

Il vino spagnolo rischia di diventare «made in Italy». A lanciare un vero e proprio allarme–nazionalizzazione le organizzazioni agricole secondo cui i surplus 2013 di Madrid stanno invadendo il mercato italiano e comunitario del vino.

Le prime perplessità emergono dall’analisi della congiuntura. Infatti nonostante nel 2014 si stia registrando una produzione in calo (si prevede un -15% in Italia, in Spagna un -26% rispetto all’annata record 2013 mentre in Francia si sono ridimensionate le prime entusiastiche stime) non si registra alcun contraccolpo sul fronte delle quotazioni che invece restano ferme al palo.

L’attenzione così si è subito diretta verso la superproduzione registrata da Madrid lo scorso anno (quando furono prodotti oltre 50 milioni di ettolitri) che hanno ingolfato le cantine iberiche e ora stanno compensando il “buco” d’offerta europeo. Leggi il resto di questo articolo »

Ora anche i disabili sulle strade del vino

Per i disabili le barriere architettoniche cadono come birilli. Persino sulle strade del vino.

È stata appena pubblicata, infatti, in Spagna la prima guida digitale che mira a fornire informazioni sul livello di accessibilità di questi splendidi percorsi in territori ad alta vocazione vitivinicola.

In questo modo le persone diversamente abili potranno pianificare il loro viaggio e decidere cosa fare, dove dormire, dove mangiare e quali vigneti e cantine di aziende agricole visitare.

Dalla Navarra all’Andalusia, dalla Rioja alla Galizia sono 12 i percorsi selezionati dallo speciale vademecum.

Analizzati in dettaglio per misurarne l’accessibilità fisica, visiva e uditiva al fine di garantire un’inclusione completa a seconda dell’handicap dell’utente.

Oltre che di video nella lingua dei segni e con adeguati sottotitoli a seconda dell’itinerario, la guida comprende anche contenuti facilitati adatti alla lettura delle persone con disabilità intellettiva.

www.west-info.eu – 02/10/2014