Firenze, un brindisi col faraone: arriva lo Shedeh, il vino di Tutankhamon

“Ascoltare la tua voce è per me vino shedeh”, si legge nel famoso papiro Harris 500 conservato al British Museum.

Una dichiarazione d’amore non certo da poco, se si pensa che lo shedeh, nell’Egitto antico, era un vino talmente pregiato da essere considerato capace di riportare in vita i morti.

Tanto che un’anfora di questa preziosa bevanda è stata ritrovata persino nella tomba di Tutankhamon, il “faraone fanciullo” scomparso nel 1323 a.C. a diciannove anni.

Ricreare quel vino, utilizzando le tecniche del tempo, è l’improbabile quanto affascinante sfida che ha deciso di raccogliere una squadra di egittologi e produttori vinicoli: il risultato, lo Shedeh dell’azienda trevigiana Antonio Rigoni, si potrà assaggiare domani mattina in anteprima a “TourismA”, il Salone internazionale dell’archeologia organizzato dalla rivista Archeologia Viva, in programma fino a domenica a Firenze, al Palazzo dei Congressi.

E proprio l’Egitto, con la figura misteriosa e intrigante del suo giovane sovrano, sarà il grande protagonista della manifestazione, a cui parteciperà anche una superstar internazionale dell’archeologia come l’egiziano Zahi Hawass.

Attrazione speciale sarà, da questo punto di vista, la ricostruzione tridimensionale, in scala 1:1, della camera mortuaria di Tutankhamon scoperta nel 1922 da Howard Carter, realizzata dall’artigiano Gianni Moro nell’ambito di un progetto scientifico ideato e guidato dall’egittologa e storica dell’arte piemontese Donatella Avanzo.

Che ha deciso di spingersi più in là, provando a riprodurre, insieme a Fabio Zago dell’azienda Rigoni, non solo la tomba, ma anche il vino conservato al suo interno. “Tutto è nato nel 2005 – racconta – quando abbiamo presentato al salone del vino di Torino la ricostruzione, sulla base di disegni ritrovati nelle tombe e delle ricerche di Patrick McGovern, di un torchio per la vinificazione utilizzato in epoca ramesside”.

“Nella tomba di Tutankhamon – prosegue la studiosa – sono state ritrovate ventitré anfore vinarie.

Tre, in particolare, erano state collocate rispettivamente a est, a ovest e a sud rispetto al sarcofago: la prima conteneva vino bianco, a bassa gradazione, a indicare il sole debole del mattino; la seconda vino rosso, più forte, come il sole caldo di metà giornata mentre la terza vino shedeh, più alcolico, dolce e gradevole, che si pensava potesse dare al defunto l’energia necessaria per rinascere al termine del suo viaggio notturno”.

“Su questa anfora – aggiunge – era riportata la scritta irep nefer nefer nefer, e cioè “vino buono buono buono”, una sorta di garanzia di qualità che ne indicava lo straordinario livello di pregio, oltre all’annata di produzione e al nome del capo cantina, segno di quanto fosse considerata importante in quella civiltà la cultura vitivinicola.

Sullo shedeh si è detto di tutto: per un certo periodo si pensava che fosse fatto con semi di melagrana; oggi invece i ricercatori hanno appurato che era a base di uva.

E così noi abbiamo provato a rifarlo”.

firenze.repubblica.it – 16/02/2017

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